LA, a parte il differentissimo contesto, il lavoro che si può leggere all'indirizzo da te trascritto si riferisce solo ed esclusivamente alla PERFORAZIONE, non al taglio.
L'applicazione delle tecniche di perforazione con trapani dei tipi illustrati in quel lavoro sono ben note e studiate anche relativamente alla produzione di fori, coppelle e grani di collana in pietra semidura, segnatamente giadeite e turchese, nella Mesoamerica.
Di più, si ipotizza anche l'utilizzo di trapano ad archetto e di trapano a pompa, anche se personalmente considero quest'ultima tecnica troppo impercisa, vista la qualità dei risultati ottenuti da Olmechi, Nicoyani e Maya.
Inoltre, i fori presenti nei manufatti in giadeite prodotti in quell'area raramente hanno la sezione cercolare (vedi oltre gli orecchini a rocchetto), la presenza di fori di tal fatta su pendenti costaricensi è quasi sempre indice di un falso, prodotto per il mercato nordamericano.
I fori sono quasi sempre biconici, raramente monoconici, e le tracce analizzate al loro interno portano a pensare che lo strumento utilizzato per praticarli fosse un trapano ad archetto o del tipo che si vede nelle illustrazioni di quel lavoro, con una punta di quazite, selce, raramente di ossidiana (l'ossidiana è molto fragile), fissata all'estremità posta a contatto con il materiale da forare.
La punta non veniva inserita quando si utilizzava un'asta cava, in genere ricavata da un lungo osso cavo di uccello o da un culmo altrettanto cavo di una specie di bamboo, che è molto ricco di silicio, per ottenere un cilindretto da utilizzare per la produzione di grani di collana. In tal caso il foro risultante aveva sezione circolare.
Sono sempre cilindrici e di diametro abbastanza grande i fori presenti sul "fiore" degli orecchini a rocchetto
Tieni presente che con questa tecnica sono stati prodotti fori biconici, del diametro di 6/7 mmm, su tubi in giadeite della lunghezza di 55 cm. Il foro praticato partendo da ciascuna estremità dell'oggetto è ovviamente pressoché circolare fino a meno di un cm dalla sua fine e le due estremità coniche si incontrano quasi perfettamente, lo scanso è minimo...
Le coppelle sono concave con il fondo generalmente piatto. Anche in questo caso, le strie constatabili sulla superficie della coppella sono state riprodotte utilizzando trapani del tipo visto in precedenza, con punta litica. Il fondo piatto si pensa sia il risultato dell'usura del puntale.
Qui, un lavoro abbastanza recente, frutto delle analisi e degli esperimenti condotti nel laboratorio dell'INAH a Città del Messico, sotto la direzione di Emiliano Mélgar Tisóc
https://dadospdf.com/download/analisis-tec...cab67341d49_pdfL'analisi delle tracce di lavorazione rilevabili sul verso delle mezze asce costaricensi e di grandi oggetti prodotti dagli Olmechi (vedi p. es. il verso della c.d. ascia Kunz
http://en.wikipedia.org/wiki/File:Kunz_Axe.jpg [American Museum of Natural History, New York, 27.9 x 15.5 cm, peso 7 kg]) indica chiaramente l'utilizzo di corde per segare le asce intere in due metà, nel caso dei pendenti costaricensi, e per staccare lamelle sottili, nel caso delle "asce" olmeche.
Lo stesso vale anche per oggetti prodotti dalle culture neolitiche cinesi (Liangzhu e altre, meno note).
Che io sappia, in letteratura si trovano solo due lavori riferentisi a esperimenti sul taglio condotto con corde.
Uno è stato tentato, vado a memoria perché non ho sottomano i documenti, negli USA ad opera di Mark Chenault, l'altro in Cina, non ricordo il nome dell'autore.
Il risultato del primo, condotto su un pezzo di giadeite, è stato sostanzialmente negativo: il consume delle corde era incredibilmente veloce e l'incisione ottenuta, dopo 6 ore di lavoro e consumando una grande quantità di corde, era profonda 6 mm, se non ricordo male. Considerando che abbiamo esempi di asce tagliate a metà e lunghe più di 20 cm... è vero che i costaricensi del tempo avevano a disposizione tutto il tempo che volevano, quindi le 200 ore di lavoro necessarie per terminare un taglio del genere forse per loro non erano un problema, ma il consumo di corde di lunghezza limitata fu giudicato decisamente eccessivo.
Il risultato del secondo fu giudicato dall'autore molto positivo, salvo ammettere, alla fine della presentazione, di aver condotto l'esperimento su un pezzo di muscovite, materiale decisamente più tenero sia della nefrite che più ancora della giadeite (muscovite durezza Mohs 2,5, nefrite 6/6,5, giadeite 6,5/7).
Inoltre, nel caso della Cina i documenti storici in nostro possesso, quindi risalenti a dopo l'introduzione della scrittura, quando già i cinesi avevano a disposizione non solo bronzo di ottima qualità ma addirittura acciaio temprato e forse le punte diamantate, sono molto vaghi a proposito della più antica produzione di oggetti in nefrite (la giadeite iniziò ad essere utilizzata in Cina solo a partire dal 1750 d.C.), parlano di unguenti che rendevano la nefrite tenera come il burro.
Nel caso della produziome mesoamericana, invece, abbiamo le relazioni che ci hanno lasciato i cronisti spagnoli, a proposito delle tecniche utilizzate da Aztechi e popolazioni delle isole caraibiche.
E queste ci parlano della tecnica di taglio con corde di henequén o cabuya, utilizzate nella maniera da loro illustrata.
Ho aggiunto le mie considerazioni a proposito della struttura della corda, della sua lunghezza e di come doveva essere raggomitolata o ammatassata, per rendere il suo utilizzo "comodo".
Di matasse (cerros, in spagnol) parlano entrambi i cronisti che ho citato.
All'inizio di questa discussione, Zilc ha suggerito l'utilizzo di corde realizzate con capelli umani, secondo lui, per ragioni strutturali, più resistenti all'usura delle corde in fibra vegetale: nessuno dei cronisti ne parla. E nemmeno gli archeologi...