Alcuni degli interrogativi più interessanti, ai quali è difficile dare una risposta, riguardano le tecniche con cui venivano realizzati gli oggetti in giadeite.
Partiamo da alcune considerazioni di fondo.
Per quanto ne sappiamo, gli artigiani del Mesoamerica non conoscevano il tornio a ruota nè la tecnologia dei metalli, a prescindere dal non trascurabile dettaglio che la giadeite non viene scalfita nemmeno dall'acciaio più temprato.
Di conseguenza, gli strumenti che avevano a disposizione per lavorare la giada dovevano/potevano essere:
- martelli di quarzite e giadeite, per sgrezzare il materiale
- corde seganti, di fibre vegetali o stringhe di pelle, cosparse di grasso cui veniva fatta aderire polvere abrasiva, per tagliare il materiale sgrezzato
- seghe realizzate fissando schegge di selce e/o ossidiana su lunghi 'coltelli' di legno, per l'uso di cui sopra
- scalpelli e bulini in quarzo, ossidiana o selce, per incidere e 'disegnare'
- trapani a pressione e/o ad archetto, per fare i fori
- punte in selce o ossidiana, da immanicare sull'asta del trapano
- canne ricche di silice e ossa cave di animali, soprattutto uccelli, da immanicare sull'asta del trapano per creare protuberanze
- stecche di legni ricchi di silice e raschiatoi in selce o ossidiana, per creare piccoli solchi
- pellami di vario tipo cosparsi di polveri abrasive, per lucidare
- pietre di quarzo e agata, per dare il lustro finale.
Provo a descrivere i primi tre passi del processo di estrazione/lavorazione.
Quasi sicuramente come materia prima venivano utilizzati blocchi di giadeite estratti da cave a cielo aperto, situate nella zona del rio Motagua in Guatemala, oppure ciottoli di giadeite, anche di grandi dimensioni, raccolti nel letto del rio stesso.
I ciottoli fluviali sono in genere abbastanza lisci ed hanno una forma più o meno regolare, molto spesso subsferica o simile a quella di un grosso scalpello manuale (celt).
Per quanto riguarda, invece, i blocchi estratti dalle cave, dobbiamo presumere che il primo passo fosse quello di sgrezzarli e renderne la forma più 'regolare' mediante percussione tra loro o con l'uso di martelli la cui testa era realizzata con quarzite o giadeite.
Il materiale con cui era realizzata la testa dei martelli doveva necessariamente essere molto compatto e di buona qualità per poter resistere a forti e ripetuti colpi (tutte le fonti a me note sono concordi nell'affermare che i martelli in acciaio rimbalzano dopo aver percosso le rocce di giadeite, senz'altro risultato che l'emissione di un suono giudicato 'musicale').
Per quanto riguarda Olmechi e Nicoyani, i blocchi così ridotti venivano ulteriormente lavorati fino a che non acquistavano la forma di uno scalpello a mano, quella forma che in inglese è detta 'celt' e che in italiano è chiamata impropriamente ascia.
Il contorno facciale di questi oggetti richiama quello di un petalo di fiore, per cui spesso vengono chiamate asce petaloidi.
Il fatto che riducessero inizialmente il materiale grezzo a un'ascia si pensa dovuto a credenze magico-religiose.
Non è noto in quale punto del viaggio dal Guatemala al Golfo del Messico o alla Penisola di Nicoya questa operazione avvenisse, se cioè in prossimità delle cave, oppure in un punto intermedio del viaggio o addirittura alla fine, ad opera degli stessi fruitori finali.
Dagli esempi noti di materiale semigrezzo rinvenuti in Costa Rica, sembra che questo passo venisse compiuto alla fine del viaggio, ma tali esempi sono troppo pochi per poterlo affermare con assoluta certezza.
Ottenuta la 'forma base', cioè quella di ascia petaloide, i Nicoyani procedevano a tagliarla in due metà lungo il piano verticale tallone-lama ovvero in tre parti lungo il piano sagittale.
