Sta a me dimostrare cosa? È la restituta a dover dimostrare di basarsi su qualcosa di concreto, l'ecclesiastica è tramandata, è attiva e reale. La restituta è un'ipotesi teorica che resta del tutto da dimostrare. Ed è molto debole anche come ipotesi, figuriamoci come siamo vicini alla verità.
Chiedi "per quale motivo il cambiamento Ki/Ci deve per forza essere associato al cambiamento ae/e? "
"Per forza" non si fa neanche l'aceto.
Ho detto che è molto più probabile che i cambiamenti in una lingua, come mi confermi, avvengano a grappoli anziché in modo solitario, perché quando un sistema cambia e si modifica ci sono inevitabilmente una serie di ripercussioni. Semplice buonsenso e teoria sistemica.
Dici: "
Quale senso può avere paragonare un termine latino del quale fingiamo di non sapere (perché invece lo sappiamo e non ci crediamo) se contiene una c dura o dolce al tedesco o qualsiasi altra lingua che non ha uno dei suoni in questione eppoi dire 'visto? Era come dicevo!'?
Una possibilità maggiore di avvicinarsi al vero l'avremmo confrontando il suddetto termine latino con uno francese, o spagnolo, ma di una lingua che offra almeno entrambe le possibilità.
Dici: "i toponimi fanno parte di una lingua tanto quanto le altre parole. Quando dunque cambia la pronuncia di un suono nelle parole normali di una lingua, cambia anche nella pronuncia dei toponimi."
Lo sai bene che non è così e non so perché lo dici. o meglio, lo so; ma tendo a non crederci.
I toponimi sono assai conservativi e nei secoli oppongono una notevolissima resistenza al cambiamento, anche solo quello dell'accento. L'esempio che hai fatto testimonia un passaggio attraverso tre lingue. Il nome dialettale di Verona, Veruna, etrusco, si presenta ancora invariato dopo vari cambi di lingua e cultura. La gente che ci abita, con quella dei dintorni, conserva sia il nome che la pronuncia e li tramanda spesso invariati; tanto che spesso i popoli migrando portano con sé i nomi dei luoghi d'origine.
Sei davvero convinto che Caenina fosse chiamata Caenina? Oggi esistono diverse località dal nome Cennina e hanno tutte la c dolce. Che Aricia fosse detta Arichia, il Circeo fosse detto Chircheii?
(Gaeta era Caieta e nonostante la Chiesa e l'Italiano non è diventata Ceta o Geta né tantomeno Cheta)
Lama Su: "come già detto e ripetuto (ti invito a leggere con ancora più attenzione),
si sa che questi mutamenti vocalici erano già in corso nel parlato di epoca classica.
Se non ti piace il I sec d.C, mettici pure il I sec a.C., non cambia molto. Non stai
dicendo nulla di nuovo, e nulla sorprendente e tanto meno nulla di rivoluzionario. "
Attenzione tu, lama: uno scarto dal I ac al I dc arriva a 198 anni, non è poco.
E proprio in questo periodo non è poco importante.
La restituta si riferisce al solo latino classico
Lucilio scrive nel II sec ac (muore nel 102 ac)
Il latino Arcaico arriva fino al I sec ac
Il latino Classico va dal I sec ac all'inizio del I dc sec dc. Secondo alcuni dal I ac anche al IV dc.
(Rif
http://lettere2.unive.it/lmondin/Introduzi...tino/intro5.pdf da dei limiti ancora più ristretti: "L’età del latino arcaico (per la definizione → § 57) coincide con il periodo compreso tra la fine della prima guerra punica (241 a.C.) e la morte di Silla (78 a.C.)")
Come vedi l'ha detta grossina e non puoi nemmeno accusare un frate.
Da quanto esposto nella discussione risultano corruzioni (evoluzioni AE->E) nello scritto come minimo dal II sec ac, quindi precedenti al latino classico al quale si riferisce la pronuntiatio restituta. Per arrivare allo scritto queste variazioni dovevano essere presenti ben p r i m a nel parlato, ed essere talmente comuni da non attrarre l'attenzione in un'attività che ne richiede di norma più del parlare, com'è lo scrivere.
Una considerazione di ordine generale: i grammatici d'ogni epoca si sforzano di evidenziare e correggere i presunti difetti di pronuncia e di scrittura per un lungo lasso di tempo, praticamente a partire dal III sec ac quando sembra aumentare l'interesse per la correttezza della lingua, che immancabilmente, essendo viva tende a variare. Nessuno fa riferimenti, mai, alla pronuncia della C come dura o dolce.
Neppure nell'Appendix Probi (II-III sec dc), che si colloca ancora nel latino imperiale o tardo, si trovano riferimenti alla pronuncia della C. (Una correzione frequente è proprio della lettera Q che stava andando in disuso. Es. "equs non ecus; coqus non cocus; coquens non cocens; coqui non coci") La pronuncia normale della C dolce davanti alle vocali palatali E e I doveva essere un dato di fatto ancora precedente al latino arcaico, alla I guerra punica. Totalmente normale ed accettato. Così farebbe pensare anche l'introduzione della G, perché ormai la povera C da sola avrebbe dovuto rappresentare, ingenerando confusione, ben quattro suoni: C dura e dolce e G dura e dolce.
Certo non si può ascrivere l'introduzione della c dolce, come mi è capitato di leggere, alle invasioni barbariche ed in particolare germaniche che avevano, loro si, una lingua veramente dura.
Sulla pronuncia della V c'è da segnalare "virgo non vyrgo". Che danno l'idea di una pronuncia "vurgo" (con la Y greca, come u francese. Non so come si mette la dieresi sulla u). Che riguarda comunque più la pronuncia della I, ma Virgo è considerato un prestito (non "imprestito", che è vernacolare) etrusco e potrebbe per questo sollevare l'obiezione di costituire un'eccezione, se subito dopo nell'Appendix Probi non ci fossa la più latina delle parole: vir non vyr. Quindi non uir.
Eppoi "vapulo non baplo".
Cicerone (I° secolo a. C.), De divinatione, II, 40:
"Cum M. Crassus exercitum Brundisii imponeret,
quidam in portu caricas Cauno advectas vendens,
-Cauneas- clamitabat. Dicamus, si placet, monitum
ab eo Crassum caveret ne iret: non fuisse periturum
si omini paruisset"
(trad. mia: "Quando Crasso imbarcava l'esercito a Brindisi, qualcuno che vendeva fichi nel porto di Cauno continuava a gridare "cauneas". Diciamo, se piace, che ammonito da questo evento, Crasso avrebbe dovuto guardarsi dal partire: non sarebbe morto se avesse prestato attenzione al presagio."
L'aneddoto viene usato per "dimostrare" una certa commistione nella pronuncia tra U e V (o addirittura l'assenza del suono V) come se il venditore dicesse "cave ne eas" o, insistendo, "caue ne eas". Ma questo non è nel testo, che contiene la spiegazione di Cicerone.
La cosiddetta "prova" non c'è più se s'interpreta quel "cauneas" come "caute eas" oppure "cau(te) ne eas", anche se cautus derivò verosimilmente da caveo (*cavutus?), ma in tempi molto più antichi.
Di questa bava di chiocciole è fatta la restituta.
Però Quintiliano (35-95 dc) grammatico sotto Claudio voleva introdurre il digamma per il suono V.
Ciao
zilc
(Scusate la fretta, non posso dedicare molto tempo al forum)