Come dicevo ho letto la tesi della Pruitt. Riassumo magari di cosa si tratta dato che l'abbiamo citata, in particolare per chi non avesse tempo di leggerla o per chi avesse particolari difficoltà con la lettura in lingua. Per chi invece ha in progetto di leggerla, vi tranquillizzo. Pur essendo una MA Thesis, una tesi di Master che corrisponde alle nostre tesi di laurea magistrale o specialistica o del vecchio ordinamento, non è il solito "mattone" di svariate centinaia di pagine che noi siamo soliti produrre.
Innanzi tutto, c'è da chiarire che l'elaborato non tratta tanto le prove materiali a carico dell'esistenza delle piramidi bosniache - peraltro scarse almeno nel periodo in cui il testo è stato scritto - ma considera queste ultime un caso di "invented heritage". Letteralmente "patrimonio inventato", inteso come eredità, retaggio. Potremmo dire "invenzione del passato", o "invenzione della tradizione" per riprendere il titolo di una raccolta di saggi di antropologia storica curata da Eric Hobsbawm e Thomas Ranger (utilizzata dalla stessa Pruitt. Tra l'altro, è un testo che consiglio vivamente). Il termine "heritage" però a mio avviso rende di più l'idea, trattandosi anche di invenzione del patrimonio culturale, che come tale vede convergere non solo interessi politici e religiosi, ma anche interessi sociali ed economici vivi, attuali.
Il lavoro è orientato quindi verso questioni metodologiche, non di scavo ma di teoria archeologica ed epistemologica, e di rapporto dell'archeologia e degli archeologi con la società. Il punto in questione non è tanto come si costruisce la conoscenza archeologica dall'interno e al suo interno, come l'archeologia sa ciò che sa. E nemmeno tanto come essa si differenzia rispetto alla pseudoarcheologia. Piuttosto riguarda il modo in cui viene utilizzata dalla pseudoarcheologia - ambito entro il quale si dà per scontata la collocazione del caso in questione - e il ruolo che essa assume e intende assumere nei suoi confronti, proprio anche come oggetto di studio e soggetto "interlocutorio". In particolare chi viene da una formazione storica come il sottoscritto, ritroverà numerose analogie con alcuni vecchi compagni di viaggio: l'(ab)uso pubblico (e politico) della storia, e gli allegati dibattiti, sempre pubblici e politici, sul "revisionismo" e sul negazionismo.
Anche qui rassicuro i futuri lettori. Pur trattando questioni metodologiche, epistemologiche, di teoria e filosofia della conoscenza, sociologiche, antropologiche, di storia del pensiero archeologico e di storia in generale (in particolare la storia politica recente dei Balcani), sono tutti concetti in larga parte comprensibili senza particolari bagagli culturali specifici - d'altro canto, sviluppare rigorosamente ognuna di queste questioni avrebbe richiesto ben più delle 75 pagine lungo le quali si dipana il discorso della Pruitt, e la capacità di maneggiare una mole di conoscenze e di letteratura che se anche fosse nelle capacità del candidato, andrebbe comunque ben al di là dell'oggetto di una tesi archeologica, al quale bene o male ci si deve attenere.
Per quanto riguarda le prove, i resti materiali, come dicevo all'inizio ci si sofferma poco. Si fa menzione (p. 17) di uno scheletro ritrovato dal team di Osmanagic, sottoposto, per sua stessa dichiarazione, ad analisi per determinarne il periodo di appartenenza, del quale non si saprebbe più nulla. A tal proposito, Imamovic del Museo Nazionale di Sarajevo, riporta la Pruitt (ibid.), pensa che Osmanagic sia incappato in una necropoli medievale. Per il resto, si dice che nonostante l'assenza di resti materiali a supporto (pp. 17-19: "Despite the lack of supportive archaeological remains or artifacts"), Osmanagic pubblica nel 2006 un libro (
Bosnian Pyramid of the Sun) in cui dichiara che il suo lavoro proverebbe l'esistenza delle piramidi. Il mondo dell'archeologia "ufficiale", "mainstream", dal canto suo ha finito per considerare il sito solo un esempio di pseudoarcheologia (p. 26. A p. 52 si dice chiaramente che “le piramidi bosniache non esistono nel modo in cui Semir Osmanagic e i suoi seguaci sostengono. Le colline sono semplici formazioni geologiche, e non importa quanto duramente Osmanagic possa cercare, egli non produrrà comunque evidenze di una superciviltà).
