Gli spunti che ogni volta mi dai per risponderti sono sempre tanti e interessanti... così com'è facile, però, scadere nell'offtopic, rispetto al tema principale. Ritengo che sia giusto darti la mia opinione sui dubbi da te sollevati, ma vorrei anche cercare di non finire come nella discussione su Achille, in cui abbiamo continuato il dibattito (fuori tema) per diverse pagine.
Per cominciare, quindi, stampo subito un bell'
O.T. e faccio un piccolissimo appunto:
CITAZIONE (DedaloNur @ 30/6/2011, 09:44)
dunque abbim detto che non tutti i riti sono sacri, ma che nel caso della religione greca, abbiamo a che fare con una realtà molto sfumata nella quale non sempre è netto il confine tra profano e sacro. anzi non saprei neppure dirti, in questo momento, se i greci avessero una nozione di profano, inteso come non-sacro, secolare ecc.
Questa, in realtà, non è una carattristica tipica della sola religione greca: avveniva sicuramente anche nel mondo etrusco e romano, e in chissà quante altre società del passato (già nel Vicino Oriente, per esempio, sappiamo che religione e potere politico andavano di pari passo).
Veniamo ora a noi:
CITAZIONE (DedaloNur @ 30/6/2011, 09:44)
In quanto attributo del dio, di per sè, il kantharos doveva rivestire significato e simbolismi ben al di là della sua mera funzione materiale, cioè del bere il vino.
Questo è ciò che proprio non capisco (e non condivido):
doveva. Non si sa bene in base a quale norma o princìpio, però è così. Ma quanti sono gli oggetti considerati "attributi divini", che però non in ogni contesto in cui sono impiegati dovevano necessariamente avere un valore simbolico e sacrale? Il tridente era il simbolo di Nettuno, ma non credo che il suo uso nell'arena dei gladiatori fosse rituale; similmente, penso alle frecce dei cacciatori (attributi di Artemide), al peplo (tipica veste di Atena)... E sono certo che, pensandoci un po', la lista potrebbe proseguire. Durante le Panatenee, per esempio, veniva intessuto un particolare peplo sacro, che doveva essere usato per rivestire il simulacro della dea sull'acropoli (seguendo tutto un preciso rituale); ma non credo che una comune ragazza, che ogni giorno si alzava e indossava il suo peplo, avesse la sensazione di compiere chissà quale atto, mentre si vestiva (non credo, cioè, che si sentisse, a suo modo, un po' come la dea Atena, o che sentisse che quel peplo le avrebbe garantito una qualche protezione...).
Il kantharos, similmente, era un vaso che aveva senza dubbio anche un carattere rituale e sacro: per esempio, quando era impiegato nelle iniziazioni ai misteri di Dioniso (lì sì che era uno strumento fondamentale, in questo senso). Ma questo non significa che, fuori dai misteri dionisiaci, il suo significato restasse immutato.
CITAZIONE (DedaloNur @ 30/6/2011, 09:44)
Il simposio non fu una semplice festa (intesa come rituale sociale) ma un qualcosa intriso di profondi significati sacrali, per quanto, esteriormente il clima fosse festoso e da "bisboccia" frenato dalle regole reche del buon bere.
CITAZIONE (DedaloNur @ 30/6/2011, 09:44)
anzitutto nelle hydrai sono spesso presenti i temi dionisiaci. pertanto l'iniziata al culto dionisiaco, non viene privata della protezione d suo nume. Immagino cioè, che, siano le raffigurazioni dipinte nei vasi a rapportarsi al dio venerato in vita. da qualche parte avevo addirittura letto, che le idrai con temi dionisiaci potevano appartenere alle iniziate ai culti dionisiaci! [...] Avevo letto che eisteva cioè una forte correlazione tra l'acqua e il vino in occasione di alcuni riti dionisiaci. la presenza del tempio di dioniso alle paludi non è casuale. Cmq ripeto, su quest'ultimi punti, sono più incerto. [...] tenendo per buona soprattuto la presenza di simbolismi dionisiaci nelle idre, direi a questo punto che la presenza di queste piuttosto che dei kantharoi nei corredi femminili non vada usata per negare la sacralità del kantharos per mezzo della - presunta -negazione della protezione dionisiaca alle donne. Semmai, il diverso corredo induce a pensare ad una diverso rapporto di uomini e donne, col dionisiaco, fatto attestato dalle fonti scritte in vario modo.
