La teoria della litificazione del tempio greco, ovvero della modellazione delle sue forme e dei suoi elementi a imitazione di un modello ligneo arcaico, viene espressa da Vitruvio verosimilmente sulla scorta di fonti greche almeno di età ellenica e ripresa dalla successiva trattatistica ed è tutt’oggi sostanzialmente accettata come verosimile.
Avendo sempre trovato interessante l’argomento vorrei portare alcune riflessioni, prendendo spunto anche da autori moderni come G.Morolli che si è occupato ampliamente dell’argomento, suddividendo la discussione elemento per elemento per non appesantire troppo.
Questa immagine riporta i nomi dei vari elementi (non tutti) del tempio greco, può essere utile come ripasso:
http://upload.wikimedia.org/wikipedia/comm...features_it.jpgIl primo elemento su cui mi vorrei soffermare è il triglifo del tempio dorico.
Questo, alternandosi ritmicamente con le metope costituisce la componente principale del fregio della trabeazione.
In “De Architectura” IV,II,2 Vitruvio, giustifica la nascita di questi elementi a imitazione delle tavolette cosparse di cera azzurra, poste a coprire le teste delle travi che dai muri della cella correvano verso l’esterno dei lati lunghi, poggiando sull’architrave esterno portato dalle colonne. A colmare gli spazi vuoti tra le travi contigue, venivano quindi poste le metope. A rafforzare la teoria Vitruvio ricorda, in IV,II,4 come con όπαι i greci indicano i piani di posa delle travi, indicate in latino come “cava columbaria”, di conseguenza il termine metopa andava a indicare lo spazio tra questi piani di posa (in latino “intertignum”).
Secondo vitruvio le tavolette sono poste sulla testa della trave e nello spazio tra esse per motivi estetici, ma si potrebbe aggiungere anche come protezione dagli agenti aggressivi per il legno (acqua, sporcizia, ecc…).
In quest’ottica, nel tempio marmoreo o comunque litico, il triglifo non farebbe altro che ricordare la posizione delle antiche travi lignee del tempio arcaico destinate a contrastare le spinte dovute alla copertura a falde inclinate.
Le falde erano sostenute da travicelli inclinati, poggianti sull’esterno proprio sulle travi “del triglifo” e in alto sostenuti da travi longitudinali (con asse quindi parallelo al lato lungo della trave) poggianti o sulle murature della cella o, per luci troppo estese, su pilastrini lignei portati dalle travi “del triglifo”, in un antecedente ancora non perfettamente realizzato della capriata.
Estendendo un ragionamento di Vitruvio (IV,II,5 su cui vorrei tornare in seguito) sulla sostanziale scorrettezza nel posizionare modiglioni e dentelli nei frontoni dell’ordine dorico, si potrebbe anche dire che la stessa alternanza dei triglifi e delle metope non si dovrebbe avere nel fregio del frontone, dal momento che le travi trasversali testimoniate dai triglifi mostrano il loro lato lungo sulle facciate corte. È interessante notare però che l’autore si astiene da questa valutazione.
Una possibile riprova dell’origine del triglifo da una trave può essere data, inoltre, dalla perentorietà con cui si ricorda, in IV,III,2, che i triglifi devono poggiare in asse colonne, come ci si aspetterebbe da una trave (obbligo che creava dei problemi di spazio nella realizzazione del fregio sulle colonne di estremità e che portò alcuni teorici greci a sostenere la disarmonia delle proporzioni doriche).
Un approfondimento rispetto agli accenni viene fatto da G.Morolli, che completa quanto detto da Vitruvio con la successiva descrizione dell’ordine tuscanico (IV,VII,4) dove gli elementi strutturali non avevano subito la litificazione storicizzata degli ordini greci.
Così le “trabes compactiles” costituite da più elementi uniti da “subscudes” e “securicola”, poste trasversalmente rispetto alla lunghezza del tempio, presentano una sezione costituita da assi di legno stretti e alti disposti affiancati e distanziati per prevenire danni in caso di ingresso d’acqua. Seguendo il ragionamento di Morolli se si ipotizzano travi composte da tre di queste tavole ecco che si ha l’alternanza dei tre tratti verticali (detto “femur” in latino e “meròs” in greco) e degli spazi posti fra essi (i due “canali” più mezzo su ciascun bordo esterno) propri del triglifo. E si spiega così anche il suo nome: triglifi ovvero “tre tagli” che sarebbero non i tre canali (infatti sono due più due mezzi), quanto tre tavole di legno intagliate.
Ancora più il triglifo ricorderebbe lo strato di cera una volta seccata sulla testa di queste travi composte.
Proseguendo nella riflessione, Morolli ipotizza un analogo fenomeno di mimesi anche per l’ipotriglifo con le sei “gocce” a ricordo di sei chiodi, due per ciascuna tavola, posti a fissare le travi trasversali rispetto all’architrave longitudinale.
qui si vede il frontone del Partenone con il triglifo e l'ipotriglifo con la tenia e le sei gocce poste sotto:
http://upload.wikimedia.org/wikipedia/comm...henonFrise1.jpgNel fregio del tempio di Aphaia si vede il problema del posizionamento del triglifo sulla colonna di estrimità:
http://upload.wikimedia.org/wikipedia/comm...ia-temple-3.jpgtriglifi e metope del tempio C di Selinunte:
http://upload.wikimedia.org/wikipedia/comm...gico-bjs-05.jpg