Ostraka - Forum di archeologia

Sbocchi, precariato e stipendio(Archeologo), Su internet si trova di tutto ma senza la certezza che si dica il vero.. Vorrei il parere di chi l'archeologo lo fa davvero e vive nel mondo lavorativo d'oggi

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Jorgg
view post Posted on 25/4/2017, 08:40




Salve a tutti! :)
Questo è il mio primo post su questo forum.
Comunque ho 18 anni e sono siciliano. Da sempre sono appassionato di Storia, Geografia e materie umanistiche in generale(in quelle scientifiche sono negato xD).
Da mesi sono combattuto, non faccio altro che pensare al mio futuro e all'importantissima scelta che incombe a breve: quella dell'Università.
Sinceramente non mi sento pronto a fare un passo cosi importante per il mio futuro... La mia intera vita dipenderà radicalmente dalla scelta che faró in questi mesi, ed è per questo che ho delle domande da porvi! Su internet si trovano dei dati che parlano del precariato nell'archeologia, che mi fa tremare le gambe.. :solo il 16% ha lavoro a tempo indeterminato, il 28% addirittura non trova lavoro e lo stipendio medio è di 10.600 euro all'anno! Nemmeno mille euro al mese con una laurea di 5 anni...
Devo fare una scelta importantissima fra la passione e un futuro piu sicuro e remunerativo e mi chiedevo se potevate dirmi voi stessi come funziona veramente il mondo lavorativo dell'archeologo secondo le vostre dirette esperienze:
Se si trova lavoro; se si, in quanto tempo?; se è pagato discretamente, e (se potete) quanto guadagnate al mese in media.. Giusto per farmi un idea di quel che mi aspetterebbe in futuro.
Non vorrei studiare anni per poi essere costretto a fare il cameriere o essere disoccupato, e non poter vivere di quel che ho studiato e che mi piacerebbe fare.
Ringrazio in anticipo x le eventuali risposte :)
 
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view post Posted on 25/4/2017, 09:38
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Benvenuto!

Io non sono in grado di darti riposte precise, ma leggendo gli interventi su argomenti del genere su questo forum non i pare ci sia da farsi grandi illusioni.
 
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Jorgg
view post Posted on 25/4/2017, 21:22




Si purtoppo, Speravo in qualche dato rassicurante..
 
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Jorgg
view post Posted on 26/4/2017, 12:53




Anche perchè in alcuni forum di archeologia alcuni archeologi fanno altri lavori e partecipano a scavi o cose del genere solo per qualche settimana l'anno, speravo qualcuno potesse dirmi che di archeologia si puó vivere senza vederla solo come una laurea con la quale poter partecipare a qualche scavo estivo
 
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view post Posted on 6/5/2017, 10:43

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Visto che non arrivano lumi mi sento in dovere di scrivere qualche parola.

Versione breve: lascia stare.

