|
|
| Dceg ha già chiarito bene ciò che anche a parer mio intendono gli autori di quello studio, parlando di habitus alpide (credo tu abbia letto lo studio su Montegabbione...). Per comodità, trascrivo una definizione di cosa si intenda, in antropologia, per habitus, ricavata da questo sito www.lacomunicazione.it/voce.asp?id=347 nel quale puoi trovare ulteriori definizioni circa l'utilizzo del termine habitus in campi più specifici e ristretti (vedi successivo p.to 2.2., che riguarda l'antropologia sociologica) Da CITAZIONE La Comunicazione, il dizionario di scienze e tecniche a cura di Franco Lever, Pier Cesare Rivoltella e Adriano Zanacchi 2.1. Concetto di habitus. Il concetto di habitus definisce tutte le fasce del comportamento motorio automatico (camminare, correre, sedersi, sdraiarsi, mangiare, ecc.) come atti che, appresi sin dall’infanzia in concatenazioni quotidiane, ripetitive e ridondanti, sono assorbiti dall’individuo a un livello di profondità tale che la loro esecuzione non comporta per l’agente alcuna revisione cosciente del modello di apprendimento del gesto, né della segnicità in esso incorporata. Pur tuttavia, il concetto di habitus restituisce a ogni forma di motricità la sua validità semantica incorporata (e ogni volta riespressa) nel processo di apprendimento avvenuto all’interno e secondo i canoni di una tradizione specifica. Le forme e i ritmi corporali quotidiani si plasmano, infatti, in accordo con l’organizzazione degli spazi e dei tempi di un contesto socioculturale dato e ne riflettono (e cioè significano) tutta la sua specificità. Un approccio antropologico allo studio del comportamento motorio deve, quindi, essere indirizzato non tanto alla ricerca delle unità minime di movimento (visione semiotica autonomizzante), quanto all’analisi di quelle concezioni e condizioni socio culturali che danno ragione di una certa forma e di una certa sintassi dei programmi gestuali etnograficamente rilevati. Questa prospettiva non deve tuttavia cadere nell’errore, nel quale incorrono gran parte delle teorie interazioniste e psicologiche, di considerare i comportamenti motori governati da regole o norme concettualmente elaborate al di fuori della cosiddetta ‘logica pratica’. L’habitus non è infatti il prodotto dell’obbedienza a regole, ma piuttosto un modo di appartenere a un gruppo, uniformandosi alla sua tradizione e incorporando i segni distintivi della sua identità.
|
| |