Ostraka - Forum di archeologia

Le sette cose fatali di Roma antica

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view post Posted on 22/10/2013, 18:09
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- Γνῶθι σεαυτόν -

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Voglio proporvi oggi una discussione su una leggenda che da tempo mi sta affascinando.

Parto riportandovi le parole di Servio Onorato, commentatore tardo, famoso per i suoi scolii all'Eneide di Virgilio (Aen. VII, 188): "Septem fuerunt pignora, quae imperium Romanum tenent: acus matris deum, quadriga fictilis Veientanorum, cineres Orestis, sceptrum Priami, velum Ilionae, palladium, ancilia".
Come potete vedere, questo è l'elenco dei 'pignora imperii' (i pegni/le garanzie dell'Impero), da alcuni autori indicati anche come sacra quaedam o sacra fatalia. Si trattava di sette reliquie, che, secondo la leggenda, avrebbero garantito l'invincibilità di Roma.

Che cosa si può dire sul conto di questi oggetti?
Per almeno quattro di essi, è possibile tracciare un breve profilo 'storico': l'ago di Cibele era un betilo in pietra nera, di forma conica, che i Romani trasferirono a Roma da Pessinunte, nel 204 a.C., per scongiurare la vittoria di Annibale; esso era conservato nel tempio della Magna Mater, sul Palatino. La quadriga fittile dei Veienti era un'opera prodotta dal leggendario artigiano Vulca, originario di Veio, che, verso la fine del VI secolo a.C., la realizzò come ornamento per il tempio di Giove Ottimo Massimo sul Campidoglio. L'Ancile (plur. Ancilia) era il dono che Marte aveva fatto al re Numa Pompilio, per scongiurare una pestilenza che affliggeva la città di Roma: caduto dal cielo, lo scudo fu raccolto dal sovrano, che lo affidò ai sacerdoti Salii, perché lo conservassero nella Regia del Foro, e commissionò ben 11 copie a un fabbro locale, per scongiurarne il furto da parte dei ladri. La leggenda dell'Ancile ricorda molto da vicino quella legata al Palladio (un altro dei sette pignora), un'antichissima statua della dea Atena, piovuta dal cielo, che sarebbe giunta a Roma insieme con i Troiani di Enea e che, in epoche successive, sarebbe stata custodita in un sacello segreto, all'interno della Casa delle Vestali.
Sulle altre tre reliquie non si possiedono molti dati: si può presumere che lo scettro di Priamo e il velo di Iliona (primogenita di Priamo) siano giunti a Roma sempre al seguito dei profughi troiani, mentre la questione si fa ancor più oscura per quanto riguarda le ceneri di Oreste.

E' interessante rilevare come la maggior parte di questi oggetti sia legata, direttamente o indirettamente, a città che erano ritenute, per tradizione, 'imprendibili': ben tre di questi sono collegati a Troia (Palladio, scettro di Priamo, velo di Iliona) e uno a Veio (quadriga fittile). In entrambi i casi, infatti, si tratta di città che caddero solamente a seguito di uno stratagemma (il cavallo nel primo caso, il tunnel nel secondo), perché non potevano essere prese con la forza.
L'ago di Cibele poteva essere considerato sacro perché legato alla memoria della sconfitta di Annibale, così come l'Ancile aveva liberato Roma da un altro flagello, di tipo naturale. Le ceneri di Oreste restano l'elemento più misterioso del gruppo: che ragioni potevano esserci all'origine della scelta di questa reliquia come monile per la protezione della città? E quando potrebbero essere giunte a Roma?

Le speculazioni, poi, potrebbero andare oltre, soffermandosi anche sul conto della sorte toccata a questi reperti. Dalle mie ricerche, per esempio, ho scoperto che l'ago di Cibele fu probabilmente rinvenuto negli anni '30 del Settecento, durante gli scavi del Palazzo dei Cesari sul Palatino, e subito dopo disperso (o distrutto), poiché non riconosciuto come tale. Quale sorte potrebbe essere toccata agli altri?