Versione lunga: ma io mi domando e dico, in un mondo normale non saresti tu che hai diciotto anni a dover spiegare a me (che ho già avuto il tempo di far danni su e giù per questo povero Paese) perché e in che modo tu pensi che proprio in questo settore tu potresti essere in grado di fare qualcosa di utile per la collettività, di innovativo, di redditizio per tutti e da ultimo per te stesso? Per quale perverso condizionamento culturale tu pensi che "ti piaccia" un ruolo ed una missione sociale della quale non conosci modi, finalità, etiche, declinazioni nei diversissimi ambiti della società? Ovvio che non se ne possa fare un rimprovero a te, ma in un mondo normale all'età di votare dovresti avere una qualche coscienza politica, una visione di cosa ti auguri per il futuro di tutti quanti e del bene comune: in questo quadro dovresti essere tu a venirmi a dire che senso avrebbe il tuo eventuale impegno in Archeologia e con quali prospettive. Se stai semplicemente cercando "un posto di lavoro" non lo troverai in questo settore, ma sospetto fortemente che di questi tempi farai una enorme fatica anche in qualsiasi altro.
L'Archeologia italiana sta uscendo da una crisi profondissima della quale il passaggio macroeconomico negativo è stato solo un acceleratore e nella quale i mali peggiori sono stati una inadeguatezza generalizzata del mondo universitario (affetto da una incontenibile tendenza a vendere percorsi anche quando inutili o semplicemente duplicati e triplicati) e una diffusa presunzione di autosufficienza da parte di tutti noi. Sopra tutto riforme insensate e devastanti e innovazioni legislative sciagurate, come quella sulle cosiddette "professioni" dei Beni Culturali o la riforma strutturale delle Soprintendenze. Per non parlare della contemporanea colpevole staticità delle maggiori istituzioni statali, soprattutto quelle più elevate e più direttamente delegate a scelte tecnico-scientifiche e giuridiche che semplicemente non sono mai arrivate (basti dire che il regolamento di attuazione della Legge in materia di tutela archeologica risale al lontano 1913, quando manco esisteva il Ministero, e gli standard di documentazione in Archeologia risalgono al 1984, pressappoco quando io mi trovavo a dover valutare per conto della mia Università se si faceva prima a gestire un database con le schede perforate oppure con registrazioni su nastri di mangiacassette musicali, visto che i meravigliosi modernissimi computer riuscivano nel migliore dei casi a gestire su floppy da 5 1/4" al massimo 360 Kbyte di dati).
Non so se ho reso il quadro.
L'Archeologia Italiana è da rifondare e spero che le buone idee per rifondarla tu non ti aspetti che vengano da chi il danno l'ha fatto o da chi non ha avuto la forza di contrastarlo.
Se ci fossero buone idee e giovani consapevoli e volenterosi, si troverebbero condizioni economiche di sviluppo?
Certamente sì: già oggi il fabbisogno di Archeologi è superiore alla disponibilità effettiva e le risorse per retribuirli ci sono.
Ma allora dove sta il problema? Il problema è che oggi non è (più) per niente chiaro "a cosa serve" o "a cosa deve servire" l'operato degli Archeologi. Non è chiaro socialmente e non è chiaro nelle coscienze stesse di tanti Colleghi.
Ciò ovviamente ricade alla velocità della luce sulla qualità retributiva e sulla stabilità del lavoro: se nessuno ha chiaro "a cosa serve" è spontaneo attivare un bel dumping e tagliare retribuzioni e quant'altro. Anche laddove lo scenario si sta risollevando, dove si mantengono le opportune diversificazioni di ruolo fra pubblico e privato, ricerca e servizio all'edilizia, conservazione e integrazione con il sistema turistico, comunque ciò appare più legato allo sforzo e all'ampiezza di vedute di singoli che non ad una rinascita fondata e durevole. Neanche a dirlo ciò sembra comunque avvenire al Nord e non al Sud, mentre nelle zone più depresse l'Archeologia sembra relegata a fenomeno da baraccone a puro scopo di abbellimento posticcio della locale offerta turistica o di divulgazione di bassissima lega e sostanzialmente fine a se stessa.
Poi c'è il problema della legalità: senza legalità non si fa nulla (se i controlli archeologici nei cantieri edili ci si riduce ad attuarli non mediante specifiche attività preventive ben progettate e saldamente dirette dalle Soprintendenze, ma a modeste "sorveglianze in corso d'opera" affidate privatamente al massimo ribasso, pagare poco il disgraziato di turno per chi vi è tenuto significa guadagnarci due volte: perché si risparmia e perché si ha a che fare con un Archeologo ricattabile).
In ogni caso non fidarti dei dati che leggi sul web, soprattutto quando vengono da quegli ambienti della pseudo-professione (cioè del precariato caduto nell'inganno che "P.IVA è bello" e ora rancorosamente rivendicativo).
Finché sei liceale fa' del volontariato, piuttosto, informati dal vero (non solo sul web), costruisciti una coscienza politica, valuta tu se hai un progetto e se trovi altri che un progetto lo possano condividere.
Stiamo aspettando.
Se no, torna alla risposta breve.
 