Non voglio affrontare direttamente il tema del simposio in questa discussione (un po' perché non mi ritengo un esperto dell'argomento, un po' perché continueremmo solo ad andare ancora di più in offtopic, e un po' anche perché credo anche che la questione sia molto più complessa di quanto noi riusciremmo a trattarla).
Quoto alcuni estratti da una rivista che ho qui a casa:
CITAZIONE
Nell'Europa preromana la Grecia svolse un ruolo fondamentale nel definirne le modalità (nota: del consumo conviviale), che, pur mutando nel tempo dalle forme del banchetto dell'aristocrazia omerica a quelle del simposio della polis, esprimono alcuni significati costanti: il valore dell'appartenenza comune dei convitati alla élite economica e politica, l'autocelebrazione del proprio status, l'occasione per istaurare o rafforzare relazioni.
E ancora (neanche a farlo apposta!):
CITAZIONE
[...] dall'VIII a.C. vasi di bronzo, altrimenti utilizzati per contenere vino, fungono spesso da urne per i defunti di rango fino all'Italia settentrionale. In assenza di fonti storiche e iconografiche che permettano di verificarlo, non sappiamo se con queste usanze si sia trasmesso anche il significato simbolico di continuità della vita legato al vino, ma lo lasciano pensare alcune tombe di pìncipi celti, defunti nel V secolo a.C.
Mi verrebbero da fare alcune considerazioni, in base a questi due estratti: prima di tutto, porrei l'accento sul valore
sociale ed
elitario del simposio (che non era un rituale sacro, e neppure un'allegra festicciola fra amici). Si parla di rapporti politici, interessi economici e condivisione di idee. Il chiamare il vino "dyonisos" (così come altre pratiche) non ne fa automaticamente un'occasione intrisa di significati sacri. Ci può essere forse una certa "ritualità" nei gesti che si compiono (per esempio, nell'ordine con cui si succedono i vari passaggi della cermonia); ma continuo a essere dell'idea che non si possa pensare al simposio come a un vero e proprio rito sacro per Dioniso.
Inoltre, vorrei sottolineare quanto da me evidenziato nel secondo estratto: "assenza di fonti scritte e iconografiche" (per quanto concerne la questione del vino nei contesti tombali). Questo porta a formulare ipotesi che non sono comprovabili - eccetto, forse (precisa l'autore), per l'area celtica. Ma attenzione! Il
mondo celtico non è il
mondo greco. E' qui che non condivido il princìpio su cui si basa il metodo, perché non credo si possa interpretare il significato di un elemento nel mondo greco, a partire dal suo impiego fuori dalla Grecia. Questo, per me, può essere un grosso errore, perché i Celti non hanno scoperto il vino, né hanno inventato la pratica del simposio: li hanno entrambi ricevuti, e neppure in maniera diretta (perché gli Etruschi hanno fatto da intermediari, e credo che nessuno possa sapere se e come quel rito avesse già subito modifiche - a livello di valenze e simbologie - nel mondo etrusco).
Vedo di spiegarmi: io ho la ricetta di una torta. Te la passo, e tu (che magari non hai i miei stessi gusti o la mia filosofia culinaria!) la prendi, ma ne modifichi parte degli ingredienti. Poi tu la passi, a tua volta, a Dceg, che, come te, di nuovo, la modifica secondo quelli che sono i suoi gusti. Ora, quanto credi che un estraneo possa capire dei miei gusti e delle mie abilità in cucina, a partire dall'osservazione della torta preparata da Dceg? Perché questo è ciò che mi pare si stia un po' facendo, senza capire che, nel passaggio da popolo a popolo, la stessa pratica potrebbe aver subito alcune variazioni semantiche. Si trattano le civiltà come se fossero tutte uguali, si mettono sullo stesso piano valori e simbologie di contenitore e contenuto... E questo io non lo trovo affatto corretto (metodologicamente parlando).
Anche sul fatto delle hydriai, non concordo molto con questo tuo ragionamento: prendendo per buono il nesso fra hydriai e iconografie dionisiache (lo dico perché non conosco abbastanza la classe nel suo insieme, sotto questo punto di vista*) se davvero erano il vino e il kantharos ad avere particolari "poteri" e valenze, un vaso da acqua decorato con temi dionisiaci non mi pare un bel rimpiazzo (considerando, ripeto, che le donne prendevano direttamente parte ai misteri dionisiaci - e, quindi, presumo che avessero anche un contatto con il kantharos rituale e il vino).
