Ostraka - Forum di archeologia

Come veniva lavorata la giadeite?

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zilc
view post Posted on 21/1/2011, 14:23




Eppure mi sembra che conoscessero sia il tornio che lo stampo...
Non è affatto vero che non conoscessero la ruota, però non risulta che l'usassero. Mi ricordo un lama con le ruote, un giocattolo. Poi ho letto di un calcolatore fatto di scatole, sassi, nodi e funi, con un funzionamento paragonabile ad un regolo calcolatore.
Scusate la fretta, devo andare
ciao
zilc
 
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view post Posted on 21/1/2011, 15:00
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Usékar - Usékol: lo shamano Talamanca

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CITAZIONE (dceg @ 21/1/2011, 14:14) 
Se non erro neppure la ceramica amerinda veniva prodotta al tornio.

Si, il tornio a ruota era sconosciuto in tutta l'America, i vasi venivano creati con la tecnica del colombino.


Zilc, sulla ruota mi sembra di essere stato chiaro, non ci sono solo llama (si scrive con 2 l iniziali) prodotti in Perù, ma soprattutto cagnolini e ungulati (cervi e/o daini) prodotti addirittura in tempi molto antichi (culture Nayarit, Colima e Jalisco, prima di Cristo) nel Messico occidentale.
Però, ripeto, per quanto si sa non ne fecero nessun uso pratico nel mondo del lavoro.
Vero è che produssero terracotte usando stampi.

Che conoscessero il trapano a pompa (vedi mie illustrazoni) è dato per certo, io credo che conoscessero anche quello ad arco e che quello abbiano usato per fare i fori nella giada, spiegherò il perchè di questa mia convinzione appena avrò tempo.
C'è un però: in Mesoamerica non sembra fosse noto l'arco come utensile, bellico e per la caccia, prima dell'arrivo degli europei.
Conoscevano il propulsore per lanciare grandi dardi, per i piccoli usavano lunghe cerbottane.
 
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zilc
view post Posted on 21/1/2011, 20:20




Eri stato chiaro sulla ruota. Non avevano nemmeno il tornio, dici. Ed il trapano invece si. Stranezza.
Neppure una carrucola?
Però questa del "llama" non te l'appoggio; in italiano, son sicuro, si dice lama con una L sola.

Riguardando il tuo ultimo disegno mi sembra che il taglio sia fatto pressando la pietra su una corda che scorre tra due pulegge, più o meno come in una sega a nastro verticale.
Se si esclude ogni ruotismo non resta che reggere con i piedi il pezzo sotto sabbia e tirare a mano la corda.
Un lavoro davvero infame che consuma più mani che pietra e viene male, poco preciso.

ciao
zilc
 
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view post Posted on 21/1/2011, 21:16
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Usékar - Usékol: lo shamano Talamanca

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Dunque, ho controllato sul dizionario, sul llama hai ragione tu, sono troppo influenzato dallo spagnolo.

Rotismi.
Ti prego, non lo dico io, lo dicono tutti i testi che parlano delle culture amerindie precolombiane: non usavano la ruota, in nessuna sua forma, non conoscevano nè carrucole nè bozzelli, non conoscevano il tornio da vasaio.
Neanche i fantarcheologi si azzardano ad affermare il contrario, non ci sono nè testimonianze archeologiche, nè raffigurazioni nè scritti post conquista che attestino l'uso di alcunchè che avesse a che fare che la ruota, a parte appunto i 'giocattoli'.

Circa l'uso del trapano, sono tutti concordi nell'affermare che conoscessero il trapano a pompa, nessuno parla di trapano ad arco, anche io ho forti dubbi in merito.

Del resto, l'archeologia dell'America precolombiana è piena di domande prive di risposta.
Per esempio, perchè nel Mesoamerica nessuno scavava miniere?
Cosa sono in effetti i quipos peruviani? (probabilmente, quella scatola con corde e nodi di cui tu rammenti qualcosa).
Quando fu effettivamente colonizzata l'America dagli umani? e cominciando da dove?
Perchè i visi delle teste colossali della cultura Olmeca hanno evidenti caratteri negroidi?
Perchè molte statue della stessa cultura mostrano esseri umani dalla barba fluente, mentre gli Amerindi sono praticamente glabri? e questo non è limitato agli Olmeca...

Solo quello che mi viene in mente al volo...
 
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view post Posted on 23/1/2011, 09:45
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Usékar - Usékol: lo shamano Talamanca

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Qui puoi vedere molti 'giocattoli' con ruote, in terracotta.
Ci sono anche alcuni esempi in oro e altro materiale, anche dal Perù.

www.precolumbianwheels.com/

Il maggior esempio di cerchio resta la grande ruota calendariale azteca dal Templo Mayòr di Mexico City, che però era in origine una lastra quadrata (se ne vede parte dei bordi) con un cerchio rilevato in mezzo

http://it.wikipedia.org/wiki/Piedra_del_Sol#Collocazione

 
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zilc
view post Posted on 23/1/2011, 11:36




