Ostraka - Forum di archeologia

Conoscenze indirette dell'America in età ellenistica

« Older   Newer »
  Share  
lino85
view post Posted on 26/9/2013, 13:37




Segnalo anche la seguente intervista a Lucio Russo sulla sua ultima opera, subito dopo vengono presentati alcuni brani di essa:

http://maddmaths.simai.eu/divulgazione/var...-a-lucio-russo/

Magari potete commentare il contenuto di questo testo con quello che voi conoscete di approfondito su tali argomenti.

Per la cronaca, personalmente ho pensato di contattare uno studioso specializzato in geografia antica (visto i dettagli molto tecnici relativi a Tolomeo su cui si basa Russo), ho provato a scrivere a Francesco Prontera, direttore della seguente rivista:

www.olschki.it/riviste/geoantiq.htm

e lui mi ha risposto che il testo di Russo non lo ha ancora letto ma che comunque verrà recensito su "Geographia Antiqua" nel numero che sarà pubblicato a inizio 2014. Dunque qualche reazione nel mondo accademico si è mossa su tale argomento.

Ciao.
 
Top
view post Posted on 26/9/2013, 21:22
Avatar

- Γνῶθι σεαυτόν -

Group:
àrchon
Posts:
1,882
Location:
dalla terra degli illustri Tirreni

Status:


In tutta onestà, Lino, ti dirò, a me questo testo convince poco.
Ne parlavo giusto ieri sera con la mia ragazza, perché suo fratello mi aveva chiesto un parere sulla possibilità che naviganti cartaginesi fossero effettivamente giunti in America prima di Colombo.
Sto meditando se acquistare o meno il libro per leggerlo e valutarne il contenuto, ma, da una rapida scorsa all'indice del testo (rintracciabile in rete, ma che non credo sia pubblicabile qui tramite link, perché il sito di riferimento è di natura commerciale), mi pare di vedere che, a grandi linee, le argomentazioni sono pressoché le stesse utilizzate da Elio Cadelo, nel suo saggio 'Quando i Romani andavano in America', ed. Palombi - 2009 (di cui abbiamo già avuto modo di parlare ampiamente su questo forum).

Ora, Lucio Russo è un esponente del mondo accademico (se non erro, è docente di Storia della scienza), dunque sarei curioso di leggere quanto da lui scritto, più che altro per valutare il suo metodo di indagine (dato che, a mio modesto avviso, quello di Cadelo lasciava molto a desiderare...): ricordo, per esempio, che, sulla questione 'ananas' nell'arte pompeiana, Cadelo citava unicamente, a supporto della sua tesi, gli studi di Casella del 1950, ma non quelli di Ciferri, di poco successivi (ed editi sulla stessa rivista scientifica), nei quali si smantellavano le identificazioni proposte per questi frutti...

Personalmente, credo due cose:

1) Sulla questione della navigazione antica, è possibilissimo che Cartaginesi e Romani siano effettivamente giunti in America per pura casualità, mentre dubito fortemente che gli antichi cartografi e marinai possedessero una conoscenza dell'America così precisa in età così antiche (e Ipparco di Nicea, se non erro, non ha mai teorizzato l'esistenza di un continente in mezzo all'Oceano, ma solo di due sottili istmi, con uno spazio al centro sufficiente da permettere la circumnavigazione del globo).

2) Da un giornalista a un docente universitario il salto è sicuramente elevato, da un punto di vista qualitativo; certo è che, se, in questi casi, lo studio dell'archeologia, delle fonti letterarie e dell'archeobotanica fosse lasciato ad archeologi e antichisti in generale, forse circolerebbero meno testi su certi argomenti, ma con informazioni più corrette (ovviamente, parlo per quanto ho letto personalmente nel libro di Cadelo, quello di Russo devo ancora leggerlo).
 
