Ostraka - Forum di archeologia

I romani avevano miti sulla natura e l'uomo?

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lino85
view post Posted on 5/2/2015, 15:36




Prendendo spunto dal mio thread precedente sulla cultura romana dei primi secoli, apro una discussione più circoscritta:

sbaglio o i Romani sembrano essere stati l'unico popolo antico che non ha sviluppato miti e narrazioni sugli dèi che spiegano l'origine del mondo e dell'uomo? Di fatto tutti i popoli antichi avevano sviluppato una loro cosmogonia sull'origine del mondo, dei fenomeni naturali e dell'uomo (i Babilonesi nell'Enuma Elish, gli Egizi nelle loro varie cosmogonie, gli Ebrei nella Genesi, i Greci nella teogonia di Esiodo e in altre come quella orfica...) mentre nei Romani pare che abbiano sviluppato solo leggende sulla fondazione del loro popolo e della loro città. Per il resto sembra che abbiano solo "esportato" i miti greci dando alle rispettive divinità i nomi di quelle analoghe romane. Qualcuno sa di più su questa apparente carenza di interesse da parte dei Romani di tali narrazioni religiose?

Ciao.
 
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view post Posted on 5/2/2015, 22:59
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Nel semestre invernale 2009-2010 alla facoltà teologica dell'università di Göttingen si è tenuta una serie di lezioni pubbliche dal titolo "Kosmologie – Kosmogonie – Schöpfung" (Cosmologia - Cosmogonia - Creazione) in cui si sono trattati vari aspetti e varie religioni ma non quella romana, il che fa proprio pensare che una cosmogonia romana non sia esistita o che quanto meno non ce ne sia giunta traccia.

Qui il link: http://www.uni-goettingen.de/de/vorlesungs...010/126000.html

C'è naturalmente da chiedersi quanto i romani avessero preso in questo campo dalle credenze religiose etrusche, che a noi in merito alla cosmogonia sono pochissimo note. Nel volume di Ambros Josef Pfiffig, etruscologo austriaco che fu anche docente di etruscologia a Perugia, Die etruskische Religion, 1998, (riedizione di Religio Etrusca, 1975) ISBN 3928127543 al capitolo XIX si tratta della cosmogonia etrusca sulla base di quanto pervenutoci in un lessico bizantino ed in un frammento degli scritti degli agrimensori romani. Purtroppo non mi risulta che il libro sia stato tradotto in italiano.
 
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view post Posted on 8/2/2015, 16:58
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Io credo che questo possa essere spiegato - anche se forse, per qualcuno, in maniera un po' troppo semplicistica - con quella che è la natura stessa dell'uomo romano, che emerge spesso dallo studio di questa civiltà: l'uomo romano è, infatti, per sua stessa definizione, uomo pratico, attivo, che pensa al lavoro nei ampi, al commercio e alla guerra (e, ovviamente, anche al culto), ma che non sta a porsi troppi interrogativi sulla nascita dell'Universo e delle divinità. Il romano è un uomo che, almeno all'inizi, si preoccupa solo del suo spazio vitale: a quello tenta di dare un'origine e una spiegazione, mentre il resto gli interessa relativamente. Non a caso, gli dèi romani (soprattutto quelli 'minori'), a differenza di quelli dei Greci, sono molto più numerosi e riguardano fenomeni della Natura o aspetti pratici della vita quotidiana.

Considerate l'esempio di Demetra/Cerere qui riportato: http://it.wikipedia.org/wiki/Mitologia_rom...imi_miti_romani.
I Romani non avevano una vera e propria 'mitologia' intorno a Cerere, a differenza dei Greci (che per l'analoga Demetra avevano intrecciato un complesso sistema di tradizioni e versioni mitologiche). I Romani, tuttavia, veneravano Cerere insieme con una fitta schiera di divinità minori, a essa subordinate - come Sarritor, Messor, Convector, Conditor e Insitor, come riportato nel link a Wikipedia - che sembrano riguardare pratiche e processi legati direttamente all'attività agricola. Se anche i Greci potevano aver creato divinità minori consistenti nella manifestazione di concetti astratti - come Eirene (la Pace), Phobos (il Panico), Kairos (l'Opportunità) etc. - i Romani preferivano venerare divinità dalle funzioni più 'concrete' (uno a caso: Terminus, il dio che proteggeva i confini, il quale, pur risultando indubbiamente una divinità di poco conto a livello mitologico, ha costituito, con Juppiter e Juventus, una delle più antiche triadi cultuali della primissima Roma).