Bella serie di domande quella del post precedente.
Ma lasciamole in sospeso, anche se a qualcuna si potrebbe provare a rispondere.
Ho visto i modellini con le ruote dei tuoi links, io ne conoscevo solo uno, come sai sono ignorante su queste civiltà, se sbagliassi mi correggeresti, me lo aspetto ed auguro.
La ruota del sole era quadrata, come hai detto, ha un verso, un alto ed un basso, e non è destinata a girare, non ha un perno centrale. Per scolpirla sarà stato necessario un compasso a bracci o corda, dunque l'applicazione di quell'idea di rotazione che abbiamo già nel calendario ciclico. Conoscevo un solo reperto con le ruote, ma a quanto pare i modellini con le ruote erano abbastanza comuni. I tipi di rappresentazione però non fanno pensare tanto a dei giocattoli. Il modo di costruzione degli assi delle ruote sembrano una miniaturizzazione, soprattutto nel fissaggio delle ruote con tenone che funge da coppiglia. Alcune ruote mostrano i raggi, pur essendo piene, altre sembrano avere qualcosa di simile ad una chiodatura.
E' possibile che non ci sia dessun oggetto derivato da una rotazione oltre ai fori di trapano? Pensare che il disco solare rotante fosse così sacro da non poter essere riprodotto che in ambito sacrale mi sembra esagerato. Anche l'interpretazione degli animali con le ruote ora mi pare inadeguata. Eppure sembrano avere un foro in alto per essere spinti con un bastoncino. Non si trovano decorazioni a rotella sulle ceramiche? E in fondo un tornio non è qualcosa di diverso dall'asse di quei modellini montato in verticale. D'altra parte se non esistono ceramiche tornite è certo che non venisse usato. Sono confuso. Daccordo non avere animali da tiro ma solo da soma, daccordo sul territorio sia montano che paludoso, ma un piccolo carro (come quello sul quale è montato il cane, qui www.precolumbianwheels.com/images/index.24.gif), una carriola, una macina, una carrucola, un asse girevole per produrre i vaghi delle colllane... Sarebbero stati di grandissimo aiuto. Eppure non risultano essere stati usati.
Anche questi oggetti non sono frutto di rotazione? www.precolumbiangold.com/images/1958.191.jpg
www.precolumbiangold.com/images/1951.547.jpg
ciao
zilc
 
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view post Posted on 23/1/2011, 13:04
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Usékar - Usékol: lo shamano Talamanca

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Per quanto riguarda l'uso del compasso a corda, in questo momento non saprei trovare il volume, ma ricordo di aver letto che sono state trovate tracce del suo uso in ambito architettonico Maya e Nicoyano.
In pratica, se ne sono serviti per tracciare la pianta circolare di edifici.
Se ne conoscevano questo uso, non vedo perchè non lo usassero anche per altri scopi, tipo costruire dime per misurare la sfericità delle grandi olle globulari in terracotta o le grandi sfere di pietra che furono scolpite dagli abitanti del Costarica sud occidentale (delta del Diquìs).

Ho usato la parola 'giocattolo' perchè spesso gli studiosi statunitensi li chiamano 'toys', ma anche loro dubitano del fatto che tali fossero, li considerano pittosto oggetti cerimoniali.
Tra l'altro, come ho già accennato, gli esemplari di provenienza messicana sono molto antichi, provengono da tombe pertinenti a culture che si svilupparono più o meno tra il 500 a.C. e il 300 d.C. (Nayarit, Jalisco, Colima).
Molte tombe relative a queste culture vennero saccheggiate già in antico e gli oggetti in terracotta rinvenuti erano collezionati addirittura già dagli Aztechi.

Io sono confuso quanto te, i tuoi interrogativi nascono anche nella mia testa e non solo, dato che le risposte 'sbrigative' che si trovano in giro, tipo quelle che hai letto nel sito dei 'giocattoli', secondo me non convincono nemmeno quelli che le scrivono.
Ma tant'è, i 'conquistadores' non ci hanno scritto nulla circa l'uso della ruota da parte dei precolombiani, nei pochi libri sopravvissuti, nei loro affreschi, nelle pitture vascolari non ce n'è traccia.
E allora, cos'altro possiamo dire, oggi, se non che, pur conoscendo la ruota, non la usavano?

Per quanto riguarda le immagini di quegli oggetti in oro, le culture Tairona e Sinù della Coilombia e le culture peruviane (Chimù, Lambayeque, Inca e altre) hanno prodotto oggetti in oro tipo orecchini a rocchetto (hai presente i vecchi rocchetti in legno per avvolgere il filo di cotone? ecco, sono fatti così, un po' più grandi come sezione, venivano infilati nel lobo auricolare tramite un foro che veniva gradatamente fatto allargare) o pendenti da naso e labbro molto simili, gli esempi sono infiniti, ma vale sempre quello che ho detto prima.

Esistono anche bellissimi orecchini a rocchetto in giadeite, nonchè cilindri forati lunghi anche 55 cm!
Alcuni cilindri Olmeca, forse non in giadeite, mostrano di essere stati ricavati da barre a sezione quadrangolare successivamente trattate con abrasivi, ma quelli Nicoyani, i più lunghi e sicuramente in giadeite, non sembrano lavorati nella stessa maniera.
Mah...
 
