| Questo piatto è molto antico, sicuramente di origine medievale, addirittura la leggenda lo fa risalire al 489 d.C. Andiamo con ordine: visto che questo è un forum di archeologia, a me piace anche illustrare un po' di storia della gastronomia.
A Verona la carne di cavallo è tradizionalmente molto apprezzata, tanto che parecchie sono ancora le macellerie di carne equina presenti in città. Magari al giorno d'oggi è apprezzata un po' meno, oggi vanno di moda un sacco di schifezze preconfezionate, la sana carne equina è troppo rossa e "sanguigna" per i deboli stomaci contemporanei. Personalmente, una bella tartara di carne di cavallo mi fa venire l'acquolina in bocca al solo pensarci...
Il piatto più caratteristico che viene preparato con questa carne è la pastis(s)ada, cioè uno stracotto di polpa di cavallo (credo si tratti di girello o scamone, ma nelle locali macellerie equine basta chiedere della polpa per la pastissada, non c'è bisogno di indicare altro). Di solito, si serve con la polenta ma tradizionalmente, nel periodo di carnevale la pastissada viene usata per condire gli gnocchi di patate: ne risulta un piatto molto forte, che scalda, "riempie" e non è facile da digerire, insomma un piatto tipicamente invernale.
Ovviamente, l'aggiunta degli gnocchi di patate è relativamente recente, visto che l'uso nella cucina europea della patata, importata dal Perù, venne diffuso da Parmentier dopo il 1771 (all'inizio del '500 la patata e il pomodoro vennero considerate solo piante velenose perché tali sono le loro parti verdi, solo verso la fine del '600 si cominciò a piantare le patate nel nord della Germania per sfruttarne il tubero ad usi alimentari, e durante un periodo di prigionia in Germania le conobbe Parmentier che ne promosse e diffuse l'utilizzo in Francia). Anche la polenta, ricavata dal mais altra pianta americana, è una aggiunta recente, anche se precedente l'invenzione degli gnocchi di patate. Probabilmente, la pastissada in origine veniva servita con le paparele, pasta lunga fatta con farina impastata con acqua o uova, lavorata a mano in forma di lunghe stringhe (oggi, con il vocabolo paparele si indicano le tagliatelle).
Torniamo alla leggenda, partendo da fatti storici. Nel 489 d.C. Teodorico, re degli Ostrogoti, entrò in Italia attraverso le Alpi Giulie e il 28 agosto sconfisse Odoacre, re degli Eruli e d'Italia, sulle rive dell'Isonzo. Odoacre si rifugiò presso Verona, chiudendosi in un improvvisato campo trincerato alle porte della città. E qui, il 31 agosto, Teodorico lo sconfisse nuovamente, costringendo Odoacre a rifugiarsi a Ravenna. Fin qui, la storia. La leggenda vuole che durante la battaglia ci sia stata una carneficina di cavalli, i cui cadaveri vennero abbandonati sul campo, appena fuori delle mura cittadine. Passata la furia delle armi, i veronesi si diedero da fare per recuperare tanto bendidio alimentare. Non potendo consumare tanta carne in pochissimo tempo, tentarono di conservarla utilizzando pepe, cannella e chiodi di garofano e inventarono quello stracotto che va sotto il nome di pastissada per ovviare ai possibili inconvenienti derivanti dalla troppo prolungata frollatura.
Ecco come si spiegherebbero nella ricetta la presenza della lunga frollatura, con marinatura nel vino, l'abbondante uso di spezie e la prolungata cottura: la carne che sarebbe stata utilizzata nel 489 era molto frolla, quindi pericolosa dal punto di vista sanitario, il vino è alcolico, assieme alle spezie disinfetta e la lunga cottura in qualche modo sterilizza e le spezie correggono il sapore. Mi sembra ovvio, comunque, che gli ingredienti utilizzati attualmente non possono corrispondere a quelli di una ricetta medievale, tantomeno a quelli di una ricetta che sarebbe stata inventata nel periodo del Basso Impero. Tanto per dire, l'attuale Valpolicella è forse l'erede dell'antico vino retico citato dei latini, ma è solo un lontanissimo cugino...
Per 4 persone 600 gr di polpa di cavallo 400 gr di cipolle carota e sedano a gusto, per la marinata 1 lt di vino Valpolicella 1 foglia di alloro 1 manciatina di chiodi di garofano 1 manciatina di grani di pepe nero, interi un po' di brodo di carne Sale, olio evo e burro a piacere (evo sta per extra vergine di oliva, un tempo si usavo lo strutto)
Tagliare la carne di cavallo a cubetti di 3 cm di spigolo, qualcuno ancora oggi la mette a marinare nel vino rosso (Valpolicella, ovviamente, siamo a Verona) con il sedano e la carota a tocchetti, per 24 ore se non addirittura 48. In una casseruola, un tempo era una "ramina" cioè una casseruola di rame, scaldare l'olio e sciogliervi il burro. Tenere da parte una cipolla non molto grande, affettare le rimanenti e metterle nella casseruola e lasciarle stufare (non devono imbiondire). Gettare i cubetti di carne e rosolarli un po'. Piantare i chiodi di garofano nella cipolla intera rimasta. Aggiungere il brodo, la cipolla intera con i chiodi, i grani di pepe, la foglia di alloro e il liquido della marinata o il vino, se non si è marinata la carne. Alzare il bollore poi abbassare la fiamma al minimo e coprire. Cuocere a fuoco lentissimo per circa 3 ore o comunque finché la carne inizia a sfilacciarsi, aggiungendo un po' di brodo nel caso il liquido di cottura dovesse asciugarsi. A metà cottura, togliere la cipolla intera con i chiodi di garofano, se non fa piacere ritrovarseli nel piatto. Alla fine, deve comunque restare un po' di denso liquido di cottura.
Si serve con fette di polenta, a piacere morbide o abbrustolite ma comunque calde, oppure sugli gnocchi di patate. Si accompagna o con lo stesso Valpolicella utilizzato per la cottura o, meglio, con un vino rosso più robusto, idealmente un buon Amarone che del Valpolicella è il fratello maggiore.
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