Dopo un'accoglienza non pregiudizialmente ostile da parte dell’archeologia "ufficiale" (Bruce Hitchner della Tufts University inizialmente pensò che potesse trattarsi di tombe monumentali di periodo pre-romano appartenenti all'élite: p. 26), con il tempo, e con il comportamento (sul campo e non) e le dichiarazioni di Osmanagic, le reazioni si sono fatte più dure. Articoli di critica e di denuncia sono stati pubblicati sulle riviste
Archaeology Magazine,
Science Magazine e
British Archaeology (p. 26. Ci si riferisce a: Kampschror B., "Pyramid Scheme",
Archaeology Magazine 59, 2006, pp. 22-28 - qualcosa si può leggere qui:
www.archaeology.org/0607/abstracts/bosnia.html ; Rose M., "The Bosnia-Atlantis Connection",
Archaeology Magazine, 2006,
www.archaeology.org/online/features/osmanagic/index.html ; Id., "More on Bosnian 'Pyramids'",
Archaeology Magazine, 2006,
www.archaeology.org/online/features/osmanagic/update.html ; Bohannon J., "Mad About Pyramids",
Science Magazine 313, 2006, pp. 1718-1720; Id., "Researchers Helpless as Bosnian Pyramid Bandwagon Gathers Pace",
Science Magazine 314, 2006, p. 1862; Harding A., "The great Bosnian pyramid scheme",
British Archaeology 92, 2007, pp. 40-44).
L'archeologia "scientifica" sembrava entrarci come i cavoli a merenda, e molto più importanti sembravano invece essere altre questioni: politiche, religiose, sociali, economiche e culturali - nel senso identitario, del patrimonio di cui sopra, di collante che lega un popolo o una società, e il suo riscatto. Le azioni e gli scopi della fondazione di Osmanagic, "il capo" ("the chief": p. 19), non apparivano chiari (ibid.), nondimeno affluivano sostanziosi finanziamenti (circa 500.000 $ nel 2006: p. 42. Lo stesso Osmanagic finanzia, non essendo un poveretto). Tanto che “many archaeologists are horrified at the amount of money going into the project” (molti archeologi sono inorriditi - o sconvolti - di fronte alla quantità di denaro che confluisce nel progetto: p. 42).
Al di là dell’assenza o meno di resti materiali convincenti, in che senso metodologicamente e, come dire, operativamente si tratta di pseudoarcheologia? Alcune caratteristiche che contraddistinguono la metodologia e il modo di operare di quest’ultima, sono riportate dalla Pruitt (p. 29. Riprese da Fagan G., a cura di,
Archaeological Fantasies. How Pseudoarchaeology Misrepresents the Past and Misleads the Public, New York, Routledge, 2006): aderenza a modelli teoretici/teorici sorpassati, disprezzo e denigrazione del mondo accademico ma allo stesso tempo ricorso all’autorità accademica, esposizioni selettive e/o distorte, modo di argomentare multidisciplinare e confuso (“The “kitchen-sink” mode of argument [multi-disciplinary]”), definizioni vaghe, superficialità e confronti grossolani e molto generali, numerose carenze che vanno da errori di logica interna e non a incongruenze, incoerenze, contraddizioni e inconsistenze varie. E via discorrendo.
Alcuni esempi. Osmanagic sostiene (ci si riferisce ovviamente al periodo in cui la tesi è stata scritta, nel 2007) di avere un comitato internazionale di esperti, benché molti dei nomi degli esperti vengano utilizzati senza il consenso degli interessati e le loro opinioni fraintese e mistificate (p. 34). Gli archeologi, studiosi e accademici bosniaci (si noti che in Bosnia non esiste una facoltà o un corso di laurea in archeologia, e l’unica preistoricista, che ha ricevuto lettere minatorie perché critica, è Zilka Kujundzic-Vejzagic) che hanno avanzato critiche e dissensi relativi al progetto (e qui viene fuori un aspetto del contesto politico), sono stati accusati di essere traditori della patria e attaccati pubblicamente mediante lettere, comunicati, interviste, dibattiti, ecc. (pp. 42-43). La preoccupazione dei suddetti riguarda anche il possibile danneggiamento del forte medievale situato sulla collina della piramide del sole, e dei resti di siti medievali e neolitici che si trovano nell’area circostante e nei quali Osmanagic, secondo le prove fornite dagli studiosi, sarebbe incappato (p. 43). D’altro canto, e torniamo al contesto specifico in cui si svolge la vicenda, il già citato prof. Hitchner sostiene che “la truffa - “scam”: frode, imbroglio, raggiro - è resa possibile dalla mancanza di una effettiva autorità centrale” (ibid.).