Le tracce di lavorazione visibili sul materiale grezzo e sul retro degli oggetti finiti ci portano a scartare l'ipotesi che venissero utilizzate seghe con lame in selce, mentre ci fanno pensare che l'operazione venisse condotta mediante l'uso di seghe ad arco, la cui parte 'attiva' si pensa fosse costituita da una corda realizzata interecciando fibre vegetali o stringhe di pelle animale.
La corda doveva essere spalmata di grasso sul quale veniva fatta aderire polvere abrasiva (sabbia quarzifera o giadeite macinata).
E qui si pone il primo problema.
L'archeologia sperimentale condotta sinora negli USA è giunta a questo risultato:
'16 ore di lavoro con corde seganti furono necessarie per produrre, in una nefrite dell'Alaska, un solco lungo 4.3 cm, profondo .6 cm e largo .4 cm. Inoltre venne consumata una grande quantità di corde, perchè queste si rompevano più o meno dopo 12 strappi. Venne evidenziata, inoltre, una grande difficoltà nel far aderire grasso e polvere abrasiva alle corde'
(Marc Chenault: Jadeite, Greenstone and the Precolumbian Costa Rican Lapidary in F.W.Lange ed., Costa Rican Art and Archaeology, The Univ.of Colorado, Boulder, 1988, traduzione mia).
In questo caso, il grasso aveva la doppia funzione di 'collante' per la polvere abrasiva e di lubrificante.
Prima osservazione: la nefrite è meno dura della giadeite, anche se non di molto.
Seconda osservazione: a giudicare dagli oggetti che conosciamo, i tagli realizzati sono in genere lunghi 10-18 cm, profondi 6-10 cm e larghi 1 cm (anche se non mancano esempi di tagli di lunghezza ben maggiore, tipo per es. 33 cm per l'oggetto di Talamanca de Tibàs già citato).
Questo vuol dire dover moltiplicare almeno per 30/50 volte il numero delle ore necessarie per realizzarli, ottenendo 480/800 ore di lavoro solo per staccare un pezzo di giadeite dalla matrice.
Inoltre, il consumo di materiale d'uso, in particolare di corde, durante l'esperimento è risultato eccessivo, anche a causa della difficoltà a mantenere in sede il grasso e la polvere abrasiva.
Domanda: dato che tecnica analoga sembra sia stata utilizzata in Cina a partire dal 3000 a.C. fino al V sec.a.C. e dai Maori neozelandesi dal 1200 d.C. fino alla fine del 1800, ci sono studi di archeologia sperimentale che chiariscano questo aspetto? Oppure che riguardino altre culture e altri materiali, ma si possano applicare per 'analogia'?
In pratica
- quale materiale si può utilizzare per realizzare corde molto resistenti all'usura?
- come si può far aderire il materiale abrasivo alle corde?
- cosa si può utilizzare come lubrificante?
Ovviamente, si parla di materiale non metallico e facilmente disponibile all'epoca e nella zona.
Per quanto ne so, le antiche cronache cinesi ci parlano di un unguento la cui formula veniva tenuta segreta da ciascun artigiano: qualcuno ha maggiori notizie in merito?
Provo ad allegare qualche mio disegno esplicativo: non sono un granchè come grafico.
http://yfrog.com/0kfasidilavorazione001jSpero che l'immagine sia disponibile e che si leggano i numeri di riferimento, qui trascrivo la legenda
1) Taglio di un blocco con corda segante
2) a) vista frontale di 'celt' finito
b) vista laterale prima del dimezzamento
3) Vista laterale post dimezzamento
a) recto
b) obverso di un ‘celt’ dimezzato
4) ‘Celt’ dimezzato lavorata come ‘dios hacha’ (o ‘axe god’ in inglese)
5) Taglio sagittale di un ‘celt’ in 3 parti
6b) Terzo centrale
7) Pendente ricavato dal terzo centrale
6a) e 6c) Terzi laterali
8) Il terzo laterale viene ‘ribaltato’ (a– visione frontale b– visione laterale)
9) Pendente ricavato da terzo laterale
Edited by Usèkar - 25/10/2010, 11:40