And the winner is: dceg!
Sì, si tratta dell'applique bronzea conformata a testa di Borea proveniente dal riempimento di uno dei pozzi del foro. Un pezzo che io trovo di una bellezza esagerata!!! E che visto dal vero è anche più bello che in foto. Assolutamente un pezzo unico e senza confronti nemmeno a Roma.
Sulla possibilità degli archeologi di fare gli archeologi in soprintendenza c'è molto da dire. Putroppo le pratiche a cui rispondere finiscono per essere moltissime (si va dai piani di gestione del territorio, o PGT, alla scelta dei siti per le discariche, alle pratiche per gli impianti fotovoltaici o quelli a biogas, alla coltivazione delle cave, alla posa dei cavi elettrici o dell'acqua o del gas e via andando) e purtroppo il MiBAC ha una pessima politica nella sostituzione del personale amministrativo. Nel senso che chi va in pensione non viene sostituito e quindi anche compiti puramente amministrativi (dal protocollo alla collocazione delle pratiche in archivio, dall'acquisto di materiale di consumo alla redazione dei turni dei custodi, dal supporto informatico ai colleghi al controllo dei capitoli di spesa) finiscono per ricadere sugli archeologi.
Negli anni, poi, non sono stati sviluppati sistemi informatici adeguati per la gestione delle informazioni relative ai diversi rinvenimenti per cui in molti uffici, quando devono rispondere a delle pratiche devono aprire i faldoni e passarsi tutto il cartaceo alla ricerca dei dati necessari. Ci sono, attualmente, dei progetti di informatizzazione (a Roma, ad esempio, il SITAR) ma vista la mole del pregresso non si può pensare che dall'oggi al domani la situazione cambi radicalmente.
Un aspetto che mi lascia perplessa nel testo di Malnati è il richiamo alle specificità delle competenze. Premesso che da archeologa classica capisco che non potrei mai occuparmi di preistoria o di medioevo al pari di chi si è specializzato in questi periodi, un richiamo del genere mi sembra far tornare ai tempi in cui la divisione del lavoro all'interno delle Soprintendenze non avveniva su base territoriale ma sulla base della natura dei resti che di volta in volta venivano in luce. Per quanto questo abbia prodotto dei buoni risultati (si vedano, ad esempio, gli studi prodotti dalla Soprintendenza del Piemonte per l'ambito pre-protostorico e medievale), il tipo di lavoro che attualmente impegna le Soprintendenze e la natura e quantità delle risorse umane ed economiche mi pare non consentire una divisione del lavoro di questo tipo. Tanto per fare un esempio: se ci sono più archeologi (potrebbero essere almeno tre: un preistorico, un classicista ed un medievista... sembra l'inizio di una barzelletta) su uno stesso territorio chi risponde al comune che sta facendo un PGT informandolo delle aree a rischio archeologico? Il primo che vede la pratica? Tutti insieme appassionatamente? O uno è sempre in ufficio a far carte mentre gli altri si occupano dello studio e del controllo sul territorio? E allora che fine fa la valorizzazione della sua competenza specifica?
Il richiamo alla necessità di una celere pubblicazione, che condivido, si scontra, poi, con la sempre maggiore difficoltà per non dire impossibilità di garantire un compenso a chi, esterno agli uffici pubblici, si dedica allo studio dei materiali o degli scavi. Perchè ormai è impossibile pensare che una sola persona sia in grado di pubblicare uno scavo. La pubblicazione, per essere celere ed accurata, è e deve essere un lavoro di équipe a cui partecipano specialisti delle diverse classi di materiali e persone che si dedichino all'indagine delle strutture e dei risvolti urbanistici delle stesse.
Un'ultima cosa: e se l'archeologo finito in un certo posto non ha compentenze specifiche utilizzabili in quell'area? Chi ha sempre studiato vasi apuli come fa a valorizzare la sua formazione, caso fittizio, in Veneto?