*[L'unico studio di questo tipo che io conosco (cioè sulle relazioni fra iconografie e forme vascolari) riguarda le pelikai, e non le hydriai (dovrebbe essere
Correlating shape and subject, di Alan Shapiro)].
CITAZIONE (DedaloNur @ 30/6/2011, 09:44)
non condivido soprattutto il paragone con Graves, perchè se c'è qualcosa che distingue i due è proprio il rigore filologico. Non che Graves non conoscesse le fonti e le sapesse trattare, ma purtroppo faceva questo con finalità poetiche. invece kerenyi, usava le fonti con finalità filologiche. E' ben diverso...quindi. [...] inoltre no capisco il tuo appunto sulla macedonia di fonti: i temi mitologici li puoi trovare nelle poesie, nlle tragedie, dei detti dei filosofi (la frase di eraclito: Dioniso era ade ed Ade era dioniso, unita ad altre testimoniziane -poetiche, iconografiche - fornisce lumi sulla natura di quegli dei, senza macedonia alcuna). Questi temi li devi poi trattare in correlazione all'iconografia, perchè spesso, le stesse fonti si riferiscono ai dipinti (questo p-e lo diceva anche Graves) e perchè nei dipinti si trovano informazioni che nei testi non si hanno.
Sì, ma "filologico" non è sinonimo di "archeologico" (e qui siamo partiti dai corredi dei contesti tombali). Talvolta, di una realtà descritta nelle fonti può non esserci traccia archeologica, così come possiamo avere tracce archeologiche di pratiche che dalle fonti non sono note (come in questo caso).
Inoltre, se fossi in te, riconsidererei il problema della mescolanza delle fonti (a livello di genere e di cronologia). Nelle fonti tarde, per esempio, si tende spesso ad aggiungere dettagli fantasiosi ai testi più arcaici, per colmarne eventuali lacune e spiegarne così i punti più oscuri (ed è ovvio che tali dettagli, se presi acriticamente per buoni, possono indurre chi li utilizza in errore). La filosofia in particolare, poi, è il genere lettario più insidioso in questo senso, perché, molto spesso, per sostenere e avvalorare le loro posizioni, i filosofi creavano di sana pianta alcune particolari versioni mitologiche (l'esempio più lampante credo sia quello del mito di Atlantide narrato da Platone - di cui, prima di lui, non c'è la benché minima traccia nelle fonti scritte). Non sempre abbiamo i mezzi per stabilire il grado di affidabilità di una versione mitologica derivata dalla filosofia; quindi, il nostro usufruirne va tutto a rischio della stabilità della nostra stessa ipotesi.
Per concludere, un altro piccolo (e personalissimo) appunto:
CITAZIONE (DedaloNur @ 30/6/2011, 09:44)
Se posso permettermi: noto come tu spesso pretenda di trattare i dati di queste materie come se fossero dati da hard science. io invece sono più per l'approccio "antropologico" se così si può definire. il che non vuol dire avere in mente di creare teorie solo
affascinanti (modo carino per dire che sono fantasiose o meramente congetturali?
)
Io non credo che l'archeologia sia "hard science": credo semplicemente nel rigore scientifico di un metodo di indagine, che deve essere soprattutto molto prudente e dotato di forte senso critico. Per contro, confermo che il tuo approccio mi sembra in effetti decisamente antropologico; o meglio, io lo definirei più quasi da New Archaeology - nel senso che, nelle tue indagini, tu mi sembri sempre alla ricerca di una regola che sia "universalmente valida" (del tipo, se è così per i Celti, allora doveva esserlo anche per i Greci, e viceversa). E in questo tipo di ragionamento io non ho molta fiducia. Magari può avere un certo valore, se lo si considera per indagini di carattere molto più antropologico e generali; ma, se osserviamo aspetti specifici di una cultura (come il simposio in Grecia, o l'impiego di un kantharos oltre i suoi confini), bisognerà tener conto sempre anche delle differenze che intercorrono fra i due diversi popoli presi in esame, fra quello che crea e quello che adotta (a livello culturale, religioso, cronologico, sociale etc.).