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Jorgg
view post Posted on 6/5/2017, 14:52




Grazie mille per la tua risposta!
Sei stato chiarissimo.
Io credo che facendo l'archeologo potrei fare anche del bene alla comunità.. Anche perchè non sono portato per nient'altro se non per questo campo e affini.
Ho ancora qualche mese per pensarci, ma sono orientato piu per la risposta lunga che per quella breve :P
 
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view post Posted on 19/6/2017, 11:19
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Io, quando mi iscrissi ad Archeologia, o meglio ad una laurea ibrida (Lettere, con esami di Archeologia e altri più umanistici) le idee le avevo molto chiare e seguii un percorso per i tempi abbastanza innovativo, con un master che sulla carta sembrava offrire molto (e valido lo era davvero), ma poi ho dovuto fare i conti con la realtà romana. Realtà dove la principale società che gestisce tutto ciò che è collegato ai musei (biglietterie, visite guidate interne, servizi aggiuntivi vari), è controllata dal Comune, e dove, fino all'introduzione della legge Brunetta, l'assunzione avveniva a chiamata diretta. Tralascio di parlare delle altre società private che operano nella città. Tralascio anche di parlare della Soprintendenza comunale, così come di quella statale (queste sono quelle che amministrano). Nelle quali operano persone anche competenti (alcune delle quali ho anche conosciuto, avendo fatto uno stage legato al mio master in una delle due), ma dove per quanto riguarda le assunzioni i mali sono quelli che affliggono molte, se non tutte, le amministrazioni pubbliche d'Italia, soprattutto a partire dagli ultimi 20 anni (non che prima non ci fossero, ma ora son diventati la regola). Solo le associazioni culturali danno qualche speranza.
Morale: 2 anni fa, a 37 anni compiuti, ho fatto le valigie con destinazione Australia. Dove i miei titoli italiani non sono riconosciuti, o comunque dove la precedenza viene data a chi ha un titolo australiano (giustissimamente, a mio parere). Quindi, dopo due anni di studio della lingua inglese e aver sostenuto un esame internazionale con un bel punteggio, sono in procinto di ripartire da zero e iscrivermi ad un corso per lavorare in biblioteca.
Inciso: la situazione è peggiore per alcune discipline, specie umanistiche e dove si lavora nel pubblico, ma bene o male tutte sono sulla stessa barca. Chi ha iniziato 20 o 30 anni fa è partito da ben altra situazione.
 
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view post Posted on 22/6/2017, 10:56

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CITAZIONE (leda77 @ 19/6/2017, 12:19) 
Morale: 2 anni fa, a 37 anni compiuti, ho fatto le valigie con destinazione Australia. Dove i miei titoli italiani non sono riconosciuti, o comunque dove la precedenza viene data a chi ha un titolo australiano (giustissimamente, a mio parere).

Ma questo problema è specifico del campo umanistico ?
Un mio ex-collega, laurea in biologia e dottorato in biotecnologia conseguiti in Italia, lunga esperienza di lavoro in un centro di Ricerca e Sviluppo farmaceutico di una grande multinazionale in Italia, nessuna esperienza all'estero, si è trasferito sette anni fa in Australia, (ad un' età sopra i 40 anni), dove è stato assunto in un centro di ricerca farmaceutico a Sydney, dove lavora tutt'ora, ed ha perfino migliorato la sua posizione lavorativa (occupa attualmente un posto manageriale).
Nessuno gli ha chiesto di conseguire titoli australiani ed i suoi titoli accademici italiani non sono mai stati messi in discussione.
Preciso anche che l'Australia è molto forte nel campo biotecnologico, quindi non manca certo di una produzione interna di esperti in questo campo, nel quale le università australiane sono molto quotate a livello internazionale.
 
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view post Posted on 23/6/2017, 06:59

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Giusto verché casualmente abbiamo focalizzato sull'esempio dell'Australia.

Come funziona in Australia il riconoscimento del titolo di studio?

