Ostraka - Forum di archeologia

Variazioni climatiche ed eventi storici

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view post Posted on 15/1/2011, 15:46
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Usékar - Usékol: lo shamano Talamanca

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CITAZIONE (Perseo87 @ 15/1/2011, 13:59) 
Torno brevemente all'O.T.

CITAZIONE (§Karl§ @ 14/1/2011, 20:37) 
con "Ararat" in genere nella Bibbia non si indica un monte, ma uno stato, cioè il regno di Urartu. Probabile quindi, come ci ricorda Saporetti, che i traduttori della Bibbia trovandosi davanti alle sole consonanti (r, r, t) ed essendosi persa la memoria del regno di Urartu, vi abbiano inserito la vocale "a". Il monte che invece venne chiamato Ararat, è probabile che ricevette tale nome proprio in seguito al racconto biblico, e non viceversa.

Questa proprio non la sapevo... Però!

Vedi
www.christiananswers.net/dictionary/ararat.html
http://it.wikipedia.org/wiki/Urartu

Ho letto la storia r-r-t, Urartu, Ararat parecchi anni fa, in un articolo di una rivista divulgativa.
Dato che io non sono un esperto nè di linguistica nè di Storia del Vicino Oriente Antico, la cosa non deve essere per nulla un mistero (vedi anche le voci citate, a disposizione di tutti).
E' sempre la solita storia: la 'misteriologia' e il sensazionalismo catturano sempre molti lettori e di conseguenza anche denaro, per cui...
 
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view post Posted on 15/1/2011, 18:06
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Che le migrazioni di interi gruppi possano avere come origine, o come una delle origini condizion,i climatiche particolari, il che vuol dire ad esempio raccolti insufficienti, mi pare del tutto plausibile. Il crollo di un sistema come quello dell'impero romano è certamente dovuto a molti motivi, esterni ed interni in parte anche immanenti al sistema. Per quanto ne so la rapida decadenza della civiltà Maya fu dovuta ad un rapido e drammatico cambiamento delle condizioni climatiche. Non credo che nell'articolo che ho citato si tenga una posizione deterministica, si sono constatate dellecorrelazioni e correlazione non è ancora causa!
 
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view post Posted on 15/1/2011, 19:08
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Usékar - Usékol: lo shamano Talamanca

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CITAZIONE (dceg @ 15/1/2011, 18:06) 
Per quanto ne so la rapida decadenza della civiltà Maya fu dovuta ad un rapido e drammatico cambiamento delle condizioni climatiche.

La cosa non è così semplice, pare, le ipotesi sul tappeto sono ancora almeno due.
Il repentino cambiamento climatico non sembra aver coinvolto tutto il territorio colonizzato dalle culture Maya, in realtà tracce di un evento eccezionale, di uno sconvolgimento attribuibile a qualcosa di molto simile all'effetto Katrina, lo spaventoso uragano che ha quasi cancellato New Orleans e cambiato la geografia del delta del Mississippi, si trovano solo in parte dello Yucatàn.
Resta da spiegare perchè il decadimento abbia coinvolto nello stesso periodo anche la zona del Petèn e parte della cd Terre Alte Maya, non coinvolte nel fenomeno.
Così come, contemporaneamente all'abbandono delle città dell'interno, si assiste ad una crescita e a uno sviluppo delle città della costa.

E' stata ipotizzata anche una (con)causa e cioè l'eccessivo sfruttamento di manodopera coatta, per la costruzione di edifici templari sempre più grandi.
La cosa avrebbe causato una rivolta popolare, uno sconvolgimento sociale che avrebbe portato al letterale abbandono delle città conseguente al venir meno, da parte del popolo che forniva la manodopera, del riconoscimento dell'autorità delle dinastie regnanti.
C'è da tener presente che le cd 'città' Maya dell'epoca classica erano in realtà dei centri cerimoniali, dei centri dove risiedevano le autorità civili e religiose, non veri e propri grandi agglomerati urbani come fu, per es., Tenochtitlàn, attuale Città di Messico, antica capitale degli Aztechi.
La gran parte della popolazione era costituita da agricoltori che abitavano nel circondario del centro o addirittura nei pressi delle 'milpas', le zone coltivate spesso strappate alla foresta.
Di conseguenza, l'abbandono delle città, dei centri cerimoniali non fu, forse, seguito dall'abbandono delle zone abitate e coltivate.
 