Top
lino85
view post Posted on 3/10/2014, 11:32




Segnalo il seguente video de "Il tempo e la storia":

Video

dove, oltre ad essere esposta la tesi di contatti non occasionali tra i due continenti dallo stesso Russo, viene anche dato spazio ad alcune osservazioni critiche da parte dello storico Alessandro Brabero, che, anche se ammette di non avere le competenze matematico-astronomiche sulle posizioni delle Canarie e delle Antille, nota che sono altri i punti deboli di questa tesi, ovvero che occorrerebbe ammettere non solo contatti non occasionali tra i due continenti ma anche un "tracollo culturale" avvenuto dopo le conquiste romane di Cartagine e della Grecia (tracollo che mi pare gli storici non ritrovano o non trovano così enorme) e inoltre non si capirebbe, se questo "tracollo culturale" ha fatto dimenticare molte conoscenze geografiche, perché sono presenti raffigurazioni di ananas in epoca imperiale romana secoli dopo, come se fosse possibile che i contatti fossero continuati mentre gli unici a non accorgersi di tali contatti sono il governo e i geografi... Comunque è interessante riparlare di questo argomento, tanto per mettere alla prova le cose che sembrano più assodate.

Ciao.
 
Top
view post Posted on 3/10/2014, 17:23

Member

Group:
Member
Posts:
706
Location:
Verona

Status:


Grazie Lino per il video.

Vedo che l'argomento "l'ananas nell'antica Roma" è entrato nei programmi televisivi. Credevo fosse una esclusiva di questo forum, dove è stato abbondantemente discusso, e se non erro forse la discussione era nata già nel forum precedente Archeologia Italiana.

Recentemente sono stato al museo di Palazzo Massimo, dove ho potuto osservare dal vivo il mosaico delle Grotte Celoni, che raffigura "l'ananas" in questione. Conoscevo già quel museo prima dell'inizio delle discussioni, ma non avevo notato l' "ananas". Scherzando con me ho anche pensato che il museo dovrebbe cambiare la didascalia con " Antica raffigurazione dell'ananas"

Sono d'accordo con le critiche di Barbero. Inoltre, per quanto riguarda l '"ananas nell'antica Roma", vorrei sottolineare alcuni punti essenziali, che peraltro avevo a suo tempo scritto nelle discussioni su questo argomento:

1) l'ananas è originario del bacino dell'Amazzonia
2) L'ananas ha bisogno di un clima tropicale, non cresce in tutto il bacino del Mediterraneo, Africa del Nord o Medio Oriente.
2) Il frutto è molto deperibile, deve essere trasportato molto velocemente in ambiente refrigerato.
4) L'ananas somiglia molto ad una pigna, che è frequentemente rappresentata nell'arte romana. Il presunto ananas del mosaico di Palazzo Massimo è anche piuttosto piccolo, più compatibile con una pigna.
 
Top
view post Posted on 3/10/2014, 20:10
Avatar

Advanced Member

Group:
oikistés
Posts:
2,732
Location:
La terra dei canguri

Status:


Sull'ananas rispondo io, visto che ho avuto modo di leggere sia gli articoli di Ciferri che di Casella.

1) le rappresentazioni romane di pitture sono molto realistiche, almeno fino ad una certa epoca; i soggetti principali (quelli che in genere si trovavano al centro della raffigurazione) dovevano essere ben riconoscibili ed identificabili perché assumevano precisi significati a livello iconologico. Nella decorazione di contorno invece si era un po' più liberi. Però le raffigurazioni di ananas citate da Casella, così come quella del mosaico, si trovano tutte nella parte centrale.

2) Ciferri scrive un articolo in risposta a Casella, confutando la sua teoria, ma Casella controbatte con un altro articolo, confutando il Ciferri, a cui poi quest'ultimo non fa seguire altra risposta.