Esiste qualcosa di simile al valore legale del titolo di studio come l'abbiamo qui?

In Italia da anni si parla di abolirlo, in quanto fonte di infinite ingiustizie, di sostiuirlo con sistemi che per un verso comportino una valutazione individuale delle competenze (acquisite attraverso apprendimenti sia formali che infomali e non formali) e dall'altro sollecitino tutti ad una formazione permanente con potenziale passaggio nell'arco della vita a livelli superiori di qualificazione (sbaragliando l'idea che il "pezzo di carta" lo prendi da ventenne e poi quello rimane per sempre). Eppure praticamente tutte le novità normative degli ultimi anni sono andate nella direzione di attaccarsi sempre di più al titolo "pezzo di carta" esattamente come originariamente conseguito, senza possibilità di progresso (al limite ti aggiorni, ma sempre quello di partenza rimane il tuo titolo, in quanto esso è vincolato ad un "valore legale").
Anzi, sembra che più passano gli anni e più rincariamo la dose (basti pensare che trent'anni fa eri ammesso al -severissimo peraltro- concorso per Funzionario di Soprintendenza con Laurea e anche sola frequenza al primo anno di un corso post-laurea, mentre oggi si pretende triennale più magistrale più superamento dell'esame finale di un corso almeno biennale e c'è già qualcuno che sta suggerendo che probabilmente sarebbe da chiedere in più anche il dottorato di ricerca).
 
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view post Posted on 5/7/2017, 08:19
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CITAZIONE (Mario_A @ 22/6/2017, 11:56) 
Un mio ex-collega, laurea in biologia e dottorato in biotecnologia conseguiti in Italia, lunga esperienza di lavoro in un centro di Ricerca e Sviluppo farmaceutico di una grande multinazionale in Italia, nessuna esperienza all'estero, si è trasferito sette anni fa in Australia, (ad un' età sopra i 40 anni), dove è stato assunto in un centro di ricerca farmaceutico a Sydney, dove lavora tutt'ora, ed ha perfino migliorato la sua posizione lavorativa (occupa attualmente un posto manageriale).
Nessuno gli ha chiesto di conseguire titoli australiani ed i suoi titoli accademici italiani non sono mai stati messi in discussione.

Non esiste un riconoscimento vero e proprio dei titoli italiani in Australia, perchè, al pari del Canada, non ci sono accordi in tal senso con l'Italia. Tuttavia, in Australia in genere conta molto, forse anche più del titolo, l'esperienza. Questa situazione era vera soprattutto negli anni passati, tanto è vero che so di una ragazza italiana, laureata in archeologia, che è riuscita a farsi assumere al museo di Sydney.
Purtroppo, negli ultimi anni, dato il grosso afflusso di immigrati, ed anche le "carte false" fatte da alcuni, sui requisiti per lavorare ci sono state restrizioni. Ad esempio, il mio ragazzo in Italia era idraulico, con tanto di licenze per giunta avendo avuto ditta, ma ha dovuto avere il riconoscimento di queste, attraverso un percorso lungo e costosissimo, in cui ha dovuto anche provare di avere almeno 5 anni di lavoro nel settore negli ultimi 10 (quindi esperienza recente). Alla fine, gli è stato rilasciato non un semplice riconoscimento, ma un vero e proprio certificato (come si chiamano qui alcuni titoli minori) australiano.
Io, invece, ho potuto ottenere soltanto un pezzo di carta con scritto sopra che la mia laurea è equivalente ad un bachelor australiano. Tuttavia, in alcuni bandi per i musei australiani, recentemente si chiedeva una laurea specifica in storia australiana o materie affini. Cosa che di certo in Italia, o in altre parti del mondo, non è possibile ottenere. Ovviamente io sono d'accordo sul fatto che chi va in un museo pieno di oggetti per lo più locali debba conoscere la storia del posto, ma addirittura la laurea specifica...


CITAZIONE (LAVORI ARCHEOLOGICI @ 23/6/2017, 07:59) 
Come funziona in Australia il riconoscimento del titolo di studio?