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view post Posted on 1/2/2011, 17:10
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Come già accennato in precedenza, voglio discutere l'argomento 'come venivano praticati i fori negli oggetti in giadeite dalle popolazioni precolombiane dell'America Centrale'.

Esaminando i fori presenti negli oggetti in questione, si nota subito che sono di due tipi:
- monoconici: la loro sezione trasversale è circolare mentre quella sagittale è a forma di triangolo isoscele non equilatero, per cui un foro, che è quello di entrata della punta del trapano, è molto più grande dell'altro
- biconici: idem per la sezione trasversale mentre quella sagittale è data da due triangoli isosceli opposti al vertice, per cui all'esterno le due stremità del foro hanno più o meno lo stesso diametro mentre al centro la luce del foro è ridottissima.

La tecnica di realizzazione dei due tipi di foro sembra la stessa, ossia la perforazione per mezzo di un trapano con punta di quarzite/selce/ossidiana (la giadeite non è adatta alla realizzazione di punte a causa del tipo di frattura della pietra, che non permette di ottenere spigoli vivi).
La differenza sta nel fatto che il foro monoconico veniva realizzato forando il pezzo direttamente da un lato all'altro, mentre il foro biconico veniva realizzato forando il pezzo a cominciare da un lato, poi, una volta raggiunto approssimativamente il centro dell'oggetto, partendo dall'altro lato dell'oggetto veniva praticato un secondo foro, che andava ad incontrare il primo.
Data la difficoltà a praticare i due fori esattamente alla stessa altezza e a mantenerli perfettamente in asse, non sempre questi si incontravano combaciando perfettamente, anzi quasi sempre si constata che nel punto d'incontro la luce risultante, già di per sè ridotta dal fatto di essere i due percorsi conici, è ulteriormente ridotta perchè questi sono un po' disassati.

La letteratura in merito (vedi il già citato Marc Chenault: Jadeite, Greenstone and the Precolumbian Costa Rican Lapidary in F.W.Lange ed., Costa Rican Art and Archaeology, The Univ.of Colorado, Boulder, 1988, ma anche molti altri) afferma che i fori venivano praticati mediante l'uso di un trapano a pompa (vedi primo disegno nell'immagine successiva).
http://img228.imageshack.us/g/trapanoapompa001.jpg/

Personalmente non sono d'accordo, secondo me veniva utilizzato il tipo di trapano illustrato nel secondo disegno e cioè un trapano ad archetto, per lo meno nel caso di fori biconici che sono di gran lunga i più frequenti (il rapporto è almeno di 20 o 30 a 1) o almeno un trapano a pompa 'montato' su supporto.
Le ragioni sono più d'una:
- l'uso del trapano a pompa è molto dispendioso su un materiale duro come la giadeite, a causa del forte attrito necessario a incidere il materiale non è ipotizzabile la possibilità che il cordino si riavvolga da solo, per inerzia, per cui ad ogni 'pompata' ci si dovrebbe fermare per riavvolgere il cordino
- gli oggetti da forare erano molto spessi, mantenere 'diritto' un trapano a pompa è molto difficile (ci sono tubi forati della lunghezza di 55 cm, quelli di 20 cm sono relativamente frequenti, oggetti di 6-8 cm sono 'normali')
- nel caso di foro biconico, utilizzando un trapano a pompa mi sembra impossibile riuscire a far combaciare i fori, a meno di costruire un'incastellatura che tenga in asse il tutto, strumento mai ipotizzato dagli studiosi.

Il trapano a pompa mi sembra adatto a forare materiali relativamente teneri, come legno, avorio, osso o pietre come la steatite, ma la giadeite mi sembra troppo dura.

Visto il fatto che i fori biconici, bene o male, si incontrano sempre, anche nel caso di oggetti di spessore notevole (i già citati tubi, realizzati anche in ambito Olmeca e Maya, pur se meno lunghi), e che il 'disassamento' dei due fori non è mai tale da comprometterne la funzionalità (si tratta di 1-2 mm su una lunghezza di 20 cm) penso che qualunque tipo di trapano venisse utilizzato, questo fosse fissato mediante una qualche incastellatura per consentire di mantenere fermo il pezzo e di forare senza spezzare continuamente asticciole e punte.
L'utilizzo di uno strumento così (relativamente) complesso non è mai stato ipotizzato, ma credo che fosse tranquillamente alla portata degli indios precolombiani.

Penso che il trapano a pompa, invece, sia stato utilizzato per realizzare gli occhi in alcuni oggetti a forma di animale, soprattutto alligatore.
Questi occhi sono stati realizzati utilizzando un trapano la cui asta era cava, un osso lungo di animale o un'asta di bamboo, e priva di punta litica forante.
Nel caso degli alligatori (ma anche altri animali, seppur rari) gli occhi sembrano essere stati realizzati esercitando una fortissima pressione sull'asta del trapano e facendola ruotare una o al massimo due sole volte, ottenendo così un solco poco profondo, che circonda la 'pupilla'.
Il solco, pur poco profondo, risulta ben evidenziato, perchè ha superficie molta scabra e quindi non riflette la luce mentre sia la pupilla che tutta la rimanente superficie circostante sono perfettamente lucide.
 