Secondo me, quindi, la ragione di questa differenza fra miti romani e miti cosmogonici greci, egizi, babilonesi etc. deve essere ricercata prima di tutto nel carattere stesso del popolo romano, molto più portato storicamente alle attività pratiche (diciamo, al negotium) che alla speculazione teologica e filosofica. Ma chi è più esperto di me in materia potrebbe sicuramente articolare meglio la questione e fornire ulteriori dettagli...
 
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view post Posted on 9/2/2015, 11:07
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Credo che quanto dici, Perseo, sia una delle possibili spiegazioni. La cultura romana, prima della sua "ellenizzazione" aveva una scarsa tradizione scritta e letteraria, era, per quanto riguarda la religione, più "arcaica" ed "animista". Se questo sia dovuto ad un maggior "spirito pratico" o piuttosto a un diverso sostrato culturale rispetto ai greci che furono certo più soggetti agli influssi provenienti dall'oriente in particolare mesopotamico e persiano, andrebbe forse ulteriormente chiarito.
 
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view post Posted on 9/2/2015, 12:18
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CITAZIONE (dceg @ 9/2/2015, 11:07) 
Credo che quanto dici, Perseo, sia una delle possibili spiegazioni. La cultura romana, prima della sua "ellenizzazione" aveva una scarsa tradizione scritta e letteraria, era, per quanto riguarda la religione, più "arcaica" ed "animista". Se questo sia dovuto ad un maggior "spirito pratico" o piuttosto a un diverso sostrato culturale rispetto ai greci che furono certo più soggetti agli influssi provenienti dall'oriente in particolare mesopotamico e persiano, andrebbe forse ulteriormente chiarito.

Ma infatti, la questione andrebbe di certo sviscerata maggiormente nel dettaglio.
Una delle differenze maggiori, sicuramente, fu la stessa collocazione geografica di questi popoli: i Greci si sono storicamente affacciati sulla metà orientale del Mediterraneo e la loro cultura e religione (già nel periodo miceneo) hanno subito notevoli influssi dal mondo anatolico, egizio, levantino e mesopotamico (penso, per esempio, alla narrazione della Titanomachia, che trova importanti corrispettivi nella mitologia ittita del Tardo Bronzo, ma la casistica sarebbe assai ampia). Se pensiamo alla religione nel mondo vicino-orientale, poi, si può constatare come in queste culture esistesse una vera e propria casta sacerdotale, fatta di uomini e donne che si occupavano vita natural durante del culto di una divinità, mentre a Roma il sacerdote era prima di tutto un magistrato - il che rende la religione romana fortemente intrisa di vita politica. Per il Romano, avevo letto che la religione non costituiva tanto un insieme di dottrine teologiche e mitologiche, quanto, piuttosto, un amalgama di formule e riti atti perlopiù a mantenere inalterata la pax deorum (e, con essa, l'equilibrio e la solidità di Roma stessa). E' quindi possibile che, almeno per l'età arcaica e primo-repubblicana, i Romani non abbiamo mai avvertito la necessità di possedere (e tramandare) un patrimonio mitologico che andasse oltre quello legato alla fondazione della loro stessa città, e che solo il contatto con i regni ellenistici, prima, e la fondazione dell'Impero, poi, abbia reso necessario adottare una certa parte di mitologia greco-troiana, per per poter giustificare la propria immagine da un punto di vista "storico" (per così dire) e religioso.
 
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view post Posted on 9/2/2015, 18:38
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Concordo con Perseo, la pragmaticità del mondo romano è innegabile rispetto al mondo greco! Ed è evidente anche dal punto di vista della produzione matematica, geometrica e filosofica. I greci hanno messo gettato le basi della matematica, della geometria, dell'astronomia e della filosofia ecc..., i romani si sono acculturati e hanno messo in pratica ciò che avevano imparato da quel mondo greco, che loro sentivano comunque più civilizzato del proprio.... e che i greci non glielo mandavano a dire! :)
I miti romani, prima di Virgilio, erano soprattutto sulla fondazione di Roma, sulla lotta contro gli Etruschi (vedi il ciclo legato a Porsenna) oppure contro i Volsci, i Sabini, insomma, raccontavano come si era creata la potenza della Roma in età monarchica e repubblicana con esempi di virtù morale ed etica e di coraggio in battaglia.
Il mito fonda in un passato mitico quello che accade nel presente, pertanto il mondo romano che si connotava come un blocco compatto di moralità (i famosi mos maiorum), virtù militare e pragmatismo doveva far risalire ad un passato mitico queste caratteristiche, senza interrogarsi sui massimi sistemi dell'universo.
Probabilmente proprio per questa assenza di mitologie cosmogoniche radicate o di precetti specifici, i romani hanno avuto la capacità di assorbire come proprie alcune delle divinità dei popoli che conquistavano.