Esiste qualcosa di simile al valore legale del titolo di studio come l'abbiamo qui?

In Italia da anni si parla di abolirlo, in quanto fonte di infinite ingiustizie, di sostiuirlo con sistemi che per un verso comportino una valutazione individuale delle competenze (acquisite attraverso apprendimenti sia formali che infomali e non formali) e dall'altro sollecitino tutti ad una formazione permanente con potenziale passaggio nell'arco della vita a livelli superiori di qualificazione (sbaragliando l'idea che il "pezzo di carta" lo prendi da ventenne e poi quello rimane per sempre).

Esiste di certo, visto che in alcuni concorsi richiedono espressamente un titolo di studi terziari (università soprattutto, ma in alcuni casi valgono anche le scuole post-diploma). In alcuni casi, inoltre, per poter lavorare devi anche iscriverti all'associazione di riferimento (sorta di albo). Questo vale anche per lavori che da noi non lo richiedono, ad esempio direttore di biblioteca oppure idraulico o elettricista, anche se non hanno ditta, perchè sono obbligati ad avere le licenze pure gli operai.
Per quanto riguarda il valore legale del titolo di studio: io sono concorde nel manternerlo, per vari motivi: in primis, la valutazione individuale delle competenze, in un paese come l'Italia, sappiamo bene cosa comporterebbe. Già un concorso non lo passi se non hai la giusta "spinta", figuriamoci se potessero farlo anche persone senza laurea...
Inoltre, scusa, ma tu ti faresti operare da un medico che ha studiato la materia da autodidatta? Io no. Non capisco perchè quando si parla di materie mediche, tutti ovviamente sono d'accordo che la persona debba avere la laurea e la specializzazione, quando si parla invece di materie umanistiche, si trattano come se fossero materie per le quali basta un po' di passione ed il titolo di studio è un optional e basta.
Per chiarirti meglio la mia posizione, ti prendo l'esempio dei musei: oggi, il museo non è più soltanto un luogo dove conservare oggetti ed esporli alla belle e meglio. Gestione e valorizzazione, comunicazione, marketing ecc. sono tutti elementi ormai indispensabili, che richiedono conoscenze approfondite ed un team di persone altamente specializzate. La semplice laurea in archeologia o storia dell'arte non è già più sufficiente. Bisogna avere conoscenze in ambito museologico, nonché competenze manageriali.
Il problema è che già in tali settori si son creati corsi privati dal dubbio valore, in quanto le università sono ancora ripiegate su se stesse e sui vecchi ordinamenti, almeno in certi casi. Pochissimi sono i master universitari e/o corsi accademici nei settori sopra citati in riferimento ai beni culturali o ai musei. Ma un corso accademico, in quanto tale, risponde a criteri ben precisi e rigorosi, mentre un corso privato puo' essere tanto pomposo quanto inutile, o comunque non dare un apporto significativo alle conoscenze di chi paga per seguirlo.
Il titolo accademico, quindi, dà quanto meno la certezza che la persona ha ricevuto un minimo di conoscenze nel settore, anche se ci possono essere delle differenze tra università ed università anche in termini di materiale da studiare (quantomeno nel mio settore, ho toccato la differenza con mano tra il volume da me studiato e quello che toccava agli studenti della Sapienza).
In conclusione, sono contrarissima all'abolizione dle valore legale dei titoli.
 
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view post Posted on 5/7/2017, 14:24

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Beh venire a parlare a me di Medicina è un po' paradossale: in fondo quello che io auspico (ma mica solo io, per una volta tanto credo di essere in larga compagnia fra i giovani) è qualcosa di abbastanza simile a ciò che in ambito medico si fa già. Raggiungi un primo livello universitario e cominci a lavorare, ma intanto sai che non smetterai mai di studiare (e di sostenere accertamenti del livello da te raggiunto).