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view post Posted on 29/9/2019, 09:01
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Usékar - Usékol: lo shamano Talamanca

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Dopo un bel po' di tempo, rispolvero l'argomento con un lunghissimo intervento, frutto delle mie continue ricerche in merito.

Continuando a cercare notizie utili a capire come gli indigeni dell’area mesoamericana riuscissero a tagliare lastre dai blocchi di pietra verde grezza e segnatamente da quelli della dura giadeite e come gli artigiani della Costa Rica riuscissero e tagliare in due metà le asce di quel materiale, sono riuscito e trovare una plausibile spiegazione ragionando su quanto hanno scritto nelle loro relazioni, risalenti a poco dopo la Conquista, i cronisti Gonzalo Fernández de Oviedo y Valdés e Fray Bartolomé de las Casas.
Oviedo y Valdés compì una serie di viaggi nei territori appena conquistati dagli Spagnoli, il primo nel 1514, nominato da re Ferdinando di Castilla Ispettore della fusione e della marcatura dell'oro nella Castilla del Oro, come gli spagnoli chiamavano i territori delle attuali Colombia e Venezuela, percorrendo in lungo e in largo la zona, a varie riprese. Al suo suo ritorno in Spagna nel 1546, venne nominato da Carlo V Cronista Oficiál de las Indias. Tornò quindi a Santo Domingo, dove morì all’età di 81 anni.
Come Cronista Oficiál fu autore della monumentale Historia General y Natural de las Indias, iniziata attorno al 1520 e terminata nel 1535, però pubblicata solo nel 1851.
Dato che la Historia era destinata direttamente al re di Spagna e la sua redazione completa tardava, pensò bene di scrivere anche il Sumario de la Natural Historia de las Indias, terminato forse prima del 1525 e pubblicato nel 1526.
De las Casas, frate domenicano, dal dicembre 1543 al settembre 1550 fu vescovo del Chiapas, che al tempo comprendeva anche tutta la penisola dello Yucatán. Tra il 1527 e il 1559 scrisse l’altrettanto monumentale Historia de las Indias, pubblicata solo nel 1875.
Vediamo cosa ci hanno lasciato scritto i due succitati cronisti.
Di seguito, per ogni autore e opera, riporto prima i passi del testo originale nello spagnolo del XVI sec., poi la mia traduzione che a volte non è letterale, perché è necessario adattarla al linguaggio nostro contemporaneo. Inoltre, quanto è scritto in corsivo tra [ ] è una aggiunta, in un solo caso da parte dell’editore ed evindenziato nel testo originale da *, in tutti gli altri mia, per rendere più comprensibile il testo.

Dalla relazione di Gonazalo Fernàndez de Oviedo y Valdés
Sumario de la Natural Historia de las Indias, Ciudad de México: Fondo de Cultura Económica, 1950, pag. 139, scritto nel 1525 e pubblicato nel 1526 a cura della Real Academia de la Historia, Madrid.
“Lo que toqué de uso en los hilos de la cabuya y del henequén, que me ofrecí de especificar adelante, es así: de ciertas hojas de una yerba, que es de la manera de los lirios o espadaña, hacen estos hilos de cabuya o henequén, que todo es una cosa, excepto que el henequén es bien delgado y se hace de lo mejor de la materia, y es como el lino, y lo al* [*otro, nota dell’editore] es más basto, o en la diferencia es corno de cáñamo de cerro a lo otro más tosco, y la color es corno rubio, y alguno hay casi blanco.
Con el henequén, que es lo más delgado de este hilo, cortan, si les dan lugar a los indios, unos grillos o una barra de hierro, en esta manera: como quien siega o asierra, mueven sobre el hierro que ha de ser cortado el hilo del henequén, tirando y aflojando, yendo y viniendo de una mano hacia otra, y echando arena muy menuda sobre el hilo en el lugar o parte que lo mueven, ludiendo en el hierro, y como se va rozando el hilo, asi lo van mejorando y poniendo del hilo que está sano lo que está por rozar; y de esta forma siegan un hierro, por grueso que sea, y lo cortan como si fuese una cosa tierna y muy apta para cortarse.”
Nella traduzione che segue, è necessario tener presente che tratta del filo ricavato dell’henequén, Agave fourcroydes Lem., 1864, dalla quale ancor oggi si ricava la fibra di sisal, e di quello tratto dalla cabuya, Agave sisalana Perr., 1938, altra pianta dalla quale si ricava il sisal, due vegetali spontanei in tutta l’America centrale. Inoltre, Oviedo y Valdés chiama henequén e cabuya sia la pianta che il filo che se ne ricava.