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§Karl§
view post Posted on 16/1/2011, 04:24




Personalmente non credo ai determinismi, ambientali, economici, tecnologici, idealisti o spirituali che siano. In genere la realtà è sempre complessa, e quindi la storia. Le spiegazioni multifattoriali di solito sono d'obbligo. Tuttavia, bisogna anche tener presente che alla fin fine, anche se talvolta non lo si ammette, si tende in qualche modo sempre ad un modello, anche in storia, anche in archeologia (in ambito archeologico lo si ammette più volentieri). Non troppo diversamente da quanto fanno (tentano di fare) le hard sciences. E inevitabilmente, un modello comporta sempre un certo grado di semplificazione della realtà (già un'operazione tutto sommato banale, per quanto possa essere laboriosa, come lo stabilire una tipologia, di fatto è una semplificazione. Si raccolgono i dati, si studiano, si confrontano, si raggruppano e si incasellano...).

D'altro canto, a tal proposito Mario Liverani così si esprime (Uruk. La prima città, Roma-Bari, 1998, pp. 12-13):

CITAZIONE
Sia detto senza ironia: nessuno studioso accetta il compito di studiare un fenomeno semplice, lasciando ad altri il ben più avvincente studio del fenomeno complesso. [...] Ma il dilagare della spiegazione multi-fattoriale (proprio come il dilagare della complessità) rischia di vanificare la comprensione essenziale. Da quando si cominciò a visualizzare il processo per mezzo di «schemi di flusso», sembra che l'ambizione sia stata quella di proporre uno schema sempre più fitto di caselle e di frecce, in un tale groviglio di feedback incrociati che la lettura immediata dello schema, e dunque la comprensione del fenomeno, ne risulta vanificata.
In entrambi i casi (complessità, multi-fattorialità) non c'è dubbio che i presupposti siano corretti; quel che manca, nella loro messa in opera, è il punto di riferimento ideologico, il coraggio della scelta, il modello la cui eleganza risieda nella semplicità.

Questo in linea generale, teorico-metodologica. In linea generale sono anche convinto che una scelta ci sia quasi sempre, ma che i condizionamenti, anche se non deterministici, possano essere a seconda dei casi specifici particolarmente pesanti e stringenti, vincolanti. E quindi inevitabilmente le scelte possono essere più o meno condizionate, anche se non rigidamente determinate. Nel caso specifico dei condizionamenti ambientali, appunto penso si debba valutare molto da caso a caso l'eventuale influenza. Credo anche, ed è scontato in fin dei conti, che tale condizionamento tendenzialmente (e potenzialmente) aumenti con il diminuire della capacità di intervento sull'ambiente stesso che una cultura o una società possiede (e quindi tecnologia, economia, ecc.). Tuttavia, ce lo dice anche l'antropologia, i modi in cui si risponde alle sfide e ai condizionamenti ambientali (anche i medesimi) non sono (necessariamente) gli stessi, e variano da cultura a cultura, da società a società (pur sempre comparabili), e ovviamente nel tempo e nello spazio.

Non che debba fregare a qualcuno, ma volevo dire la mia :D
 
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view post Posted on 16/1/2011, 08:00
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Usékar - Usékol: lo shamano Talamanca

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Due osservazioni:
- se non me ne fregasse, non sarei qui a leggerti e risponderti;
- però, sono le 7:57 del mattino di domenica, ho avuto una nottata pesante, i miei due neuroni non trovano la maniera di connettersi, non potevi essere un po' più conciso? :lol:

Più tardi, rileggo, magari connetto un po' di più...
 
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view post Posted on 16/1/2011, 09:29
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@ Dceq,

Ho letto solo l'abstract, però ho due certezze: se da un lato sono certo di come lo studio non s'esaurisca nel determinismo antiquato, ma in una sua versione più "morbida" e almeno tendenzialmente attenta a tutte le altre variabili storiche, dall'altro lato, sono altrettanto certo del fatto che lo studio, ponga nel piedistallo, il fattore climatico (sennò lo stesso articolo sarebbe privo di senso e contenuti innovativi).

