Eccomi qua, pronto per il mio 'giudizio finale' sul saggio di Frau...
Con un incredibile tour de force, mi sono costretto a ultimare la lettura del libro (una fatica immane per me, perché non è stato affatto semplice per me stargli dietro nei suoi ragionamenti, spesso confusi e contorti...).
Il mio giudizio sull'autore è e resta, tutto sommato, negativo: Frau manca spesso di chiarezza, scrive con un taglio sempre estremamente 'giornalistico' (e cioè, totalmente inadeguato per un tale tipo di ricerca) e, in alcuni casi, non arriva nemmeno a conclusioni certe, nonostante tanti ragionamenti cervellotici. E' interessante notare come, alle pp. 284-288, quando tratta i calcoli sulle distanze fra le Colonne d'Ercole e il Peloponneso, riportati da Dicearco e Polibio, finisca per ammettere che i dati non tornano poi così precisi neppure per la localizzazione delle Colonne nel Canale di Sicilia (anche se, ovviamente, in ogni caso, sottolinea come lo scarto sia assai minore, rispetto a quello che si otterrebbe immaginando le Colonne a Gibilterra).
Un po' traballante è anche l'ipotesi che vede nel nome greco Herakles la forma speculare del fenicio Melqart (pp. 228-231): Frau, infatti, nota come il fenicio MLQRT possa essere letto, in senso contrario, HRKLS (HeRaKLeS), riportando, a sostegno della sua tesi, anche il parere di Maria Giulia Amadasi Guzzo, docente dell'Università La Sapienza, la quale ammette che il ragionamento potrebbe risultare valido per le lettere R, Q/K, L e anche per M: spesso, infatti, in greco arcaico, il sigma (Σ) si trova anche disegnato per orizzontale, e questo può portare a scambiarlo per un
Mi (come si può effettivamente constatare, per esempio, anche in questa raffigurazione vascolare con Perseo e il Ketos del Louvre:
http://en.wikipedia.org/wiki/File:Corinthi...a_and_Ketos.jpg). Tuttavia, la stessa Amadasi Guzzo non si spiega che fine avrebbe fatto la T di Melqart, né come potrebbe essersi mutata in H nel nome Herakles.
Io trovo la cosa abbastanza fumosa anche per altri due motivi: innanzitutto, Melqart ed Herakles sono due nomi che parrebbero avere un significato a sé stante (il primo dovrebbe essere 'il re della città', il secondo, probabilmente, 'gloria di Era'), e se prendo un qualunque nome e lo leggo al contrario, non è facile che il secondo nome fuoriuscito abbia un senso compiuto - provando con Perseo, per esempio, otterrei Oesrep, che non significa assolutamente nulla, ma è pur vero che già con Leda otterrei Adel(e), che risulta un nome di senso compiuto.
In secondo luogo, la mitologia greca mostra di conoscere un eroe con un nome simile a Melqart, e cioè Melicerte, figlio di Leucotea, che, non a caso, dopo la morte, fu divinizzato col nome di Palemone e divenne un dio legato al mare e alla navigazione, protettore dei marinai e dei mercanti (proprio le medesime prerogative di Melqart).
In ogni caso, ogni volta che le cose non gli tornano precisamente, Frau tende un po' a minimizzare i problemi, con un atteggiamento di chi pare voler tirare l'acqua al suo mulino ad ogni costo, talvolta anche forzando un po' la mano (ma almeno questo ha l'onestà di ammetterlo: a p. 609 lo dice chiaramente!).
Parere di fondo? Io penso che, su certe cose, Frau potrebbe anche aver ragione...
No, non sono impazzito, né sono passato al 'lato oscuro': semplicemente, non trovo poi così bizzarre le possibilità prospettate da Frau, riguardo un possibile slittamento delle Colonne d'Ercole dall'area della Sicilia (dal Canale così come, per quel che se ne sa, perfino dallo Stretto di Messina...).
Del resto, l'idea che passa è che Frau abbia un po' scoperto l'acqua calda, perché alla fine c'è poco o nulla di geniali intuizioni del giornalista. Che l'ubicazione delle Colonne d'Ercole in antico non fosse sempre stata chiara, parrebbe essere un fatto assodato anche da studi accademici: per esempio, si ricordi l'articolo del prof. Cataudella dell'Università di Firenze, 'Quante erano le Colonne d'Ercole?' (pubblicato in AFLM, 22-23, 1989/90, pp. 315-337). SE, come asserisce Frau, sia realmente stato Eratostene a porle, in via definitiva, a Gibilterra, questo non lo so, ma in effetti ci sono perfino autori antichi che parlano di un 'Oceano' e di un ' (mare?) Atlantico', come se le due realtà fossero ben distinte (si vedano, ancora, le pp. 284-288 del saggio di Frau).