Non mi stupiscono le altre obiezioni. Siamo messi male. Ormai non ci resta che l'Unione Europea.
Solamente l'Europa ci può salvare. :unsure:
 
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view post Posted on 5/7/2017, 17:01
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Scusa, ma dove avrei messo in dubbio che bisogna continuare a studiare e tenersi aggiornati? La qual cosa non è certo in conflitto con il valore legale del titolo di studio. Anzi, proprio tale riconoscimento, a mio giudizio, porta chi lo possiede a voler andare avanti negli studi. Altrimenti uno potrebbe pensare che tanto basta studiare i libri universitari per conto proprio e poi fare un po' di esperienza (e magari avere una bella raccomandazione) per fare carriera.
Per quanto riguarda la salvezza che ci porterebbe la UE: dalla UE abbiamo mutuato la bellissima riforma del 3+2 e dei CFU e abbiamo tutti noi del vecchio ordinamento visto i risultati in termini di preparazione degli studenti che hanno avuto la fortuna di laurearsi con essa. Sì, decisamente ci salverà l'Europa...
 
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view post Posted on 5/7/2017, 20:27

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Troppo poco mettersi la coscienza in pace con l'aggiornamento.

In un mondo come si dovrebbe fai la triennale e sai che hai davanti due strade: puoi continuare subito, ma non sei obbligato (e fra persone oneste nessuno te lo consiglia), oppure puoi già con la triennale fare un concorso in una Pubblica Amministrazione per una assunzione almeno a termine. Certo, non fai il Funzionario o il Dirigente con solo la triennale, fai l'impiegato. Però intanto entri e magari a soli 22 anni. Vuoi fare carriera? Vuoi il rinnovo del contratto? Allora ti tocca intanto anche andare avanti con gli studi. Ma non sarà semplicemente il titolo che ti permetterà di progredire, ma un titolo associato ad un buon curriculum anche lavorativo e man mano che si sale a livelli più alti anche scientifico. E fai un altro concorso e persino un altro ancora. Verso i quarantacinque o cinquant'anni -ma magari a quel punto con già una bella ventina di anni effettivi di esperienza profonda nell'impiego pubblico -e se non sei andato avanti nel pubblico anche nel privato- senti l'esigenza di salire ad un terzo livello universitario. Lo fai, e in quella sede non conterà semplicemente l'insegnamento frontale al quale ti sei sottoposto inizialmente, ma il patrimonio di una vità.
Così si tirano su direttori e dirigenti (o titolari d'impresa) all'altezza.
Vuoi fare tutto subito il tuo percorso universitario senza approdare al mondo del lavoro prima dei trent'anni, e delle due di più? Liberissimo, ma tieni conto che per un po' di tempo in qualsiasi selezione o in qualsiasi concorso quel puro titolo accademico varrà meno di titoli leggermente più bassi però implementati con l'esperienza nel mondo del lavoro. Perché non deve esistere quell'automatismo perverso che pone tutto e solo nel valore legale del pezzo di carta.
A sessant'anni quelli che sono saliti fino ai livelli più alti degli studi il titolo di terzo livello ce l'hanno uguale, ma la "storia" personale no. Ed ecco magicamente come andare a selezionare i dirigenti centrali più importanti.

E' inutile, ma oggi abbiamo una generazione -non di rado anche rancorosa o perlomeno cinicamente disillusa- di trentenni e quarantenni che nell'imbroglio degli anni passati c'è finita con tutti e due i piedi. Più facile convincere diciottenni e ventenni che una speranza di una via virtuosa c'è se si cambia radicalmente strada.
 