3) Casella fa una comparazione a livello di caratteri carpologici, mettendo là dove esistono i corrispettivi frutti moderni. Alcune delle specie da lui identificate oggi sono accertate (es. mele cotogne). Casella identificò anche il limone negli affreschi, frutto che non è sempre stato dato per assodato che i Romani coltivassero. Su alcuni siti internet si legge infatti che la coltivazione del limone è avvenuta in epoca post-classica e ci sono studiosi che sostengono che i limoni raffigurati siano stati visti nel loro paese d'origine dagli artisti o importati. Ma uno studio sui caratteri dei limoni rappresentati ha dimostrato che essi somigliano moltissimo alla varietà che viene chiamata sorrentina, il che fa pensare che invece i Romani li coltivassero. Tanto è vero che la Soprintendenza di Napoli e Pompei ha ricreato un giardino dell'epoca in cui sono presenti anche i limoni, tutto ciò dopo un attento studio archeobotanico (http://www.beniculturali.it/mibac/export/M...1201645513.html)

4) soltanto le raffigurazioni di Pompei e quella del mosaico presentano il ciuffo tipico dell'ananas. Tutte le altre raffigurazioni si capisce chiaramente che siono pigne. Addirittura nella casa del larario una raffigurazione ha il ciuffo e l'altra invece (che poi è quella con la quale Ciferri si confonde) no. Gli artisti romani sapevano dunque benissimo che le pigne non hanno ciuffo.

5) l'ananas del mosaico delle Grotte Celoni è piccolo, ma nell'antichità i frutti erano in genere più piccoli ed a tutt'oggi esiste una varietà di ananas detto "baby ananas" o "ananas mignon" proprio in virtù della sua taglia decisamente più piccola.

6) per finire sulla veridicità delle rappresentazioni di frutti e vegetali presso i Romani: nel fregio vegetale dell'Ara Pacis, una biologa dell'università di Roma Tre è riuscita a riconoscere ben 50 specie di piante, e stiamo parlando di un bassorilievo, dove è più difficile rispetto ad una pittura rappresentare nei dettagli un fiore o un frutto.


In sintesi, non posso mettere la mano sul fuoco che quelli citati siano ananas, ma sarei cauta a dare per scontato che si tratti di pigne.
 
Top
view post Posted on 3/10/2014, 23:07

Member

Group:
Member
Posts:
706
Location:
Verona

Status:


Leda, se si vuole seguire il metodo scientifico, si devono considerare tutti i fatti, non un solo aspetto. In questo caso non ci si può limitare al realismo dell'arte romana, ben riconosciuto e che nessuno vuol mettere in discussione, come anche la precisione degli antichi Romani nel dipingere o scolpire specie vegetali botanicamente riconoscibili (fatto anche questo ben riconosciuto). Sono tuttavia specie botaniche italiche o appartenenti alle aree geografiche dominate dai Romani.

Per quanto riguarda gli agrumi, anche se si generalmente si ritiene che siano stati introdotti nel bacino del Mediterraneo dagli Arabi, non ho molti problemi a credere che fossero conosciuti durante l'Impero Romano: sono originari dell'Oriente e crescono benissimo nell'Italia centrale e meridionale.

Per l'ananas invece,le difficoltà sono davvero difficili da superare: come avrebbero potuto i Romani conoscere un frutto originario dell'Amazzonia, che poteva crescere solo in aree non appartenenti all'Impero, altamente deperibile (parliamo di alcuni giorni, massimo qualche settimana se refrigerato)?
Gli Spagnoli, dopo la scoperta dell'America, hanno coltivato l'ananas nelle loro colonie in America, Africa e Filippine. E in Europa per diversi secoli è stato consumato (da un'elite) in forma conservata (una specie di candito) e più tardi in scatola.
La possibilità di mangiare ananas fresco è piuttosto recente.

Potrei anche aggiungere che tutti i tipi di frutti conosciuti dai Romani sono tutt'ora coltivati ( a parte l'appiattimento genetico e la perdita di tante varietà nel periodo moderno), mentre l'ananas sarebbe completamente scomparso.

Questi fatti mi fanno ritenere altamente improbabile che gli antichi Romani conoscessero l'ananas.
 