“Ciò che ho accennato sui fili di cabuya e henequén, che ho offerto di specificare ulteriormente, è così: da certe foglie di erba, che sono fatte alla maniera di gigli o giunchi, fanno questi fili di cabuya o henequén, che tutto è una cosa [= sono uguali], tranne che l'henequén è molto sottile ed è fatto con la migliore materia, ed è come il lino, e il * [l'altro] è più grezzo, o detto diversamente è stelo di canapa a mucchi e più grossolano dell'altro, e il colore è biondo corno, e ce n’è qualcuno quasi bianco.
Con [il filo tratto dal]l'henequén, che è il più sottile di questi fili, tagliano, se danno tempo agli indios, dei ceppi o una sbarra di ferro, in questo modo: come uno che miete o sega, muovono sul ferro che deve essere tagliato il filo henequén, tirando e allentando, andando e venendo da una lato all'altro, e buttando sabbia molto fine sul filo nel punto o dalla parte che lo muovono, sfregando il ferro e mentre il filo si sfilaccia, così lo vanno migliorando e mettendo il filo sano su ciò che stanno sfregando; e in questo modo segano un ferro, non importa quanto sia spesso, e lo tagliano come se fosse una cosa tenera e molto adatta per il taglio.”

Dalla relazione completa di Gonazalo Fernàndez de Oviedo y Valdés
Historia General y Natural de las indias, Primera parte, Madrid, Imprenta de la Real Academia de la Historia, 1851( ma scritto tra il 1520 e il 1535), Libro VI, cap. XLIX, pp. 252 – 253.
“Dice Plinio que la fabrica de la madera la inventò Dedalo, asì como la sierra para la aserrar. Mas otra manera de aserrar el hierro sa ha hallado en estas partes, y aunque sea una gruesa àncora (cosa maravillosa, dirè); pues quel indio con un hilo de algodon o de henequén o cabuya corta qualquier hierro, y esto le ha enseñado la necesidad para cortar los grillos o cadenas, en que algunos chripstianos los han aherrojado e puesto en prison. E hace averiguado que, dandoles tiempo, toman un hilo de los que hè dicho, è aquel muevenle sobre lo que quieren cortar, echando sobrel arena menuda, poco a poco, allì donde la cuerda lude: e asì como conienza a cortar e ser caliente el hierro, le tranzan como cortarian un nabo; e asì como se va rozando el hilo, lo mejoran encontinente, poniendolo sano. Cosa es probada e vista muchas veces en la Tierra Firme.”
Mia traduzione
“Dice Plinio che la lavorazione del legno la inventò Dedalo, così come la sega per segarlo. Ma un altro modo di segare il ferro è stato trovato da queste parti, e anche se [l’oggetto di ferro] è un'ancora spessa (cosa meravigliosa, dirò); perché l’indio con un filo di cotone o henequén o cabuya taglia qualsiasi ferro, e questo glielo ha insegnato la necessità di tagliare i ceppi o le catene, in cui alcuni cristiani hanno incatenato e messo in prigione. Ed è stato accertato che, dando loro il tempo, prendono un filo da quelli che ho detto, e quello lo muovono su ciò che vogliono tagliare, gettando della sabbia fine, a poco a poco, dove la corda sfrega: e mentre inizia a tagliare e essere caldo il ferro, lo tagliano come taglierebbero una rapa; e mentre il filo si consuma, lo migliorano costantemente, rendendolo sano. La cosa l’ho provata e vista molte volte sulla Tierra Firme.” [Oviedo scrive prima del 1526, anno della prima pubblicazione del suo lavoro, quando gli spagnoli chiamavano Tierra Firme tutta la zona che va dall’attuale Nicaragua fino ai confini che dividono le attuali Colombia e Venezuela dal Brasile]

Dalla medesima relazione, Libro VII, cap. X, pp 277 – 278
“La cabuya es una manera de hierba que quiere parecer en las hojas a los cardos o lirios, pero mas anchas e mas guesas hojas: son muy verdes, e en esto imitan los lirios, y tienen algunas espinas e quieren parecer en ellas a los cardos. El henequén es otra hierba que tambien es asì como cardo; mas las hojas son mas angostas y mas luengas que las de cabuya mucho. De lo uno y del otro se hace hilado y cuerdas harto recias y de buen parecer, puesto que el henequén es mejor e mas delgada hebra. Para labrarlo, toman los indios estas hojas y tienelas en los raodales de los rios o arroyos. Cargadas de piedras, como ahogan en la Castilla el lino; y despues que han estado asì en el agua algunos dias, secan estas hojas è tendenlas a enxugar al sol. Despues que estan enxutatas, quiebranlas, e con un palo a manera de espadar el calamo, hacen saltar la cortezaa, e aristas e queda la hebra de dentro de luengo a luengo a la hoja: e a manera de cerro juntalo e espandalo mas, e queda en rollo de cerro que parese lino muy blanco e muy lindo. De lo qual hacen cuerdas e sogas e cordones del gordor que quieren, asi de la cabuya como del henequén.”
Mia traduzione
“La cabuya è un tipo di erba le cui foglie vogliono apparire come [quelle dei] cardi o, ma foglie più larghe e spesse: sono molto verdi, e in questo imitano i gigli, e hanno delle spine e vogliono apparire come cardi. Henequén è un'altra erba che è anche come il cardo; ma le foglie sono molto più strette e più lunghe della cabuya. Dall'una e dall'altra si ottiene un filato e le corde sono molto forti e di bell'aspetto, anche se henequén è migliore e più sottile. Per farlo, gli indiani prendono queste foglie e le tengono sulle rive dei fiumi o dei corsi d'acqua. Caricate di pietre, come affogano in Castilla la biancheria; e dopo che sono stati così nell'acqua per alcuni giorni, asciugano queste foglie e le tengono ad asciugare al sole. Dopo che sono asciugate, le rompono e con un bastone come quello per scotolare la canapa, fanno saltare la corteccia, e gli steli e rimane la fibra all'interno in lungo e in largo della foglia: e ne fanno come un vello e lo spargono di più, e rimane come rotolo di fili che sembra lino molto bianco e molto bello. Di ciò ne fanno corde e funi e cordoni dello spessore che vogliono, così della cabuya come dell'henequén.”
Poi prosegue, raccontando quanto già raccontato nel capitolo precedente, a proposito di come sono in grado di segare il ferro con un filo di questo materiale e sabbia molto fine.