Un piccola chiosa sui miti greci. Quelli che noi oggi consideriamo mitologia greca, non è esclusivamente la codifica di miti tramandati in modo orale nella tradizione, ma è l'insieme di modifiche, aggiunte, stravolgimenti ecc apportati da tragediografi, commediografi, poeti, storici ecc nelle varie epoche. Se si prende un mito a caso dell'Enciclopedia dei miti, di sicuro nella spiegazione sono riportate almeno due versioni, attribuite a questo a quell'autore. Quindi, risulta difficile comprendere quali siano i miti originari e quelli "moderni".
 
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lino85
view post Posted on 11/3/2015, 02:03




CITAZIONE (Cerebia @ 9/2/2015, 18:38) 
Concordo con Perseo, la pragmaticità del mondo romano è innegabile rispetto al mondo greco! Ed è evidente anche dal punto di vista della produzione matematica, geometrica e filosofica. I greci hanno messo gettato le basi della matematica, della geometria, dell'astronomia e della filosofia ecc..., i romani si sono acculturati e hanno messo in pratica ciò che avevano imparato da quel mondo greco, che loro sentivano comunque più civilizzato del proprio.... e che i greci non glielo mandavano a dire! :)

Mah... non saprei se la pragmaticità del mondo romano necessariamente coincida con scarso interesse verso discipline come la matematica e la filosofia, come a voler dire che i romani facevano i calcoli per costruire le case "a casaccio" senza un minimo di procedure matematiche, oppure componessero le legislazioni delle dodici tavole "senza pensarci" ovvero senza presupposti filosofici anche solo impliciti. L'idea che si studi la matematica o la filosofia fine a se stesse senza che siano motivazioni pratiche provenienti dalla vita a interessarsi mi sembra una visione un po' limitata di ciò che spinge a studiare le materie...

Peraltro mi è venuta in mente una possibile motivazione di questa pragmaticità romana: non è che per caso non ci fosse all'inizio della storia di Roma molto tempo e mezzi per darsi ad attività di libera speculazione e ricerca scientifica? La società romana al suo inizio aveva classi sociali e persone che avevano tempo libero e non occupato da attività legate alla produzione di beni di prima necessità e all'attività militare e politica? E se è così, come mai in Grecia sorsero più presto tali persone?

Ciao.
 
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view post Posted on 11/3/2015, 14:21
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CITAZIONE (lino85 @ 11/3/2015, 02:03) 
Mah... non saprei se la pragmaticità del mondo romano necessariamente coincida con scarso interesse verso discipline come la matematica e la filosofia, come a voler dire che i romani facevano i calcoli per costruire le case "a casaccio" senza un minimo di procedure matematiche, oppure componessero le legislazioni delle dodici tavole "senza pensarci" ovvero senza presupposti filosofici anche solo impliciti. L'idea che si studi la matematica o la filosofia fine a se stesse senza che siano motivazioni pratiche provenienti dalla vita a interessarsi mi sembra una visione un po' limitata di ciò che spinge a studiare le materie...

Purtroppo il tempo è poco, vedo intanto di buttare là un primo abbozzo di risposta.

Io credo che in questo tuo discorso ti sia (in parte) già risposto da solo. Prendo l'esempio delle leggi delle XII Tavole: che ci dovesse essere un presupposto di carattere 'filosofico' alla base della stesura di questo codice legislativo, è innegabile (fosse anche solo la non più totale e incondizionata subordinazione dei plebei ai patrizi, che deve essere nata, oltre che dal malcontento popolare, anche da un qualche tipo di riflessione più profonda). Ma più di lì non si va: non c'è, cioè (a che mi ricordi), una vera e propria speculazione sulla condizione umana, sul concetto di giustizia, sull'uguaglianza sociale etc., ma si tratta solo di un corpus di leggi che avevano il compito di regolamentare la vita sociale entro i limiti dell'antica città fondata da Romolo. In questo senso dico di aver l'impressione che a Roma (o almeno, nella primissima Roma) niente fosse 'fine a se stesso'.
Addirittura, potrei riportarti uno stralcio da un contributo di A. Cristofori (dal manuale di G. Gerace, A. Marcone, Storia Romana, Firenze, Le Monnier, 2008, p. 65), in cui si afferma che:

