Ostraka - Forum di archeologia

Che cos'è l'architettura?, metodologia della didattica e della critica

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*Gibo*
view post Posted on 16/2/2011, 20:20




Spesso avrei voluto iniziare una discussione del genere con voi, anche solo per capire come si insegna e come si parla di architettura.

La domanda che effettivamente può sembrare banale spero possa offrire uno spunto di riflessione, soprattutto se analizzata partendo da quella vaga intersezione che si trova tra il campo puramente architettonico e quello archeologico.
Spesso, nel modo di pensare comune, l’oggetto architettonico si riduce a una serie muta di segni convenzionali o di rappresentazioni in un certo senso artificiali. Siamo in fondo tutti abituati a parlare di edifici basandoci, ad esempio, su planimetrie, sezioni e foto.
Ciò potrebbe succedere a maggior ragione a chi è abituato a stilare e a studiare dati di scavo, su architetture completamente snaturate, in quanto non più integre.
Il rischio è che in questo modo non si possa né capire né apprezzare l’architettura, complice forse anche un’impostazione scolastica non sempre corretta.
Fermo restando che ognuno di noi può andare a dormire tranquillamente ogni sera senza affrontare il problema, vorrei provare ad approfondire il discorso…
Ragionando come detto sopra, spesso si finisce per perdere di vista la reale peculiarità dell’architettura come arte, riducendola nel migliore dei casi ad una forma più estesa di scultura.
L’errore di un’impostazione del genere è chiara quando poi ci andiamo a trovare “all’interno” dell’oggetto architettonico descritto.
Già il concetto di “all’interno” dovrebbe essere illuminante.
Non ci si può trovare dentro un quadro e non ci si può trovare dentro una scultura, però ci si può trovare dentro un oggetto architettonico. In questo passaggio logico emerge la grande peculiarità dell’architettura, ovvero la tridimensionalità.
Apprezzato ciò, è logico dedurre l’errore che si compie ragionando in termini di planimetrie e sezioni, ma anche in termini di foto. Il campo di esistenza dell’oggetto architettonico si trova nello spazio e non nel piano, quindi quando si pensa a esso si pensano volumi pieni e vuoti e superfici che lo delimitano offrendosi a giochi di luce e di ombre. Tutta la percezione di questo organismo, anche in quanto non percepibile nella sua totalità con un singolo colpo d’occhio, varia con il variare della posizione dell’osservatore.
Gli strumenti utilizzati nella rappresentazione architettonica sono fondamentali ma possono essere ingannevoli, perché, ragionando, ad esempio su una planimetria o su una sezione, si compie una forzatura logica. Pensiamo ad esempio all’appartamento in cui viviamo: il nostro sguardo non potrà spaziare oltre la stanza in cui ci troviamo se non per quello che ci permettono le superfici che la delimitano. Sulla carta io so cosa c’è oltre le pareti ma nella realtà non lo percepisco. Nel descrivere un’opera architettonica si deve dunque saper andare anche oltre gli strumenti cercando di estrapolare da essi la spazialità, ovvero la vera dimensione dell’architettura.

Tornando alla domanda del topic, credo che la risposta possa ripartire in un certo senso dalla definizione, data da Vitruvio, di architettura come frutto della concorrenza di tre concetti fondamentali quanto, in un certo senso, indefinibili: firmitas, utilitas ,venustas.
Senza annoiare con un’inutile analisi dei tre concetti (banalmente traducibili come stabilità, funzionalità e bellezza), vorrei solo sottolineare come in essi siano presenti delle condizioni molto forti alla definizione di architettura. Proprio queste tre condizioni andrebbero, secondo me, tenute bene a mente quando si pensa o si descrive un’opera architettonica, affiancando alla parte strutturale e a quella estetica legata anche ai particolari più minuti dell’ornamento, anche gli aspetti di funzionalità (concetto che cambia nel tempo e nello spazio), che si realizzano principalmente, come detto prima, nel modo con cui viviamo e percepiamo lo spazio (modo che oltretutto può influenzare anche l’estetica dell’opera).

Per chi fosse interessato a approfondire consiglio la lettura di B. Zevi “Saper vedere l’archtettura”.

 
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view post Posted on 16/2/2011, 22:35
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C'è da aggiungere che spesso, non sempre per fortuna, nel campo archeologico le opere architettoniche sono ridotte alla loro "pianta",in quanto molte delle parti sopraelevate sono perdute, e questo naturalmente porta ad una visione distorta, appiattita. L'architettura è, tralasciando esperienze moderne che esulano dal discorso che si svolge qui, come hai giustamente osservato, una forma d'arte "praticabile" e che non si esaurisce in una visione singola ma implica anche il movimento in essa e attorno ad essa, in tal senso è per così dire non tri- ma quadridimensionale e aggiungendo il suono (pensate solo ai passi che risuonano diversamente a seconda dell'ambiente in cui ci si muove) forse anche pentadimensionale. Tra le arti è inoltre quella che forse maggiormente presenta gli aspetti di funzionalità, pratica, simbolica ed è inoltre "contenitore" per altre forme di espressione artistica.
 
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*Gibo*
view post Posted on 16/2/2011, 22:57




Quello che dici è verissimo.
Se non sbaglio proprio Zevi parlava di quattro dimensioni riferendosi al tempo che è una delle variabili del movimento dell'osservatore all'interno dell'edificio.
Poi, come dici, si potrebbero estendere le sensazioni percettive a altri sensi oltre alla vista.
Purtroppo è vero che l'archeologia spesso si occupa degli edifici quando ormai hanno perso la loro vera natura, però, con le nuove tecnolgie e con le conoscenze via via accumulate, è interessante anche cercare di rendere al "rudere" una dignità artistica, come si cerca di fare con la statua o con il "brandello" di opera pittorica (senza voler considerare da meno nessuna di queste forme).
Spesso l'opera architettonica in quanto meno fruibile allo stadio "terminale" rispetto ad altre opere d'arte rimane confinata nei dati e nei rilievi e nei disegni, pagando proprio per le proprie peculiarità. In questo senso una certa alfabetizzazione rispetto al problema potrebbe aiutare (forse anche alla luce di come vengono lasciate morire molte architetture di pregio in Italia, che ruderi non sono, e senza voler fare alcuna polemica ricordo iniziative quali quella dei "luoghi del cuore" del FAI).
 
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2 replies since 16/2/2011, 20:20   187 views
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