| (Innanzitutto chiedo scusa nel caso in cui la sezione non sia adatta a questo tipo di problemi con conseguente necessità di spostare la discussione).
In questi giorni sto leggendo i due volumi della Storia di Re Artù e dei suoi cavalieri di Sir Thomas Malory, il quale dice di aver concluso l'opera 'nel nono anno di re Edoardo IV' (intorno al 1469-1470, quindi). A pagina 124 dell'edizione Mondadori c'è la breve descrizione di un torneo il cui premio, una corona, viene stimato valere mille bisanti. Ora, consideriamo pure che Malory non è uno storico e che la sua opera non è e non vuole essere una cronaca (ad un certo punto spunta fuori un episodio in cui Artù, sconfitto un imperatore romano di nome Lucio, viene fatto imperatore a sua volta, per dire), ma la questione che mi ha incuriosito riguarda la dimensione 'lessicale' della cosa. Perché Malory, che scrive nella seconda metà del XV secolo e a impero bizantino crollato, trova (o sembra trovare) automatico fare un computo in bisanti? Per quanto ne so, almeno fino all'introduzione dell'augustale e del fiorino, le monete più preziose che circolavano nell'occidente medievale erano il dinar arabo e il -appunto- bisante, ma è possibile che l' "abitudine" ad utilizzare queste due valute si sia radicata così bene da rimanere una misura di comodo anche alla fine comunemente intesa del Medioevo, ovvero dopo la ricomparsa di una monetazione occidentale 'forte' e dopo la diffusione capillare delle compagnie di banchieri fiorentini nell'occidente medesimo? Come avrete intuito di strumenti per valutare bene la cosa, specialmente in un ambito più letterario che storico, ne ho pochi, per cui vorrei sapere cosa ne pensate.
PS: l'edizione (Oscar Mondadori) non è, chiaramente, una riproposizione pari pari dell'originale, ma, sempre per quanto ne so, gli eventuali tagli sono più volti a ridimensionare l'ipertrofia di descrizioni di scontri & combattimenti.
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