| Per un altro bog, ho scritto un modesto intervento, molto generale e sintetico, sull'archeologia l'antropologia della guerra sviluppatesi soprattutto in seguito all'opera di Keeley intorno ai primi anni 90. http://gianfrancopintore.blogspot.com/2011...cisti.html#moreCITAZIONE Pacificatori del passato vs bellicisti (irrealistici) di Dedalonur
Nel ventesimo secolo l'accademia archeologica ha stranamente ignorato la guerra e in senso più ampio il warfare, nonostante l'ampia documentazione archeologica consistente in “traumata”, armi, sepolture di guerrieri e iconografie guerresche giunti dalla preistoria. A chi si occupa di archeologia sarda, e nuragica in particolare, queste parole potrebbero suonare come un grossolano errore se non una vera e propria provocazione. Fu proprio il Ventesimo secolo a vedere l' affermazione incontrastata delle tesi belliciste del Lilliu intorno alla funzione dei Nuraghi; a ragion veduta pertanto, chi vorrà, avrà al suo arco numerose frecce da scagliare a chi avventurosamente parlasse di “estranietà dell'archeologia sarda alle tematiche militari”. Infatti l'incipit è da riferirsi, in generale, (naturalmente, non mancarano le eccezioni) all'archeologia europea continentale, e più in particolare, ai decenni intercorsi alla fine della secondo conflitto mondiale e gli inizi degli anni novanta; è in questo periodo che la guerra preistorica si specchiò in due atteggiamenti opposti; da un lato c'erano coloro che, in buona fede, tendevano a minimizzarla per esempio attraverso il “simbolismo guerresco”: basti pensare che per culture, oggi considerate eminentemente guerresche, come quella norrena del bronzo, la deposizione della spada nella tomba venne studiata più che altro dal punto di vista simbolico e religioso, o “culturale”. Non che gli archeologi europei non parlassero di guerra (e qui ci si riferisce al polo “militarista”), ma quando questo accadde la guerra fu ritratta in modo irrealistico se non antistorico, magari incanalando nelle “tesi belliciste”, tensioni politico militari vissute in prima persona. Il caso di scuola più esemplare è Marija Gimbutas, la quale, come sarà noto, contrappose ad un Antica Europa pacifica e matriarcale una immensa invasione indoeuropea di stampo patriarcale ed ovviamente guerresca. Non mancarono i detrattori che intravidero nell'invasione indoeuropea dell'antica Europa, una rielaborazione psicologica dei traumi vissuti dalla Gimbutas, allorchè l'Unione Sovietica invase la sua Lituania. L'accusa può suonare come un affronto a colei che rimane una delle più importanti studiose del neolitico europeo.
Ma oltre che avanzata con argomentazioni di merito, tuttaltro che infondata sotto due punti di vista; la prima argomentazione la fornirono l'archeologia e l'antropologia, sfatando l'immagine di un neolitico pacifico da un lato (che io sappia, l'archeologia riconosce forti prove di warfare sin dal mesolitico) e quella di una cultura “indoeuropea” esclusivamente guerresca; l'antropologia completò l'opera, studiando popolazioni di livello culturale elementare (p.e. definite acefale in quanto del tutto prive di struttura politica gerarchica) alle prese con operazioni militari complesse e di vasta portata. I detrattori della Gimbutas non sbagliarono troppo sotto un altro punto di vista: la guerra è la materia che più tra tutte viene schiacciata alle contingenze politico sociali del periodo storico e alle inclinazioni ideologiche di chi ne parla. A riprova l'espressione “pacificatori del passato” fu coniata da L.H. Keeley in polemica opposizione a coloro che in archeologia proiettavano a ritroso nel passato, il mito del “buon selvaggio”. War Before Civilization: the Myth of the Peaceful Savage vide le stampe nel 1996, quindi come è stato fatto notare, la sua gestazione fu in concomitanza alla guerra fratricida nella ex-Jugoslavia (...neppure questo è casuale). L'opera di Keeley -ormai superata sotto alcuni aspetti - ebbe il merito di sconfessare oltre al Mito del buon selvaggio, alcuni pregiudizi intorno alla guerra preistorica e tribale, di solito ritenuta meno violenta e dannosa o meno complessa e più limitata delle guerre moderne. L'opera di Keeley e di pochi altri, è riconosciuta come lo spartiacque, poiché da essa prese respiro un eroica ed immensa ricerca con oggetto tutte le tematiche socio-culturali e tecnologiche che in un modo o nell'altro, il termine onnicompresivo warfare, racchiude. Il suo obiettivo ultimo così come a me pare, è quello di sottrarre la guerra all'ignoranza, di chi, credendo di conoscere la guerra senza mai averla ne esperita ne studiata, se ne fa travolgere in vario senso e modi. In Sardegna evidenze di ideologia guerresca affiorano inequivocabili già nell'eneolitico con le statue stele di cultura Abealzu-Filigosa , o con numerose fortificazioni attribuite alla cultura Monte Claro o alternativamente al nuragico. Tanto le statue stele, quanto le fortificazioni appartengono ad un fenomeno paneuropeo. Così come potrebbe rientrare in un più ampio fenomeno paneuropeo la tomba dei guerrieri di Iroxi, collocata in un periodo al quale si attribuisce – da parte di alcuni studiosi - la nascita dell'ideologia guerriera in Europa. La facies Iroxi è l'antenata diretta della civiltà Nuragica, la quale contiene almeno tre filoni rilevanti per gli attuali studi sul warfare preistorico. Il primo filone è relativo all'architettura militare. In un recente convegno presso Domus de Maria, l'archeologo Perra, non ha esitato a definire fortezza l'Arrubiu di Orroli. Uno spunto significativo, ma meno importante, del constatare che sfrondata dei suoi elementi bellicisti più irrealistici, la teoria Lilliana regga nella sua parte più importante: la funzione di comando e controllo del territorio a protezione delle risorse agricole, minerarie e delle vie di comunicazione interne od esterne, tramite il presidio delle coste. Nonostante le critiche, le finalità di controllo e ordine territoriale, appaiono essere sempre più irrinunciabili nell'interpretazione dei sistemi di torri nuragiche. Tale funzione non credo possa essere contrapposta alle teorie che fanno del nuraghe una struttura ritualizzata e che insieme a tombe dei giganti e pozzi sacri, da vita ad una sorta di coreografia monumentale e simbolica entro il paesaggio sardo. Il secondo filone è costituito dalla bronzistica (guerrieri, navicelle, armi in miniatura) e dalle miriade d'informazioni che da essa si possono ricavare, tenendo pure in questo caso in conto, come, all'iperrealismo si accavalli un certo simbolismo religioso. Tuttavia, la panoplia mostrata dai bronzetti trova quasi totale riscontro nei reperti archeologici recuperati in Sardegna, e sono affidabile testimonianza di una classe guerriera molto specializzata e a tratti standardizzata, con poco o nulla da invidiare alle coeve fanterie levantine del bronzo finale, periodo al quale sempre più, si fa risalire la produzione della bronzistica figurata nuragica. Il terzo filone infine è costituito dalla connessione tra i nuragici e l'isola di Sardegna con la catastrofica caduta del sistema palaziale levantino, e dunque alla spinosa questione dei Popoli del Mare. posto in questa sezione, perchè vorrei discutere delle problematiche generali antropologiche e archeologiche, lasciando perdere o passando in sottordine, le problematiche relaitive all'archeologia sarda.
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