CITAZIONE
Nelle XII tavole è ravvisabile un'influenza del diritto greco, che le fonti antiche giustificano ricordando come un'ambasceria si fosse recata da Roma ad Atene, nel 454 a.C., per studiare la legislazione di Solone. E' peraltro assai più probabile che questi elementi siano piuttosto venuti dai codici legislativi delle città greche dell'Italia meridionale e della Sicilia, dove avevano operato alcuni tra i primi e maggiori legislatori della grecità, come Zaleuco di Locri e Caronda di Catania.

Il romano (il romano più antico, si intende) non si dedicava alla filosofia perché era un uomo tradizionalmente più pragmatico. Una riprova in questo senso, secondo me, viene anche dal celebre episodio della cacciata dei filosofi greci (Carneade, Critolao e Diogene) da Roma, nel 155 a.C., su richiesta (guarda caso) di Marco Porcio Catone, il romano passato alla storia come 'il Censore' per eccellenza, e cioè il più integerrimo difensore del mos maiorum, in un periodo storico in cui sempre più esponenti delle classi aristocratiche romane mostravano simpatia per la cultura greca (intesa soprattutto come produzione letteraria e artistica). Catone vedeva nella speculazione filosofica greca un grave pericolo per i giovani romani, poiché avrebbe potuto distoglierli dalla morigeratezza dei costumi degli antenati, dal lavoro e dall'impegno politico e militare, per portarli su una via completamente differente, di disinteresse per la cosa pubblica, in cui poteva essere ritenuto vero e valido tutto e al contempo il suo contrario (e Carneade, se non erro, era proprio un esponente della corrente filosofica dello Scetticismo).

Vorrei argomentare meglio altri punti, ma adesso devo scappare.
Vedrò di aggiungere qualcosa nei prossimi giorni (se non ci saranno ulteriori contributi in questo senso).
 
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lino85
view post Posted on 11/3/2015, 16:07




Aggiungo un piccolo appunto: mi risulta che se è vero che materie come filosofia e scienze naturali in Grecia erano praticate intendendole come "conoscere per conoscere" mi risulta invece che in arte e letteratura questo fine a se stesso fosse molto meno presente e che opere letterarie e artistiche avessero per la maggior parte lo scopo di celebrare precisi valori etici, religiosi e politici. L' "arte per l'arte" ovvero fine a se stessa, che ricerca modi di esprimersi "belli" e "artistici" senza alcun altro fine mi pare un concetto piuttosto moderno, ma non essendo massimo esperto di arte e letteratura greca, potrei dire cose altamente superficiali.

Ad esempio, non saprei dire se la Teogonia di Esiodo fosse un'opera slegata da intenti etici come invitare al timore delle divinità oppure se fosse una speculazione fine a se stessa (certo non filosofica né scientifica, in quanto descrivente la nascita del mondo e della natura più mediante narrazioni esposte in modo arbitrario, senza ad esempio esporre una spiegazione logica sul perché la terra nacque prima del cielo e così via). Magari potete dire la vostra se siete più esperti dell'argomento.

Ciao.
 
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view post Posted on 11/3/2015, 22:37
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CITAZIONE (lino85 @ 11/3/2015, 02:03) 
come a voler dire che i romani facevano i calcoli per costruire le case "a casaccio" senza un minimo di procedure matematiche,

Per quanto ne so, ma non sono in grado di documentarlo, i romani avevano "dimenticato" le dimostrazioni dei teoremi (Pitagora ecc.) ma ne applicavano i risultati. Mi viene in mente un esempio legato però al presente o ad un passato molto vicino. La prima volta che venni in Germania, sono passati credo 55 anni, vidi in un negozio un regolo calcolatore (i computer erano allora praticamente sconosciuti) che serviva a calcolare le dimensioni delle canne d'organo, senza necessariamente eseguire tutto un percorso matematico. Il regolo calcolatore, anche quello matematico, (io ne ho due che so però usare appena un po') applica dei principi matematici, i logaritmi, senza richiedere che chi lo usa li padroneggi e in fondo neppure li conosca. http://it.wikipedia.org/wiki/Regolo_calcolatore.
Questo per esemplificare e chiarire che operare prammaticamente non vuol dire operare "a casaccio".
 