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view post Posted on 6/7/2017, 08:24
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Guarda, il tuo ragionamento sarebbe anche condivisibile, ma non tiene conto di alcuni punti fondamentali: 1) a trenta-quarant'anni non sei più, mentalmente parlando, così fresco come a venti. Lo sto sperimentando sulla mia pelle: 8 mesi di studio a 100 ore al mese (20 a settimana) di scuola di inglese e non parlo questa lingua come parlavo il francese dopo 5 anni di scuola (medie + 2 di superiori) dove erano 3 ore a settimana per 9 mesi. Senza contare che io vivo in un paese dove appena metto piede fuori casa devo per forza parlare inglese. Quindi, o mi è venuto un principio di Alzheimer, o forse è il periodo che non è più quello adatto per studiare a certi livelli. E, dulcis in fundo, io neanche sto lavorando. Il mio ragazzo ha dovuto studare inglese per passare l'esame per poter essere assunto (se non sai la lingua qui il governo non ti permette di avere un visto lavorativo full-time) e lavorare contemporaneamente (sia pure part-time). Dopo 8 mesi era distrutto, ma c'è riuscito. Tuttavia, non lo augurerei a nessuno. Non si vive solo per studiare e lavorare.
2) anche avendo la forza di studiare tutta la vita, non sempre trovi la disponibilità da parte del datore. Se nel pubblico i permessi per fare gli esami te li danno abbastanza facilmente, nel privato le cose funzionano diversamente. Poi vai a fare causa perché non rispettano la clausola dei permessi per gli esami.
3) come già detto sopra, i concorsi, almeno in certi posti non li passi senza spintarella... Quindi aver vinto il concorso non assicura che la persona sia per forza veramente adeguata al lavoro che svolge.
Io credo che bisognerebbe incrementare di più tirocini e periodi lavorativi durante l'università. Per esempio, per quanto riguarda il corso che sto facendo, si compone di due certificati ed un diploma. I due certificati durano 6 mesi ciascuno, ma mentre per il primo devi studiare e basta, nel secondo è obbligatorio un peridodo presso una biblioteca debitamente monitorato. Finito il secondo certificato, puoi fare l'assistente bibliotecario. Solo dopo il diploma (che dura un anno, quindi avrai studiato in totale due anni), puoi aspirare ad un livello più alto. Nel diploma ci sono meno esami da sostenere, se hai già sostenuto i primi due certificati, altrimenti devi colmare il gap, e prevede ben due periodi di lavoro, uno a metà anno ed uno alla fine. Altra cosa: qui, se prima di iscriverti al corso hai già lavorato in una biblioteca come volontario - magari come scaffalista, per il quale non si richiede alcuna qualifica - puoi ottenere il riconoscimento delle conoscenze acquisite e dover fare meno esami. In alcuni casi, puoi anche sostituire certi esami con periodi di lavoro. Ecco, un sistema di tal genere allora avrebbe più senso, a mio parere. Altrimenti le persone non avrebbero più tempo neanche per respirare, figuriamoci fare altro, come metter su famiglia.
 
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view post Posted on 6/7/2017, 11:21
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Usékar - Usékol: lo shamano Talamanca

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Questo mio intervento nella discussione non riguarda specificatamente il campo del lavoro di archeologo e le possibilità di impiego che offre una laurea italiana in archeologia.
Riguarda il futuro mondo del lavoro, così come è visto da quel gigantesco progetto che in Italia passa sotto il nome di Industria 4.0 o I 4.0 e negli USA viene chiamato Industrial Internet.

Intervengo per farvi presente quanto questo progetto, che è già in parte realizzato, inciderà su tutto quello che viene chiamato "mercato del lavoro".
Anzitutto, le previsioni degli analisti sono che quando nella UE il progetto entrerà a regime (cosa prevista per il 2020 almeno nei paesi più avanzati, Germania capofila, Francia come seconda, subito seguite da Olanda, Spagna, Italia, Finlandia, Svezia e Ungheria), creerà almeno 5 milioni di nuovi disoccupati, cioè persone che avevano un lavoro e lo perderanno, senza quindi contare gli eventuali nuovi immigrati, più o meno clandestini, più o meno rifugiati etc.
In secondo luogo, per far capire a Leda quello che si pensa succederà, trascrivo un capitolo di un lavoro che ho recentemente pubblicato in merito. Il testo è lunghetto e perdonatemi l'autocitazione, ma è un dato di fatto che per le generazioni più giovani e per quelle che verranno si prospetta un mondo del lavoro in cui ci si dovrà dimenticare del posto fisso, e non solo nel privato.