Pur non essendo uno storico, mi permetto d'aggiungere che la storia la si studia per "leggi e fenomeni generali" (il caso particlare, interessa poco in generale, a meno che nel particolare non s'intravedano fenomeni ascrivibili ad una legge generale), pertanto quando si dice che la storia è condizionata dal clima, non posso avere nulla da obiettare: è persino un ovvietà. Su un qualsiasi articolo incentrato sul modo con cui tale legge vada interpretata (e qui sta in genere l'apporto innovativo), provo apprezzamento, perchè mi schiarisce le idee e magari me le illumina.

il problema sorge quando, la legge generale ed astratta viene applicata al caso particolare e "concreto" (lo metto tra virgolette, perchè il concetto di concreto è in realtà del tutto soggettivo e traditore: è una maschera direbbe un filosofo a me caro). allora, il "meccanismo determinista", prende un po possesso della mente: se da un lato il modello di cui parla Karl, t'aiuta, dall'altro ti limita. E qui si rischia di perdere,(secondo me) il vero mestiere dello "storico" : che consiste nella capacità d'abbracciare più prospettive e più interpretazioni concorrenti (e complimentari); in metafora: l'attore deve saper indossare più maschere e non una soltanto.

D'altronde, mi si dirà, "tali difetti che tu intravedi, sono ovviati dal fatto che il modello e l'articolo conseguente, sono letti e criticati da chi, è guidato da altri modelli e prospettive, quindi l'anticorpo è nella comunità scientifica" ; giusto. Però val sempre la pena sottolineare natura, problemi, della Storia chè sono differenti da quelli delle altre scienze e delle c.d. hard science in particolare. il metodo scientifico è necessario, ma lo storico deve avere un ulterore ars interpretandi (come pure il giurista...mi si permetta :P ).

anche perchè, chi s'allena a far l'attore con la stoaria (per continuare ad usare la metafora), magari si dirà da sè certe cose, prima che altri gliele sottolineino con la matita rossa.

insomma, l'archeologo deve continuare ad essere uno storico nel senso più alto, e non limitarsi al prendere atto degli apporti specialistici (che deve ascoltare).

Spero che non la prendiate come la lezione di chi non è ne storico ne archeologo a chi lo è.
Anche io scrivo la mia non perchè possa fregare a qualcuno, ma per schiarirmi un po le idee (cioè proprio perchè non sono granchè): e scrivere (e anche questa piccola polemica..mi pare) è sempre l'occasione per riuscirci. ^_^

Edited by DedaloNur - 16/1/2011, 09:44
 
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§Karl§
view post Posted on 16/1/2011, 09:59




Uh, scusate. La polemica non l'ho colta :blush.gif:

CITAZIONE (DedaloNur @ 16/1/2011, 09:29) 
anche perchè, chi s'allena a far l'attore con la stoaria (per continuare ad usare la metafora), magari si dirà da sè certe cose, prima che altri gliele sottolineino con la matita rossa.

E spero non valga solo per storici ed archeologi (posto che ho paura non valga nemmeno per tutti costoro... :( ).
 
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view post Posted on 16/1/2011, 12:35
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Usékar - Usékol: lo shamano Talamanca

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Anch'io non colgo polemica, ma desiderio di schiarirsi le idee, e anch'io utilizzo lo scritto, in dialogo e contraddittorio con altri, per schiarire le mie, di idee, posto che ne abbia.

Venendo da un campo di quelli che definite 'hard sciences', mi scappa di osservare come prima cosa che il modello non può, di per se stesso, per definizione, essere completamente aderente al 'caso concreto' perchè altrimenti sarebbe il caso concreto stesso.
Il modello è, per definizione, una riduzione ed una semplificazione ed implica, di conseguenza, una perdita di dati, di conoscenza.