Fray Bartolomé de las Casas scrisse sull’ identico uso di una corda di henequén, come lo osservò tra gli indios della zona del Río Belén, Panamà, quando essi fabbricavano i loro ami da pesca.
Trascrivo da Historia de las Indias, Biblioteca Ayacucho, Caracas, 1986, cap. 26, pp. 99 – 100
“Péscanlos los indios de diversas maneras, que muestran en ellos industria y mejor ingenio: hacen muy buenas y grandes redes y anzuelos de hueso y conchas de tortugas, y porque les falta hierro, córtanlos con unos hilos de cierta especie de cáñamo que hay en estas Indias, que en esta Española llamaban cabuya, y otra más delicada, nequén, de la manera que los hacen cuentas cortan con una sierra de hierro delgada los huesos; y no hay hierro que de aquella manera no cortan.

Mia Traduzione
“Gli indios lo pescano in vari modi, che mostrano in loro industria e grande ingegnosità: fanno reti e ami molto buoni e grandi di osso e gusci [= carapaci] di tartarughe, e poiché mancano di ferro, li tagliano con fili di un certo tipo di canapa che c'è in queste Indie, che in questa Hispaniola [primo nome di Santo Domingo] chiamavano cabuya, e un'altra più delicata, [he]nequén, nel modo in cui fanno conterie [grani per collane] tagliando le ossa con una sega di ferro sottile; e non c'è ferro che non tagliano in quel modo.”

A questo proposito, nota Olaf Holm, in Cortadura a Piola: una tecnica prehistorica, pubblicato a Guayaquil nel 1969
“Los cronistas no nos han legado referencias específicas al uso similar de las fibras de cabuya en el territorio ecuatoriano; al contrario, el Inca Garcilaso de la Vega dice en sus “Comentarios Reales”, que los indios del Perú “no supieron hazer una sierra”; el Inca no viajó por el territorio ecuatoriano, y la evidencia arqueológica demuestra que los indios ecuatorianos sí sabían “hacer una sierra”.
Mia traduzione
“I cronisti non ci hanno lasciato riferimenti specifici all'uso simile delle fibre di cabuya nel territorio ecuadoriano; al contrario, l'Inca Garcilaso de la Vega afferma nei suoi "Commenti reali" che gli indiani del Perù ‘non sapevano come realizzare una sega’; l'Inca [Garcilaso de la Vega] non viaggiò attraverso il territorio ecuadoriano e le prove archeologiche dimostrano che gli indios ecuadoriani sapevano ‘realizzare una sega’."

Cerco ora di mettere insieme quanto scritto da Oviedo y Valdés e de las Casas, cercando di chiarire come secondo me gli indios procedevano al taglio della giadeite con filo di henequén o cabuya e sabbia fine.

Per prima cosa, realizzavano una lunga corda a trefolo con le fibre della pianta, che sono molto sottili, lunghe e già di per sé resistenti, ragion per cui un trefolo a tre o cinque fili risulta anch’esso sottile e ancor più resistente delle singole fibre.
Probabilmente arrotolavano la corda in una matassina o in un gomitolo, o magari arrotolata attorno a un piolo, per poterla maneggiare facilmente.
Quindi, con una lama di ossidiana o una punta di quarzo, in corrispondenza della linea lungo la quale si doveva procedere al taglio, incidevano sulla pietra una linea relativamente poco profonda, in modo a poter “incoccarvi” la corda.
Iniziavano a far scorrere avanti e indietro la corda e gettavano sulla linea di taglio sabbia fine, in modo da aggredire la pietra da tagliare.
Probabilmente, la sabbia utilizzata veniva in precedenza selezionata, sia in base alla granulometria, che doveva essere molto fine, che alla composizione, che doveva essere soprattutto di grani di quarzo o forse di giadeite triturata.
Inoltre, con tutta probabilità la corda era spalmata di resina, in modo da trattenere la sabbia.
Mano a mano che il tratto di corda in uso si consumava, ne facevano scorrere un altro dalla matassina (o gomitolo o piolo), in modo da avere sempre a disposizione, sulla linea di taglio, un tratto di corda “sano”, come scrive Oviedo y Valdés.

I due cronisti, Oviedo e de las Casas, scrissero le rispettive cronache all’inizio del XVI sec.d.C., la tradizione della lavorazione del serpentino e della giadeite nella Mesoamerica risale agli Olmechi, che ne iniziarono la lavorazione addirittura nell’XI sec. a.C.
Ma la tecnica descritta dai due cronisti era evidentemente ben sperimentata, quindi ben più antica del tempo in cui essi ne constatarono l’uso. Non è improbabile che risalga appunto a 2600 anni prima.
 