Per restare al contesto: “se si vuole capire cosa sta succedendo a Visoko, si deve visitare Medjugorje” (p. 37). Da un certo punto di vista non è una novità, perché già Trigger (Bruce Trigger,
Storia del pensiero archeologico, Firenze, La Nuova Italia, 1996. L’edizione originale è del 1989 ma nel 2006 è uscita una seconda edizione presso Cambridge University Press) notava come la fantarcheologia fosse più vicina a un certo modo di intendere e vivere la fede religiosa che non all’archeologia (e non fa differenza per certi tipi di “revisionismi”, che sono operazione puramente ideologica - rientra nella sfera dell’ideologia anche la religione - o ancor più per i negazionismi). Ma non è solo questo il punto. Tralasciando la questione dei fondi islamici, per la quale rimando alla tesi, c’è il risvolto turistico-economico. Prima delle piramidi la cittadina accoglieva circa 10.000 turisti l’anno, nel 2006 sono stati 250.000 (p. 39. Con gli episodi “folkloristici” che ci possiamo immaginare, come il fiorire di souvenir o il cambio di nome del principale hotel che da “Hotel Hollywood” si è trasformato in “Motel Piramida Sunca” - “Motel Piramide del Sole”).
Più sopra si è detto che la pseudoarcheologia nonostante avversi il mondo accademico e scientifico, contemporaneamente cerchi di rientrarvi in qualche modo, di darsi un tono, di cercare autorevolezza scimmiottando qua e là e ammantandosi di scienza. Nella diffusione di tale percezione presso il largo pubblico e la cultura diffusa, spesso sono complici i mezzi di comunicazione di massa e il chiacchiericcio pubblico (e politico. Qui si situa un altro fortissimo punto di contatto con i “revisionismi” e i negazionismi in campo storiografico) che vi si accompagna (per tutto ciò e per quel che segue si veda l’intero quarto capitolo della tesi).
“Si sarebbe potuto pensare che la storia della piramide bosniaca dell’era glaciale si sgonfiasse come un soufflé venuto male, invece no” (p. 48. Non dimentichiamo che Osmanagic fa risalire la piramide del sole a circa 8.000-12.000 anni fa). Perché non è avvenuto? Tra le altre cose, grazie ai mass media. Qualche esempio dei tentativi di comunicare la pretesa e ricercata autorevolezza scientifica e la autorappresentazione del manto con il quale si è cercato di rivestirsi - ma solo apparentemente, perché della costruzione di un’apparenza di metodologia scientifica (il manto) si tratta.
Il metodo consiste nell’imitare documenti e linguaggio scientifico. Come avviene con il documento
Scientific Evidence about the Existence of Bosnian Pyramids (p. 61). Tuttavia, nessuna delle affermazioni, inclusa la lista di esperti, sono documentate e supportate da testimonianze reali (ibid.). Più sopra si è detto dell’utilizzo di nomi di esperti e studiosi senza il loro consenso, e della manipolazione delle loro opinioni e dichiarazioni. Un altro episodio è quello riguardante il video presentato all’ambasciata bosniaca a Londra. Preceduto dalla dichiarazione di Osmanagic “il team include un archeologo dell’università di Oxford”, il video mostra un ragazzo che presso la piramide della luna si dice “convinto che si tratta certamente di un qualche tipo di struttura monumentale realizzata dall’uomo” (p. 59). Peter Mitchell, un archeologo di Oxford, spiegherà poi alla rivista
Science Magazine che si trattava di un “undergraduate student” che “non aveva alcuna esperienza e competenza - expertise - e non rappresentava in alcun modo l’università” (ibid.).
Per quanto riguarda invece l’aspetto opposto e complementare, l’avversione verso il mondo accademico e scientifico, basti dire che la creazione di un nemico è una strategia vecchia quanto il mondo, o almeno quanto l’uomo. Non c’è nemmeno bisogno di citare i casi in cui essa è stata usata sistematicamente, da Stalin a Berlusconi per restare ai più recenti. E d’altro conto un eroe, un crociato, ha bisogno di nemici. Anche questo viene fatto tuttavia, in qualche modo, scimmiottando la storia della scienza (che so, ad esempio la tesi dei paradigmi e delle rivoluzioni di Kuhn, o anche solo gli esempi offerti dagli albori della rivoluzione scientifica). Osmanagic ci dice infatti che “ogni nuova idea - ovviamente la sua - all’inizio incontra degli oppositori, degli avversari. Più grande è l’idea, più aggressivi sono gli avversari” (p. 56).
Ciò detto, sono molto d’accordo con Tera Pruitt quando ricorda che “i casi di pseudoarcheologia sono in ultima analisi processi sociali all’interno di più vasti contesti storico-sociali, e come tali devono essere riconosciuti” (p. 30). La pseudoarcheologia come “invented heritage” è quindi senz’altro il prodotto di processi sociali complessi, “e pertanto dovrebbero essere studiati” (p. 68). Se il compito spetti a sociologi, antropologi o archeologi, come si chiede la Pruitt (ibid.), ai quali aggiungerei sicuramente gli storici, e anche i filosofi, è relativamente importante, e l’apporto degli uni non esclude quello degli altri, ma anzi possono benissimo completarsi a vicenda tendendo verso l’obiettivo di comporre e restituire almeno una parte di realtà, di verità, un po’ meno “pseudo”.
Edited by §Karl§ - 7/6/2011, 08:50