Top
view post Posted on 4/10/2014, 18:33
Avatar

Advanced Member

Group:
oikistés
Posts:
2,732
Location:
La terra dei canguri

Status:


Io ho solo detto che sono fortemente dubbiosa che quella rappresentata sia una pigna. Non ho detto che sia ananas.
Comunque sia l'ananas non doveva per forza essere coltivato in Italia per essere conosciuto e raffigurato dai Romani. Bastava che fosse coltivato in uno dei territori con il quale i Romani commerciavano. Nella fattispecie, l'ananas è attualmente coltivato in India dalla quale giungevano a Roma vari prodotti, come alcune spezie.
A parte questo, c'è anche l'ipotesi che possa trattarsi di un frutto simile all'ananas, ma sulla pigna, ripeto, io ho forti perplessità.
 
Top
view post Posted on 16/11/2014, 14:09
Avatar

- Γνῶθι σεαυτόν -

Group:
àrchon
Posts:
1,882
Location:
dalla terra degli illustri Tirreni

Status:


Sul nuovo numero di una nota rivista italiana di archeologia è uscito un articolo di Daniele Manacorda (di cui mi sono perso la prima parte, a quanto vedo), in cui si riportano le opinioni di Lucio Russo, circa l'identificazione delle Isole Fortunate di Claudio Tolomeo con le Piccole Antille, e non con le più note Canarie. A detta dell'archeologo, a sostenere le idee di Lucio Russo ci sarebbero stringenti calcoli matematici, di cui lo studioso si dice certo e che questi adduce proprio come prove della effettiva conoscenza di questi luoghi in età ellenistica. Secondo questa suggestiva ipotesi, i Romani, successivamente, avrebbero ridotto i loro orizzonti geografici, preferendo non espandersi per mare nell'Oceano Atlantico, e accontentandosi di esplorazioni lungo le coste africane e iberiche.

Ma è realmente possibile, a questo punto, che contatti plurisecolari di Fenici e Cartaginesi con le Piccole Antille non abbiano lasciato tracce evidenti a livello archeologico in suolo mediterraneo? Possibile che non si trovino prove certe di manufatti o prodotti precolombiani fra Mediterraneo Occidentale e Orientale, prima del 1492? A livello storico, è facile tirare in ballo numeri e conti sulla carta... ma quando le prove concrete (archeologiche) mancano, come può pronunciarsi l'archeologo? Quanto peso si deve dare a queste ipotesi? Quanto possono essere ritenute probabili (o anche solo plausibili)?
 
Top
view post Posted on 16/11/2014, 16:38
Avatar

Senior Member

Group:
oikistés
Posts:
19,439
Location:
Germania

Status:


Anch'io ho letto recentementa qualcosa del genere, che in base a nuovi calcoli le Isole Fortunate sarebbero state proprio le Antille, ma ora (Alzheimer?) non ricordo dove. Non era comunque una rivista italiana. Ci penso un o' e guardo in giro se ritrovo l'articolo.
 
Top
view post Posted on 16/11/2014, 18:07
Avatar

Usékar - Usékol: lo shamano Talamanca

Group:
oikistés
Posts:
4,026
Location:
Verona - Forlì

Status:


Non mi permetto di esprimere pareri, tantomeno un giudizio, tra l'altro nemmeno conoscevo l'esistenza della pubblicazione di Russo.
Mi limito a riportare alcuni indirizzi utili.

Qui, una intervista a Lucio Russo, con in calce alcuni estratti del suo studio
http://maddmaths.simai.eu/divulgazione/var...-a-lucio-russo/

Qui, un articolo di Valdimiro Valerio apparso sulla rivista Geostorie (forse per consultarlo è necessario essere registrati su academia.edu)
https://www.academia.edu/7275122/Spunti_e_...rore_di_Tolomeo
Valerio è molto critico nei confronti di Russo, sia dal punto di vista epistemologico, sia nei confronti del presunto errore attribuito da Russo a Tolomeo.
Tra l'altro, mi sembra risponda implicitamente alla domanda di Perseo
CITAZIONE
ma quando le prove concrete (archeologiche) mancano, come può pronunciarsi l'archeologo?

citando tra l'altro lo stesso Russo (vedi a cavallo tra le pagg. 78 e 79) e riportando varie citazioni dai lavori di Feyerabend.
 