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view post Posted on 29/9/2019, 12:33
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Interessante e la tecnica è del tutto plausible.
 
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view post Posted on 29/9/2019, 13:32
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Usékar - Usékol: lo shamano Talamanca

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NB: non ho idea di quanto possa essere sottile il singolo filo che si ricavava dall'henequén e/o dalla cabuya, per cui ho ipotizzato che il trefolo venisse realizzato a tre o cinque fili.
Se lo spessore del singolo filo è simile a quello di un capello umano, è possibile che il trefolo fosse composto da più di cinque fili singoli.

In ogni caso, sempre più sarebbe necessario effettuare una accurata prova di archeologia sperimentale...
Come ho scritto in precedenza, la sola traccia di prova simile della quale io abbia notizia, è descritta in un lavoro ormai datato ed è stata fatta utilizzando corde di non meglio precisata fibra vegetale, che si rompevano dopo pochi mivimenti di andirivieni.
È possibile che la corda fosse anche abbastanza robusta, ma non si sia adottato il sistema descritto chiaramente da Oviedo y Valdés, cioè il rinnovare continuamente il tratto di corda a contatto con la sabbia e la pietra da tagliare.
In effetti, credo che per quella prova sia stato adottato il sistema detto in spagnolo del "serrucho a piola", letterlamente seghetto a corda, ossia un laccio lungo un metro circa, legato alle due estremità a dei picchetti di legno per permetterne la salda presa da parte di una sola pesona.
Un metro di corda è troppo poco, non consente di sostituire gradatamente la parte che si usura.
La mia idea è che la lunga corda venisse manovrata da due persone, in modo da poter seguire la procedura descritta dal cronista.

Un altro sistema, quello che viene quasi sempre presentato nelle raffigurazioni, è il taglio effettuato con una sega ad archetto, manovrata appunto da due persone, ciascuna delle quali impugna una estremità dell'archetto e della corda. In questo caso, la corda potrebbe anche essere lunga più di un metro, ma non più di tanto, altrimenti sarebbe molto difficile controllare l'esattezza del taglio, quindi non credo consentirebbe comunque la continua sostituzione della parte usurata.

C'è un'altra ipotesi, alla quale qualche autore accenna: la corda manovrata da una sola persona, perché una estremità è fissata ad un piolo elastico. Tuttavia, credo che anche questa soluzione soffra del problema della sega ad archetto.
Inoltre, il taglio effettuato con un simile accorgimento sarebbe molto impreciso, se l'operatore non fosse padrone di una notevolissima perizia nell'esecuzione della manovra.
 
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view post Posted on 29/9/2019, 18:40
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La durata della cordicella mi pare sia da porre, tra gli altri fattori, in relazione al movimento relativo tra granelli abrasivi e cordicella stessa. Meglio essi sono fissati alla cordicella, meno essi la consumeranno. Quindi ll'ipotesi che essi venissero fissati alla cordicella stessa con resina mi pare plausibile. Il taglio di pietre con un cavo oggi metallico elicoidale e polvere abrasiva è, come di certo sai, usuale ad esempio per il marmo. Penso che qualche esperimento in loco, utilizzando i materiali descritti, aiuterebbe a fare chiarezza.

Anni fa vidi,se non erro a Karlsruhe, la ricostruzione di uno strumento usato per tagliare la pietra in epoca preistorica (neolitico?). Si trattava di una sorta di pendolo sotto il quale veniva fissata la pietra da tagliare e la punta da taglio (purtroppo non ricordo se fosse in legno o in pietra) agiva con l'utilizzo di sabbia, provabilmente quarzifera. Il movimento pendolare provocava un solco e con pazienza si arrivava a tagliare la pietra.
 
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view post Posted on 30/9/2019, 06:06
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Il taglio del marmo con il filo elicoidale lo conosco bene, perché sono veronese e in Valpolicella e Valpantena è praticato da molto tempo. Tra l'altro, oltre che aziende che si occupano del taglio di marmi e graniti, oggi si è sviluppata localmente una industria di progettazione e costruzione delle macchine da taglio di quelle pietre che è giudicata la migliore del mondo.
A queste attività è dedicata la fiera Marmomac, considerata la più importante del settore a livello mondiale, la cui edizione 2019 si è chiusa nel quartiere fieristico di Verona appena ieri.

Tra l'altro, il filo che si utilizza attualmente, oltre ad essere elicoidale è anche diamantato.

Il problema fondamentale è che, nella Mesoamerica, il taglio della giadeite e di altre pietre verdi venne praticato sin dal 1000 a.C. almeno, mentre fino al 700/800 d.C. circa non si conosceva alcuna tecnologia dei metalli.
Attorno all'VIII sec. venne importata la tecnologia relativa a metalli teneri, segnatamente rame e oro.
È vero che il rame può essere indurito sino al punto da poter realizzare seghe abbastanza resistenti, ma non risulta che questo sia mai stato fatto in loco, le leghe di oro e rame venivano utilizzate esclusivamente per realizzare monili.
E poi, si parle di un periodo molto molto tardo, quando la lavorazione della giadeite era addirittura in assoluto declino, sostituita appunto dalle leghe oro-rame per la produzione di oggetti status-symbol.