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lino85
view post Posted on 11/3/2015, 22:59




CITAZIONE (dceg @ 11/3/2015, 22:37) 
CITAZIONE (lino85 @ 11/3/2015, 02:03) 
come a voler dire che i romani facevano i calcoli per costruire le case "a casaccio" senza un minimo di procedure matematiche,

Per quanto ne so, ma non sono in grado di documentarlo, i romani avevano "dimenticato" le dimostrazioni dei teoremi (Pitagora ecc.) ma ne applicavano i risultati.

Questo implicherebbe però comunque che a un certo punto i romani vennero a conoscenza di tali nozioni matematiche e delle relative dimostraziioni che erano garanzia della loro validità, magari provenienti da altri popoli come i greci, ma bisognerebbe chiedere a esperti in architettura e tecniche dei romani su questo punto.

Ciao.
 
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view post Posted on 12/3/2015, 15:40
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Il discorso è forse più complesso e penso sia necessario differenziare un po'.
La conoscenza delle nozioni che sono il presupposto per la dimostrazione di teoremi è una cosa, l'applicare in pratica il risultato, sia utilizzando tabelle o altro, è un discorso diverso che non presuppone il primo. Riprendendo l'esempio di prima: Io, lo confesso, non ho mai capito bene che cosa siano i logaritmi, tanto meno sarei in grado di calcolarli, ma posso tranquillamente utilizzare, almeno per moltiplicazione e divisione, i regoli calcolatori che si basano si logaritmi. Qualcosa del genere è il nonio: non mi sono mai preoccupato di capire davvero come funzioni (anche la mia curiosità ha limiti ;)), eppure leggo su di un calibro agevolmente i decimali!
 
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lino85
view post Posted on 13/3/2015, 10:47




CITAZIONE (dceg @ 12/3/2015, 15:40) 
Il discorso è forse più complesso e penso sia necessario differenziare un po'.
La conoscenza delle nozioni che sono il presupposto per la dimostrazione di teoremi è una cosa, l'applicare in pratica il risultato, sia utilizzando tabelle o altro, è un discorso diverso che non presuppone il primo. Riprendendo l'esempio di prima: Io, lo confesso, non ho mai capito bene che cosa siano i logaritmi, tanto meno sarei in grado di calcolarli, ma posso tranquillamente utilizzare, almeno per moltiplicazione e divisione, i regoli calcolatori che si basano si logaritmi. Qualcosa del genere è il nonio: non mi sono mai preoccupato di capire davvero come funzioni (anche la mia curiosità ha limiti ;)), eppure leggo su di un calibro agevolmente i decimali!

Questo lo avevi già detto, però, come ho già scritto prima, questo presuppone che "qualcuno" abbia dimostrato quei teoremi, in modo che l'applicazione dei risultati sia assolutamente sicura e valida per tutti i casi, che poi in seguito si siano dimenticate le dimostrazioni è un altro discorso, il punto è comunque che dobbiamo però ragionare su dati concreti dell'antica Roma e non su supposizioni.

Io, come ho già detto prima, ho l'impressione che i Romani, dalla fondazione fino al III secolo a.C., periodo in cui ebbero una scarsa produzione letteraria nonostante conoscessero la scrittura, di fatto non ebbero abbastanza mezzi e tempo per dedicarsi a occupazioni diverse dalla produzione di beni primari e dall'attività politica e militare. Leggo qui (citazione da Luciano Perelli, "Storia della letteratura latina") :

http://it.wikipedia.org/wiki/Et%C3%A0_preletteraria_latina

"Il motivo principale secondo cui la letteratura latina nacque solo cinquecento anni dopo la fondazione della città, risiederebbe nel fatto che Roma rimase per molti secoli un piccolo Stato agricolo, fondato su un'aristocrazia di piccoli proprietari terrieri in una società altamente militarizzata. Le continue guerre per il dominio di nuovi territori, mal si conciliava, infatti, con lo sviluppo della fantasia e la creatività letteraria. Il fatto poi che, sotto i Tarquini, Roma abbia avuto un periodo di relativo splendore ed espansione economico-commerciale, proprio perché erano sovrani etruschi, non favorì di certo una cultura latina originale."

Dunque sembra che più che pragmaticità della mentalità romana il discorso sembra sia dovuto a condizioni materiali ed economiche dei romani di quel tempo (che magari hanno proprio influenzato il sorgere di questa mentalità, che però non so quanto sia applicabile in tutta la storia romana), non so se voi sapete di più al riguardo.