L'argomento lo trovo personalmente avvicente: contate che, già nel 1842, Francesco Cancellieri dedicò un intero libro al mistero che ruota attorno a questi sette monili (potete scaricarvi il testo gratuitamente, in PDF, da Google Libri: http://books.google.it/books/about/Le_sett...AAJ&redir_esc=y), mentre, di recente, so che la vicenda è tornata al centro di un thriller archeologico, di Leandro Sperduti, dal titolo 'I sette arcani del Vaticano'. Voi che ne pensate?
 
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view post Posted on 22/10/2013, 23:30
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Lo scudo caduto dal cielo (o perso da un alieno? :alienff: :wacko: ) mi aveva affascinato sin da bambino, ma non ho mai approfondito il tema. Esistono descrizioni dello scudo?
 
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*Gibo*
view post Posted on 23/10/2013, 09:17




CITAZIONE (Perseo87 @ 22/10/2013, 19:09) 
E' interessante rilevare come la maggior parte di questi oggetti sia legata, direttamente o indirettamente, a città che erano ritenute, per tradizione, 'imprendibili': ben tre di questi sono collegati a Troia (Palladio, scettro di Priamo, velo di Iliona) e uno a Veio (quadriga fittile). In entrambi i casi, infatti, si tratta di città che caddero solamente a seguito di uno stratagemma (il cavallo nel primo caso, il tunnel nel secondo), perché non potevano essere prese con la forza.

Purtroppo non posso aggiungere molto in risposta alla tua domanda, ti sottolineo solo che il parallelismo tra Troia e Veio era molto sentito, almeno se si legge il resoconto che ne fa Livio, un dato su tutti, se non sbaglio è la durata stessa dei conflitti (anche Veio cade dopo dieci). Il paragone con l'assedio di Troia è anche presente nelle esortazioni di Camillo agli assedianti.

Un altro aspetto interessante credo sia l'aspetto dell'abbandono delle divinità, ovvero di come le divinità stesse, accolte a Roma, sanciscano la continuità con la tradizione e la cultura del loro luogo di origine (come nel caso delle "reliquie" troiane), e la legittimità della vittoria militare e politica (come nel caso di Veio).
Ti sembra possibile che questi oggetti sacri fossero importanti anche come simbolo capace di testimoniare il favore divino e la legittimità delle conquiste romane (ad esempio Troia come origine che colloca Roma in continuità con il mito ma anche come vendetta nei confronti del mondo greco, Veio come inizio della conquista dell'Etruria, Annibale come simbolo di Cartagine che rappresenta l'altra grande potenza nel Mediterraneo)?
 
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view post Posted on 23/10/2013, 21:45
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CITAZIONE (dceg @ 23/10/2013, 00:30)
Lo scudo caduto dal cielo mi aveva affascinato sin da bambino, ma non ho mai approfondito il tema. Esistono descrizioni dello scudo?

Descrizioni vere e proprie (o meglio, dettagliate) non lo so se ce ne siano.
Dando un'occhiata in rete, ho notato che Wikipedia riporta il dibattito che, già in antico, si era ingenerato fra gli autori, relativamente all'etimologia di questo nome (da ἀγκύλος/ ἀγκών/ ab ancisu etc.). Lo scudo doveva probabilmente essere di forma ovale e tagliato sui lati (qui ne hai un ipotetico disegno ricostruttivo: http://it.wikipedia.org/wiki/Ancilia).

La forma è paragonata a quella dello scudo tracico, ma a me ricorda vagamente anche un certo tipo di scudo, che ho già visto rappresentato diverse volte sulla ceramica a vernice nera della prima età del Ferro. Un paio di esempi puoi trovarli su questo cratere del Dypilon, del 740 a.C., sul quale, nel registro inferiore, sono raffigurati alcuni soldati con al braccio questo particolare scudo: http://farm7.static.flickr.com/6117/623407..._02b30fc7c2.jpg). Mi chiedo se, a sua volta, questo tipo di scudo non possa essere il risultato della naturale evoluzione del cd. scudo 'a 8' miceneo: http://commons.wikimedia.org/wiki/File:NAM...ght_shields.JPG); ma su questo argomento non sono minimamente ferrato (e poi finiremmo per andare fuori tema...). Non escluderei, in questo senso, che uno scudo tanto antico come l'Ancile di Marte potesse essere ispirato a quelli diffusi in Grecia in quello stesso periodo (se non, addirittura, che possa essersi trattato di un esemplare direttamente giunto da oltremare come keimelion, per lo scambio di doni fra esponenti del ceto aristocratico).