In secondo luogo, mentre nel campo delle 'hard sciences' la classificazione, la tassonomia possono funzionare in modo 'perfetto' ancorchè spesso soggette a revisioni per l'emergere di nuovi dati, nel campo delle 'scienze' umanistiche questo non è possibile o perlomeno è molto più difficile proprio per la necessità dalla presenza di 'ars interpretandi', dell'impossibilità della 'reductio ad absurdum' o al principio del 'tertium non datur'.
Lo studio della storia non ha mai potuto prescindere dall'interpretazione, nè credo che mai lo potrà fare.
L'obiettività, la soggettività, la 'verità' in questo campo sono impossibili, l'unica cosa che si può chiedere allo storico è l'onestà intellettuale.
Questo vale anche per l'archeologia: troppe volte abbiamo assistito allo stravolgimento dei dati ottenuti sul campo, all'aggiunta di dati inesistenti, alla cancellazione e/o non menzione di quelli esistenti, come operazioni funzionali al sostegno di una determinata tesi, spesso asservita a scopi politici.

Spero di non essermi espresso in termini eccessivamente semplici o semplicistici, la mia mentalità mi porta ad essere estremamente pratico: va bene chiaccherare, va bene filosofare, dopo un po' mi è necessario agire, ciò che conta è fare qualcosa.

PS: ho scritto che nel campo delle H.S. la classificazione 'può' funzionare perchè, in realtà, anche in questi campi abbiamo assistito e continuiamo ad assistere a manipolazioni dei dati, a 'interpretazioni soggettive e fuorvianti' da parte di chi si rifiuta di 'vedere' e 'leggere' i dati stessi, anche qui è richiesta onestà, intellettuale e materiale.
 
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view post Posted on 16/1/2011, 13:40
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la polemica non è con Dceq (in sè) o con l'articolo (che non posso leggere). ma la polemica c'è, ed è nella tensione tra la figura dell'archeologo-tecnico e quella dell'archeologo-storico; l'uno prezioso, perchè inventaria, misura e calcola applicando il metodo scientifico, col quale estrae le informazioni; l'altro capace di sintetizzare le informazioni pesando però portata e limiti delle stesse, perchè ha il coraggio dell'ars interpretandi (sperando che l'abbia ruminata per bene, smontando e rimontando il suo pensiero). Di quest'ultima tipolgia di archeolog io ho un modello in Lilliu.

da persona esterna all'archeologia (quindi probabilmente meno informata...) vedo la seconda figura soccombente rispetto alla prima.

la citazione di Karl, io la leggo esattamente così: per darsi una metodologia più scientifica ed anche approfondire determinati campi, l'archeologia s'affida, anima e metodo alle altre branche scientifiche: bene, si dirà. Ed infatti è necessario che sia così. ma quando le dande fornite dalle altre branchie scientifiche mancano, quando bisogna fare una scelta e quidi quando entra in campo l'ars interpretandi, dice la citazione, manca il coraggio. questa mancanza di coraggio (dell'archeologo-tecnico....se posso permettermi), costituisce il lavoro dell'archeologo storico.

Spero di riuscire a spiegarmi...magari m'avventuro un po troppo, senza aver approfondito con qualche lettura di spessore. ma queste sono, le congetture di cui da molto tempo sono preda quando leggo un libro qualsiasi. Se non altro a me aiutano, per discernere e scegliere (appunto) ciò che mi è utile e significativo e ciò che lo è meno.
 
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view post Posted on 16/1/2011, 14:17
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CITAZIONE (DedaloNur @ 16/1/2011, 13:40) 
la polemica non è con Dceq (in sè) o con l'articolo (che non posso leggere).

Spero bene! Io ho solo riportato la notuzia di uno studio, che neppure io ho letto nell'originale e che non posso, né sinceramente voglio, valutare, anche perché non mi sento assolutamente qualificato a farlo. In una mailing list tedesca cui sono iscritto ci sono stati oggi alcuni interventi proprio su questo articolo nei quali si è messo in luce come le teorie che vedono una delle motivazioni degli spostamenti delle tribù dell'Europa del nord (il termine "invasioni barbariche" mi piace poco, è troppo centrato sui romani, meglio allora il termine tedesco "Völkerwanderungen" - migrazioni delle popolazioni) siano tradizionalmente consolidate. La "novità", se così si può dire, sta nel fatto di aver usato la i rilievi fatti sugli anelli di crescita degli alberi per documentare in modo continuo le variazioni climatiche.