Top
view post Posted on 17/11/2014, 12:09
Avatar

- Γνῶθι σεαυτόν -

Group:
àrchon
Posts:
1,882
Location:
dalla terra degli illustri Tirreni

Status:


Grazie Usékar, questo articolo è molto utile e interessante. Riconosco e ammetto tutta la mia ignoranza ed estraneità a problematiche di tipo matematico, geografico e cartografico, che non mi avrebbero mai permesso di individuare gli errori segnalati da Valerio riguardo i calcoli di Russo. Valerio, altrettanto onestamente, non va ad affrontare i problemi relativi alla parte delle 'prove' culturali, archeologiche e biologiche - che non gli competono - e su questo punto sarebbe interessante fare qualche approfondimento.

Noto che, fra le bibliografie segnalate da Russo, c'è pure un volume di Berry Fell (famoso studioso americano, già tacciato da Manfredi - ne 'Le Isole Fortunate' - di essere un po' troppo fantasioso e, soprattutto, troppo autoreferenziale), il ché mi fa partire guardingo... Però devo anche ammettere che l'estratto dal Popol Vuh sugli uomini bianchi e neri, parlanti lingue differenti e giunti da Oriente, dal oltre il mare, è veramente singolare, e tutto questo meriterebbe di analizzare a fondo ogni singolo dato. Anche la storia della sifilide sarebbe interessante da approfondire, per cercare di ricostruire l'origine effettiva e il percorso di questo batterio nei secoli e nella geografia.
 
Top
view post Posted on 17/11/2014, 12:44
Avatar

Usékar - Usékol: lo shamano Talamanca

Group:
oikistés
Posts:
4,026
Location:
Verona - Forlì

Status:


Tieni presente che il Popol Vuh non è quel che si può dire un esempio di fonte assolutamente attendibile.
La redazione più antica conosciuta risale al 1702, o perlomeno, quella è la data del rinvenimento di una copia, in un archivio di Città del Guatemala.
Si tratta di una raccolta di narrazioni mitiche proprie dell'etnia guatemalteca Maya Quiché, scritta nel loro dialetto ma con caratteri latini, quindi sicuramente messa per iscritto parecchi anni dopo la conquista spagnola, anche perché le terre Maya del Guatemala furono effettivamente occupate e colonizzate dopo il 1600.
Morale: i racconti sono stati probabilmente influenzati dai contatti con gli spagnoli, anche se non si può sapere come e quanto.
Nella iconografia Maya di epoca classica (200 a.C. - 900 d.C.) dipinta su vasi e affreschi non c'è traccia di individui dai tratti caucasici, africani o asiatici.
Resta però il problema di giustificare i caratteri negroidi delle grandi teste scolpite dagli Olmechi, nonché alcune analogie tra motivi, soprattutto geometrici, scolpiti e dipinti dalle popolazioni della Mesoamerica e della Cina.
 
Top
view post Posted on 17/11/2014, 13:36
Avatar

- Γνῶθι σεαυτόν -

Group:
àrchon
Posts:
1,882
Location:
dalla terra degli illustri Tirreni

Status:


CITAZIONE (Usékar @ 17/11/2014, 12:44) 
Resta però il problema di giustificare i caratteri negroidi delle grandi teste scolpite dagli Olmechi, nonché alcune analogie tra motivi, soprattutto geometrici, scolpiti e dipinti dalle popolazioni della Mesoamerica e della Cina.