CITAZIONE (*Gibo* @ 23/10/2013, 10:17) 
Ti sembra possibile che questi oggetti sacri fossero importanti anche come simbolo capace di testimoniare il favore divino e la legittimità delle conquiste romane (ad esempio Troia come origine che colloca Roma in continuità con il mito ma anche come vendetta nei confronti del mondo greco, Veio come inizio della conquista dell'Etruria, Annibale come simbolo di Cartagine che rappresenta l'altra grande potenza nel Mediterraneo)?

Lo ritengo possibile, certo, (e anzi, diciamo pure molto probabile).
In quest'ottica, fra l'altro, potrebbero forse acquisire un senso anche le ceneri di Oreste.

La questione è complessa, ma cerco di spiegarmi.
Stando a quanto ricordavo, le ossa (e non le ceneri) di Oreste dovevano trovarsi a Sparta. Erodoto, infatti, riferisce che, inizialmente, l'urna contenente le gigantesche ossa dell'eroe era stata sepolta a Tegea (Storie, I, 67-68). Gli Spartani, non riuscendo a sconfiggere in battaglia gli abitanti di questa città, avevano chiesto aiuto all'oracolo di Delfi, che aveva intimato loro di addentrarsi nel territorio nemico, per recuperare le ossa di Oreste. Lo Spartano Lica, individuata la tomba, aveva ritrovato l'urna e - dice sempre Erodoto - da quel momento gli Spartani non avevano più perso una sola battaglia contro Tegea.

Ora, tralasciando il fatto che qui si parla di 'ossa', e non di 'ceneri' (anche perché le versioni - così come le reliquie stesse - in antico potevano spesso essere numerose, e pure in contrasto fra loro), pare che le spoglie mortali di Oreste, in generale, avessero il potere di rendere vincitori in battaglia coloro che le avessero possedute nella propria città. Mi sono chiesto perché proprio Oreste, e non, per esempio, Edipo, il quale, prima di scomparire nel bosco delle Eumenidi, nel demo di Colono, aveva garantito al re Teseo che, accogliendo la sua tomba, Atene sarebbe stata protetta per sempre contro i suoi nemici - in questo caso, i Tebani (cfr. Edipo a Colono, vv. 1518-1555).

Certo, forse la scelta potrebbe esser stata dettata anche dal fatto che Oreste, appunto, si era trovato al centro di un vero e proprio 'processo giudiziario', in cui alcune divinità (le Erinni) lo volevano punire, e altre (Apollo e Atena) lo volevano salvare. Pur essendosi macchiato di matricidio, alla fine Oreste fu assolto dal tribunale divino, poiché aveva sì infranto la legge degli dèi, ma per adempiere a un'altra legge, più alta e più importante (e cioè, vendicare la morte del padre). E, se ci pensiamo, questo tipo di 'scusa' era un po' anche quella a cui i Romani - anche, per esempio, tramite il diritto feziale - si rifacevano, al momento di attaccare i loro nemici: le loro azioni, infatti, non figuravano mai, alla fine, come un deliberato 'primo passo', ma sempre come l'azione puntiva per un torto precedentemente subìto. In questo senso, forse, le ossa/ceneri di Oreste potevano rivestire un grande valore simbolico per i Romani.
Non so se per voi possa essere una spiegazione valida. Avevo pensato anche alla possibilità del ben noto legame dell'eroe con Apollo (che era pure il dio che Augusto elesse come suo protettore personale), ma, a naso, la prima pista mi pare più plausibile. Forse i resti dell'eroe giunsero a Roma da Sparta già dopo il 146 a.C., quando la Grecia cadde nelle mani del console L. Mummio... ma mi rendo ben conto che qui siamo nel campo della speculazione, e che, senza uno straccio di indizio, può essere probabile tutto e il contrario di tutto.
 