Il discorso sul metodo o i metodi dell'indagine archeologica e/o storica mi pare comunque un tema di grandissima importanza che forse andrebbe trattato separatamente. Inviterei quindi volentieri chi ne sia interessato e abbia una competenza non solo quale la mia di "spettatore", di aprire una discussione in merito, che epotrebbe davvero essere interessante ed utile.
 
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view post Posted on 16/1/2011, 18:03
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Usékar - Usékol: lo shamano Talamanca

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Mi associo, anche nel chiamarmi fuori, ho già dimostrato nell'intervento precedente di non aver capito, prima della successiva spiegazione di Dedalo, quale fosse l'esatta 'materia del contendere' e di essere quindi andato fuori tema, di conseguenza parlando a vanvera :blush.gif:
 
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view post Posted on 16/1/2011, 19:11
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non intendevo creare scompiglio pronunciando la parola "polemica" (proprio non mi aspettavo questa reazione.. :huh: ), o indirizzando il 3ad verso una certa direzione.
Dceq, ho già chiarito: non credo di riuscire a spiegare meglio il mio disappunto (chiamiamolo così..); e non ho capito perchè tu ti senta attaccato. Non giro col fucile a tracolla per impallinare qualcuno.

certo se c'è qualcosa su cui non sono d'accordo dico la mia (per mie esigenze...come dicevo), ma finisce lì, anche in caso di serrate discussioni.

il discorso sul metodo interessa anche me ma non saprei da dove iniziare ho letto solo un libro di Renfrew su tali questioni...
soprattutto m'interesserebbe d'approfondire qualcosa sul rappporto storia-archeologia; spero di leggere bandinelli appena potrò. magari a quel punto mi permetterò di varare il 3ad, ma solo di vararlo, gli interventi che contano, spero, siano di altri.
 
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view post Posted on 16/1/2011, 19:27
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CITAZIONE (DedaloNur @ 16/1/2011, 19:11) 
Dceq, ho già chiarito: non credo di riuscire a spiegare meglio il mio disappunto (chiamiamolo così..); e non ho capito perchè tu ti senta attaccato. Non giro col fucile a tracolla per impallinare qualcuno.

No di certo, tanto più che ho il giubbotto antiproiettile, catarinfrangente ed autogonfiante ^_^

Avevo però avuto l'impressione che, come talora accade, si identificasse un po' l'opinione espressa in una notizia con chi la riporta, cosa assolutamente, almeno in questo caso, non vera.

Spero che il mio invito venga raccolto e che possiamo imparare qualcosa in merito.

Edited by dceg - 16/1/2011, 22:06
 
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§Karl§
view post Posted on 16/1/2011, 19:28




Non sarebbe nemmeno male. E' vero che è un argomento, quello del rapporto tra archeologia e storia, di cui si è più volte discusso nel corso del tempo, e può essere che sia "esaurito". Tuttavia, ritengo, da buon italiano (è questa una peculiarità più italica che altro, probabilmente per il nostro tipo di formazione. Che nel mio caso è "aggravata" dall'aver frequentato il corso di laurea in storia), che ad esempio la New Archaeology in generale, e proprio Renfrew in particolare, abbia (o almeno abbia avuto) una visione della storia tutta sua. Un po' anacronistica, arretrata. Mi riferisco ad esempio all'insistenza presente nel Renfrew - Bahn sulla distinzione tra storia descrittiva e storia esplicativa, processuale, avendo come punto di riferimento la storiografia delle Annales.
 
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lama su
view post Posted on 16/1/2011, 23:12




so che rischio il linciaggio, però io devo dire che non sono poi così avverso al determinismo di tipo ottocentesto (con qualche sano tocco di marxismo, possibilmente).

mi spiego riprendendo un commento fatto in questa discussione:

CITAZIONE
nell'economia delle forze storiche, anche le idee alla guida della volontà umana sono fondamentali. anzi se devo dirla tutta, io, in generale, trovo più determinanti quest'ultime che non il resto: perchè all'uomo rimane (quasi) sempre una scelta sul da farsi.

su questo punto, più passa il tempo e più mi trovo ad essere sempre meno d'accordo. Agli individui rimane sempre una scelta da fare (ma anche lì si potrebbe discutere su quanto queste scelte sono veramente libere, e non il frutto dell'ambiente in cui gli individui si trovano), ma sono sempre più convinto che la Storia non è fatta dagli individui, ma dalle collettività.