Il problema è che quando lo scrittore comincia a favoleggiare sulle più svariate identificazioni della (sua) Sardegna con varie isole del mito, allora tutto il lavoro rischia di perdere anche quel poco di attendibilità che poteva esservi rintracciata dentro.
Non puoi venirmi a dire che la Sardegna è stata, nei secoli, l'Atlantide di Platone e la Scheria di Omero (per tutta una serie di 'parallelismi' di carattere geomorfologico, zoologico e botanico, che potrebbero descrivere, in realtà, la morfologia, la fauna e la flora di, più o meno, una qualunque isola del Mediterraneo occidentale); non puoi dirmi che questa stessa isola sarebbe stata anche la 'Tiro d'Occidente' (solo per una sedicente assonanza col nome del sito di Tharros), l'Iperborea di Apollodoro (che invece si trovava nell'estremo Nord del mondo), le bibliche Kaftor e Tarshis (!) e il primo regno di Tartesso, famoso per i suoi fiumi d'argento (questo perlopiù perché la Sardegna viene definita da Erodoto argyrophlebs, 'dalle vene d'argento') e, ancora, l'Erizia di Esiodo (patria del re Gerione), arrivando a porla, addirittura, se non ricordo male, anche all'origine del nome Tirreno (poiché i Tirreni, etimologicamente, sarebbero stati i 'costruttori di torri'). E non sto qui a elencare tutte le connessioni fra architetture nuragiche e micenee, né i problemi legati alla lettura della stele di Nora e alla provenienza dei pirati Shardana, menzionati nei documenti di Ramesse II e nel tempio di Ramesse III...
Credo che anche uno estraneo al nostro settore potrebbe agevolmente subodorare che in questo 'gran minestrone' che Frau pretenderebbe di servire al lettore c'è qualcosa di esagerato, di troppo, che stona e che non quadra... E' facile dire che la città di Tiro spesso citata dai classici e nella Bibbia potrebbe non esser stata la città di Tiro che tutti conosciamo; è facile dire che di Gades (lett. 'fortezza') potrebbero essercene state anche altre, oltre a quella di Spagna (così come il Mediterraneo ha conosciuto diverse greche
Neapolis)... ma poi, come si può provare tutto questo? Perché, per esempio, dato che di città omonime ce n'erano così tante, gli antichi non hanno mai avuto bisogno di specificarne una più precisa localizzazione (del tipo, Gades di Spagna, piuttosto che Gades di Tunisia)? E anche l'idea che con Tirrenia si intendesse, in realtà, tutta l'Italia Meridionale (così da far quadrare i conti con le affermazioni di Platone)... Non so, a me pare tutto una grande nuvola di fumo, dove di arrosto buono da mangiare ce n'è assai poco. Però, come ho detto, credo che per alcuni versi non sia da rigettare totalmente (solo che il testo va accuratamente e opportunamente 'mondato' da tanti errori, fesserie e fantasticherie di un giornalista un po' troppo legato a un'immagine idealizzata della sua terra paterna.
P.s.
CITAZIONE (Mario_A @ 1/2/2014, 23:18)
Io semplicemente volevo dire che anche se Castellani era un astrofisico e cattedratico, se affermava certe cose in un libro scritto nel suo tempo libero, non significa nulla.
Infatti, per informarmi sulla paleogeografia mi sono letto solidissimi articoli scientifici, non libri generici.
Ho capito, Mario, ma io sto dicendo una cosa differente.
Facciamo finta, per attimo, che io, Perseo, sia un perfetto estraneo al mondo dell'archeologia. Non ho una formazione da archeologo, non mi intendo di etruscologia, egittologia, epigrafia etc. e non ho, ovviamente, accesso ad alcuna biblioteca specialistica (universitaria, d'istituto etc.), rivista di settore (AJA, MEFRA, BCH etc.) o sito specializzato (Jstor etc.) legato alle scienze archeologiche - anche perché, se anche ce l'avessi, non saprei neppure come usarli!
Come posso io, da solo, arrivare a determinare l'affidabilità di un testo redatto da un docente universitario? Stiamo parlando di una letteratura prodotta sì per il grande pubblico, ma sempre e comunque da quella che dovrebbe essere un'autorità del settore scientifico... Se tutto questo non è attendibile, come può un non addetto al settore sperare di informarsi con sicurezza e di potersi fare un'opinione corretta in merito?