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view post Posted on 23/10/2013, 22:05
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Nel lemma "Ancile" di Wiki in tedesco (http://de.wikipedia.org/wiki/Ancile)viene indicato che la prima rappresentazione degli scudi si trova su monete del (Iuno, ne sai qualcosa?) 17 a.C. ed è da collocarsi nella restaurazione augustea degli antichi culti romani.
 
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*Gibo*
view post Posted on 23/10/2013, 23:00




CITAZIONE (Perseo87 @ 23/10/2013, 22:45) 
Mi sono chiesto perché proprio Oreste, e non, per esempio, Edipo, il quale, prima di scomparire nel bosco delle Eumenidi, nel demo di Colono, aveva garantito al re Teseo che, accogliendo la sua tomba, Atene sarebbe stata protetta per sempre contro i suoi nemici - in questo caso, i Tebani (cfr. Edipo a Colono, vv. 1518-1555).

Forse un meccanismo simile si ha in certe rimanenze pagane di epoca cristiana, ovvero nel culto dei santi. Anche alle reliquie dei santi vengono riconosciuti "poteri" simili a quelli che descrivi per gli eroi, e non è che il maggior favore verso uno escluda quello verso gli altri, anzi il credito nei loro confronti aveva precise motivazioni geografiche e storiche e cresceva più si dimostravano efficaci. Ammesso che i romani conoscessero entrambe le tradizioni è possibile che avessero buone ragioni per ritenere più efficace la protezione di Oreste che di Edipo, non tanto per motivazioni da ricercare nel mito quanto per "evidenti" fatti storici.
 
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view post Posted on 24/10/2013, 00:51
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CITAZIONE (dceg @ 23/10/2013, 23:05) 
Nel lemma "Ancile" di Wiki in tedesco viene indicato che la prima rappresentazione degli scudi si trova su monete del (Iuno, ne sai qualcosa?) 17 a.C. ed è da collocarsi nella restaurazione augustea degli antichi culti romani.

E' probabile che quella, allora, fosse la sua effettiva forma. Mi pare di ricordare che, in materia di restaurazione di antichi culti, Augusto fosse abbastanza fedele alla tradizione (spesso, per esempio, nella sua epoca, si realizzavano a Roma statue in stile volutamente arcaicizzante, per esaltare l'antichità di un determinato culto). Certo, nessuno ha la garanzia che tutti gli Ancilia fossero sopravvissuti dall'età regia fino agli albori del periodo imperiale (per quel che ne sappiamo, per esempio, potrebbero anche esser stati in parte danneggiati, rubati o distrutti nel 390 a.C., durante il sacco dei Galli...).

Una cosa, comunque, è sicura: nei momenti di difficoltà, i Romani si dettero sempre molta pena per mettere al sicuro queste reliquie. Sappiamo, per esempio, che, proprio nel 390 a.C., durante il sacco di Roma, le Vestali seppellirono il Palladio e le altre reliquie in un orcio, approssimativamente fra la casa del Flamen Dialis e la Cloaca Maxima (luogo che, per questo motivo, prese il nome di Doliola, e sul quale una superstizione diffusa impediva a tutti i cittadini di sputarvi sopra). Similmente, le fonti ci dicono che quando, nel 191 d.C., l'Atrium Vestae fu distrutto da un incendio, le Vestali fuggirono sul Palatino, portando con sé il Palladio attraverso la Via Sacra (e, in quest'occasione, lo storico Erodiano ci informa che la reliquia fu visibile per la prima volta agli occhi dei concittadini).

Il dato della conservazione nelle anfore, tramandatoci da Erodiano, pone, se non volete, altre problematiche: per esempio, quali reperti erano conservati nel sacello delle Vestali?
Erodiano ci informa che Eliogabalo, 'pervaso com'era da ogni eccesso di immoralità, irruppe nel sacello segreto dei penetralia del convento, cui potevano avvicinarsi solo le Vestali e i sommi sacerdoti, e rubò proprio la giara che conteneva (per quanto era portato a credere) i pegni dell'Impero. Trovatala vuota, la fece a pezzi. [...] nel sacello erano conservate molte giare simili, e nessuno sapeva quale fosse quella giusta. Dopo rinnovati tentativi, riuscì infine a impossessarsi del Palladio e lo depose nel proprio tempio, legato con catene d'oro'.