E la "collettività" agisce in maniera inconscia, fluida e dinamica in risposta agli stimoli a cui è sottoposta. La "collettività" non ha una coscienza che decide coscientemente "qui mi fermo" "qui vado avanti" "qui cambio rotta", ma come un fiume scorre attraverso il terreno che si trova davanti, così la collettività plasma la storia in funzione degli stimoli che si trova ad affrontare.

Certo, degli "individui" possono a volte influenzare il corso della storia "collettiva", ma secondo me non ne sono loro gli artefici, ne sono al massimo i catalizzatori o ritardanti. Lenin può essere stato la scintilla che ha fatto crollare il regime zarista, ma sono sicuro che il regime zarista sarebbe crollato (o sarebbe stato profondamente riformato) anche senza lenin, perchè nel suo insieme era un sistema che non sarebbe potuto sopravvivere nel XX secolo.

In effetti, inizio a pensare che tutta la Storia non sia altro che un'interazione di dinamiche lente a lungo termine che portano in maniera impercettibile (e quindi incontrollabile) a delle situazioni critiche dove un particolare catalizzatore innesca il cambiamento. Il punto al massimo sta in cosa siano le dinamiche a lungo termine, e quali siano i possibili catalizzatori del cambiamento. Secondo me, alcuni fattori a volte possono essere dei catalizzatori a volte no (gli individui appunto), altri fattori invece sono inevitabilmente, sempre, dei catalizzatori. I cambiamenti climatici secondo me sono proprio uno di questi fattori che sempre hanno degli effetti sulla collettività, per il semplice fatto che essi hanno il potere di andare ad influenzare le necessità più profonde e basilari degli uomini: il cibo, l'abitazione, la sicurezza per il futuro,..

Del resto basta guardare gli eventi di questi giorni, con quello che sta succedendo in tunisia: le rivolte non sono scoppiate perchè un singolo studente si è dato fuoco, e neppure perchè la gente si è coscientemente accorta di essere stanca di Ben Ali e ha deciso di cambiare la propria sorte.
La rivoluzione (perchè di rivoluzione si tratta, secondo me) è scoppiata perchè la "collettività" si è trovata ad affrontare un nuovo fattore, l'aumento dei prezzi del pane, che però a ben guardare è a sua volta dovuto all'aumento dei prezzi dei cereali, a sua volta dovuto al fatto che la cina, l'europa e gli stati uniti si stanno buttando come sciacalli su delle produzioni relativamente ridotte, in quanto i raccolti in australia sono stati distrutti dalle alluvioni, e quelli in russia dagli incendi. In ultima analisi, il catalizzatore sono due eventi climatici. O meglio, è la combinazione di alcune dinamiche a lungo termine (la lenta decadenza del regime di ben ali, il deleterio sfruttamento turistico occidentale, l'aumento dei mezzi di informazione,..) innescati da un catalizzatore, che appunto è in questo caso un fenomeno ambientale.

E se mi è concesso di fare il chiaroveggente, a meno che gli altri governi nord-africani/medioorientali non si diano una svegliata e si accorgano del pericolo che corrono, i fatti di tunisi saranno presto seguiti da altri simili in algeria, in giordania, e poi in egitto e in palestina, a cui poi seguirà il libano (dove Jumblatt sta giocando con il fuoco) e magari persino più ad est arrivando fino in iran.
E questo perchè tutti questi stati hanno subito delle dinamiche a lungo termine, spesso con elementi comuni associati ad altri specificatamente regionali, che li ha portati ormai tutti oltre la massa critica.

ora qualunque cosa succederà, se scoppierà un'ondata di rivoluzioni dal marocco all'iran, o se al contrario vi sarà una serie di riforme e una svolta da parte dei governi, in qualunque di questi due casi assisteremo ad un cambiamento, che avrà avuto come catalizzatore, come scintilla, un fattore climatico.
 
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