Ciao.
 
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E.A. Coockhob
view post Posted on 25/7/2015, 15:01




I libri di teologia di Varrone non ci sono pervenuti, quindi ci tocca usare fonti molto indirette, ma mi pare che i Romani avevano un loro modo preciso di vedere la natura e l'uomo che tutto sommato ci è stato trasmesso per via indiretta attraverso gli autori classici.

Hanno attinto dal patrimonio leggendario di altri popoli, in specie i greci, ma hanno riletto e in parte piegato questo patrimonio mitologico per esprimere il loro sentimento religioso.

Prendete Fedra di Seneca (o le epistole di Seneca) il mito dell'età dell'oro e di come finisce è un po' diverso rispetto alle varie versioni greche

Oppure rileggete la Medea, anche il mito di Argo è reinterpretato in modo originale, gli autori greci non erano molto interessati ad indagare sui come e perché il viaggio di Argo avesse posto fine all'età della giustizia, per Seneca invece questa cosa dell'uomo che rompe l'equilibrio della creazione così com'era stata decisa dagli dei diventa un punto essenziale

Anche tutto il concetto di fas e di nefas è puramente romano

La Fortuna dei Romani è molto diversa, e molto meglio spiegata, rispetto alla Tyche dei Greci: la Fortuna è al di sopra degli Dei, punto e stop. Non c'è dubbio su questo. ...C'è qualche ambiguità gli Dei non possono violare in nessun modo i decreti del Fato, possono solo piegarli in parte. Nell'Eneide Giunone deve accontentarsi che scompaia solo il nome Troiano perché la Fortuna ha deciso che Enea fonderà la città che darà leggi e ordine al creato.

Il mito delle età non solo era più intensamente vissuto a Roma che altrove era materia di battibecco: Virgilio aspettava che dal cielo giungesse una nuova generazione, Orazio gli faceva il controcanto dicendo che a queste fesserie ci poteva credere Giuseppe l'Ebreo.

Essendo i romani una popolazione di confine che sono nati da un calderone d'etnie gli è sempre difettata l'originilità ma un loro modo peculiare d'interpretarle no.

Degli argomenti succitati se ne sono occupati Giuseppe Gilberto Biondi e Alfonso Traina.
 
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lino85
view post Posted on 2/8/2015, 18:10




CITAZIONE (E.A. Coockhob @ 25/7/2015, 16:01) 
Prendete Fedra di Seneca (o le epistole di Seneca) il mito dell'età dell'oro e di come finisce è un po' diverso rispetto alle varie versioni greche

Oppure rileggete la Medea, anche il mito di Argo è reinterpretato in modo originale, gli autori greci non erano molto interessati ad indagare sui come e perché il viaggio di Argo avesse posto fine all'età della giustizia, per Seneca invece questa cosa dell'uomo che rompe l'equilibrio della creazione così com'era stata decisa dagli dei diventa un punto essenziale

Adesso che ci penso, mi hai fatto venire in mente le festività dei Saturnali, che in effetti erano legate alla mitica "età dell'oro", non so se era un'importazione del mito della successione delle età presente tra gli antichi greci oppure se era un mito già presente in modo autonomo tra i romani:

https://it.wikipedia.org/wiki/Saturnali

Qualcuno sa qualcosa sulle fonti originali che parlano del mito legato a questa festività romana?

CITAZIONE
Essendo i romani una popolazione di confine che sono nati da un calderone d'etnie gli è sempre difettata l'originilità ma un loro modo peculiare d'interpretarle no.

Degli argomenti succitati se ne sono occupati Giuseppe Gilberto Biondi e Alfonso Traina.

Già, in effetti la civiltà romana l'ho spesso vista come una piccola popolazione all'inizio avente una cultura non così sviluppata e originale, ma che man mano conquistava territori assimilava vari elementi culturali di valore dei popoli conquistati, "Graecia capta ferum victorem cepit" come Orazio diceva... Comunque ho notato che in rete, specie in Wikipedia italiana, c'è molta trascuratezza nel riportare le fonti primarie che descrivono le divinità greche e quelle romane, precisando bene quali opere di quali autori attribuiscono a certe divinità quelle caratteristiche e miti piuttosto che altri...

Ciao.
 
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15 replies since 5/2/2015, 15:36   1883 views
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