C'è poi da prendere sempre in considerazione un problema "minore", ma non tanto: il filo elicodiale oggi utilizzato viene mosso da rotismi, per ragioni facilmente comprensibili. Pur conoscendo la ruota, gli amerindiani mai la utilizzarono se non per produrre oggetti che vengono chiamati "giocattoli con le ruote". Si tratta di riproduzioni in miniatura di animali, segnatamente canidi e felini, con l'estremità delle zampe forate, attraversate da un asse ligneo al quale sono fissate piccole ruote, che funzionano...
Il contesto di rinvenimento di oggetti di tal fatta è funerario o pertinente ad area sacra. Inoltre, la datazione più antica di tali oggetti risale al massimo al IV sec. a.C.

L'uso di un pendolo lo escluderei perché le tracce di lavorazione portano a concludere proprio che per il taglio vennero utilizzate corde secanti o, in pochi casi documentati, strumenti litici e/o litico-lignei.
Mi spiego: sono documentate tracce di lavorazione relative al taglio effettuato con l'ausilio di lame litiche, forse di ossidiana, selce o quarzite.
L'ossidiana è poco considerata, perché troppo fragile. Tuttavia, si ipotizza che microliti realizzate con uno o più di quei 3 materiali venissero fissati ad una assicella di legno a mo' di denti di sega.

Riassumendo.
I problemi "importanti" da risolvere sono tre: di che materiale era realizzata la corda, quanto era lunga e come era mossa.
Seguendo i due cronisti citati, la corda era di filo di henequén o cabuya e il movimento era va e vieni.
L'ipotesi che fosse molto lunga e ridotta a gomitolo o matassa è ipotesi del tutto personale, che è nata dall'esaminare con "fantasia" quanto dicono le due fonti, pensando a come avrei potuto risolvere il problema se fossi stato "costretto" a realizzare una corda da utilizzare per tagliare pietra relativamente dura, lasciando le tracce di lavorazione che vengono constatate sui prodotti in giadeite realizzati da Olmechi, Maya e Nicoyani.
In particolare, questi ultimi tagliavano teste d'ascia in giadeite, a metà lungo l'asse sagittale. Il taglio ha lasciato una evidente "mandorla" al verso, prodotta appunto dall'utilizzo di una corda secante, che durante il taglio non può rimanere rettilinea, si arcua sempre un po'.
Vedi immagine a dx, relativa a un c.d. "dios hacha" costaricense

http://www.lithiccastinglab.com/gallery-pa...ipleblacksm.jpg

proveniente da qui

http://www.lithiccastinglab.com/gallery-pa...xegodspage1.htm

L'ipotesi che riscuote più consensi attualmente è che il taglio venisse realizzato così

https://upload.wikimedia.org/wikipedia/com...e._Aserrado.jpg

Secondo me, in questa maniera più che riuscire a tagliare la pietra, ci si spellano le mani...
 
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view post Posted on 30/9/2019, 08:17
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Non vorrei essere frainteso, spesso mi lascio andare ad associazioni libere (vizio professionale ;)) : non ho indicato il filo elicoidale pensando che in Mesoamerica si sia usato filo metallico, sapendo benissimo quali erano i limiti della metallurgia (Credo però che in Egitto si siano usate lame di rame con l'aiuto di sabbia, ma è un vago ricordo). Ho citato il pendolo solo come esempio di un'altra tecnica.

La tua ipotesi di una cordicella molto lunga, magari azionata da due persone, avvolta a gomitolo su un piolo e rinnovata di continuo mi pare a rigor di logica molto plausibile.
 
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view post Posted on 30/9/2019, 13:30
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Usékar - Usékol: lo shamano Talamanca

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No, non ti ho frainteso, ho chiarito a beneficio dei nostri 24 (???) lettori, qualcuno dei quali può anche non conoscere quanto ho illustrato circa la metallurgia mesoamericana, che in realtà differisce ben poco dalla metallurgia precolombiana delle due Americhe.

Unica aggiunta: gli Incas, o meglio, i Quechua (Incas erano i loro sovrani e relativi 2 clan familiari, dato che Inca poteva venir eletto solo uno dei membri di quei 2 clans) arrivarono a produrre un buon bronzo, utilizzando forni in argilla, iperventilati grazie a lunghe cannule, introdotte in fori appositi praticati nel basso della parete "frontale" dei forni e alimentate dal soffio del "mantice" polmonare umano.
I popoli dell'antico Messico centrale, a partire dal 1000 d.C. circa, produssero bronzo molto scadente, perché i loro forni non riuscivano a raggiungere una temperatura interna adeguata, non esendo iperventilati in alcun modo.
Questo è lo stesso motivo per cui la terracotta prodotta nella Mesoamerica era così fragile e delicata.

Nessuna cultura delle Americhe arrivò a concepire e sviluppare alcun tipo di mantice meccanico.
 
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