Vabbè, ora non vorrei sembrare semplicista, ma sui motivi geometrici sono sempre stato abbastanza dubbioso, perché ricordo di aver visto alcuni dei simboli sui famosi mattoni di Comalcalco che erano rintracciabili pari pari nel sillabario minoico e miceneo. Possono sicuramente esserci motivi anche più complessi, ma simboli quali, per esempio, il cerchio concentrico, la croce, l'asterisco, il filetto, la svastica, possono essere tranquillamente comuni (proprio per la loro semplicità) alla maggior parte dei popoli del nostro mondo. Anche ammettendo che un determinato motivo non sia una creazione autoctona di un determinato popolo, inoltre, non scordiamoci - questo per davvero - che tali motivi viaggiavano sugli oggetti su cui erano riprodotti, e che il fatto che alcuni oggetti siano giunti (più o meno casualmente) molto lontano dal loro luogo di produzione non implica affatto l'esistenza di contatti commerciali stabili fra i produttori e i possessori ultimi.

Delle teste Olmeche, invece, conosco ben poco... Solo mi chiedo: quanti popoli occidentali dai tratti negroidi avevano conoscenze e mezzi sufficienti per compiere una traversata oceanica con successo, in epoche così remote?
 
Top
view post Posted on 17/11/2014, 14:02
Avatar

Usékar - Usékol: lo shamano Talamanca

Group:
oikistés
Posts:
4,026
Location:
Verona - Forlì

Status:


CITAZIONE (Perseo87 @ 17/11/2014, 13:36) 
quanti popoli occidentali dai tratti negroidi avevano conoscenze e mezzi sufficienti per compiere una traversata oceanica con successo, in epoche così remote?

Qui torniamo sempre al punto di partenza, la mancanza di prove veramente attendibili.
Il racconto del Popol Vuh non lo è, l'iconografia nemmeno (anche se in alcuni casi non si tratta di croci, cerchi, spirali e disegni così semplici, che sono patrimonio culturale condiviso da tutte le antiche popolazioni, sin da tempi remotissimi).
Per ora, ci dobbiamo limitare alla trattazione speculativa, come è il caso del lavoro di Russo. Che appunto a sua volta non sembra scevro da errori e forzature.
 
Top
view post Posted on 18/11/2014, 16:31
Avatar

Advanced Member

Group:
oikistés
Posts:
2,732
Location:
La terra dei canguri

Status:


Secondo me l'errore che fanno sia Cadelo che Russo è quello di voler pensare che popolazioni così distanti tra loro abbiano avuto, in età classica, dei veri e propri contatti commerciali. Che le Isole Fortunate possano essere le Antille, non ci vedrei nulla di così strano, se il tutto si limitasse a sostenere che qualcuno di quei popoli antichi abbia visto quelle isole. Nel senso che effttivamente qualcuno tra Fenici, Cartaginesi ci potrebbe pure essere stato, ma da qui a parlare di rotte commericiali ce ne vuole.

Come ho già detto in un'altra discussione, perché ci siano commerci diretti tra due territori occorrono due cose, principalmente:
1) poter andare e venire da un luogo all'altro in tempi non eccessivamente lunghi e con un margine di sicurezza (specie nei viaggi via mare, occorre poter disporre di navi sicure e di viveri sufficienti per il viaggio);
2) che il territorio con il quale si commercia abbia ricchezze che non sono presenti in territori più vicini con i quali già si intrattengono relazioni commericiali.

Quindi le domende da porsi, secondo me, sono: i Fenici o Cartaginesi avevano navi adatte per un viaggio così lungo e il viaggio era per loro abbastanza sicuro, o comunque non meno pericoloso di altri? E, soprattutto, il gioco valeva la candela - cioè le ricchezze delle Antille erano tali da giustificarlo?
A mio modesto parere le Antille ai Fenici o Cartaginesi non è che potessero offrire molto di più di quanto offrissero gli altri paesi del Mediterraneo.
 
Top
59 replies since 28/2/2012, 00:40   2709 views
  Share