E' da notare che, quando si parla delle Vestali, in realtà, si fa riferimento, nello specifico, sempre e solo al Palladio (mentre le altre reliquie o sono menzionate genericamente, senza specificare quali fossero, oppure non sono neppure nominate). Rodolfo Lanciani, in un testo che ho qui a casa, asserisce che 'di un particolare siamo certi: questi oggetti erano di piccole dimensioni e potevano essere nascosti all'interno di una giara di terracotta'.
Io, di questo, non sarei altrettanto sicuro: non mi pare, cioè, che la cosa possa essere estesa a tutte e sette le reliquie. Dubito fortemente, per esempio, che gli Ancilia (o anche solo l'Ancile originale) potessero entrare in una piccola giara di terracotta... Non tutti i pignora, dunque, erano conservati dalle Vestali?
Quasi sicuramente, non l'ago di Cibele, che doveva trovarsi nel tempio della Magna Mater, sul Palatino - da cui Eliogabalo lo rubò, per portarlo nel suo tempio (dove, forse, fu effettivamente rinvenuta, nel 1730); analogamente, gli Ancilia, fin dai tempi di Numa Pompilio, si trovavano custoditi nella Regia del Foro ed erano affidati ai Salii, e non so neppure di che dimensioni fosse la quadriga di Vulca, né se sia mai stata rimossa dalla sommità del tempio di Giove Ottimo Massimo (anche se mi pare di ricordare che, a un certo punto, fosse stata danneggiata e sostituita... non so se qualcuno di voi abbia ricordi più nitidi in proposito). Le altre, in effetti, avrebbero anche potuto essere inserite in piccoli orci.
 
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view post Posted on 30/11/2013, 19:36
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CITAZIONE (Perseo87 @ 22/10/2013, 18:09) 
di recente, so che la vicenda è tornata al centro di un thriller archeologico, di Leandro Sperduti, dal titolo 'I sette arcani del Vaticano'. Voi che ne pensate?

Ovviamente, non ho saputo resistere alla curiosità e, poco dopo l'inizio di questa discussione, ho acquistato il suddetto romanzo! :P

Devo dire che è davvero una storia ben costruita, questo libro mi è piaciuto molto (si vede, per inciso, che è scritto da un archeologo specialista, perché è pieno zeppo di dettagli di tipo storico, letterario e archeologico, estremamente precisi).

Al di là dello stile narrativo in sé (e del finale eccezionale, che certo non voglio spoilerare!), c'è una notizia interessante che mi è tornata alla mente, che avevo letto all'incirca a metà del libro: durante la storia, i protagonisti rinvengono le ceneri di Oreste (racchiuse, non a caso, dentro un'urna biconica, del tipo diffuso in Italia nel periodo protovillanoviano) nell'area del tempio di Diana a Nemi.
Il collegamento con Roma non sarebbe, quindi, quello che avevamo ipotizzato noi, ma si fonderebbe sul fatto che, secondo una tradizione minore, Oreste sarebbe giunto esule in Italia dopo il ricongiungimento con la sorella Ifigenia, e, arrivato nel Lazio, avrebbe istituito, non lontano dalla futura Roma, il culto di Diana Nemorensis, in onore dell'Artemide di Tauride (qui un link alla versione: http://it.wikipedia.org/wiki/Culto_di_Diana_Nemorensis).
 
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view post Posted on 30/11/2013, 22:41
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cfr. J. Frazer, Il ramo d'oro.

L'opera di Frazer ha preso il titolo proprio da questo uso e mito.Frazer è stata una lettura che mi ha affascinato, ma sono passati oramai quasi cinquanta anni.Lo lessi quando venne ripubblicato, nel 1965 nell'Universale scientifica Boringhieri.
 
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