Ah, a proposito del lavoro di bibliotecario.
Ho visitato 3 anni addietro la Biblioteca Nazionale di Minsk, in Bielorussia.
Si tratta di una costruzione geodetica, una decina di piani in vetro-acciaio, la sala di accesso è al pianterreno, tutto il resto è deposito, attraversato dai binari elicoidali di una serie di monorotaie.
La biblioteca è completamente automatizzata, i visitatori hanno a disposizione una postazione di lavoro dalla quale digitano i dati dei volumi che desiderano consultare.
Molti volumi sono già digitalizzati e quindi consultabili direttamente dal computer.
Quelli che ancora sono disponibili solo su cartaceo vengono recapitati in zone apposite, tramite le monorotaie sulle quali scorrono carrelli automatici in grado di accedere allo scaffale, identificare il volume, prelevarlo e recapitarlo.
In pratica, il lavoro dei bibliotecari è solo quello di far riconoscere volumi nuovi arrivati ad un computer addetto alla catalogazione, il quale genera una etichetta RFID contenente un microchip identificativo da applicare al volume, poi i carrelli automatici trasferiscono il volume sullo scaffale al quale è destinato.


Di seguito, il capitolo del lavoro di cui parlavo, se non vi interessa leggerlo saltate al paragrafo "Tornando a noi".


6. Effetti sul cosiddetto mercato del lavoro e sui percorsi di istruzione

Trovo doveroso accennare al fatto che la quarta rivoluzione industriale (I 4.0) avrà effetti anche sul mercato del lavoro e sui percorsi di istruzione, scolastica e non, effetti che gli osservatori stanno ancora cercando di definire.
Per quanto riguarda il mercato del lavoro, saranno certamente necessarie nuove figure professionali mentre altre sono destinate a scomparire.

Per ora, gli analisti ipotizzano che i lavoratori del futuro dovranno essere altamente adattabili e capaci di destreggiarsi tra più ruoli diversi alla volta.
In particolare, il concetto di “un lavoro per tutta la vita” dovrà essere del tutto accantonato e anche quello di formazione continua o permanente, tanto caro alla UE, appare superato.

Gli analisti prefigurano che il mercato del lavoro sarà assolutamente “liquido”, ipotizzando che i lavoratori avranno impieghi solo a termine e dovranno seguire, a scadenze ravvicinate e a loro spese o a carico dello stato, corsi formativi di un giorno o poco più, al fine di acquisire rapidamente nuove competenze.
A questo punto, dovranno trovare un nuovo impiego a termine finché le competenze così acquisite non saranno superate, il che probabilmente avverrà in tempi brevi, a causa del continuo evolversi dei sistemi di produzione, gestione e interconnessione.
E il ciclo ricomincerà, forse.

Si pensa, perciò, che avranno largo spazio le attività a tempo parziale e i freelance: la tecnologia avrà, naturalmente, un ruolo rilevante in ufficio o in qualsiasi altro ambiente lavorativo ma non per questo sostituirà le figure professionali.
In questo scenario, è evidente la necessità di adeguare anche l’intero sistema scolastico, vista l’esigenza e l’urgenza di adeguare continuamente le competenze e le figure professionali.

A tal proposito, il Piano del Governo Italiano I 4.0 ha previsto apposite misure di finanziamento, rivolte
● all’ implementazione del Piano Nazionale Scuola Digitale
● alla focalizzazione scuola-lavoro su percorsi coerenti con I 4.0
● alla creazione di corsi universitari e master post laurea specializzati su tematiche I 4.0
● all’ incremento del numero degli studenti iscritti a Istituti Tecnici Superiori con corsi riguardanti
tematiche I 4.0
e altro ancora.

Probabilmente, molto importante sarà anche lo sviluppo di una nuova cultura all’ interno delle aziende, come suggerisce il modello proposto dall’ industria giapponese.
Secondo questo modello del mondo lavorativo in I 4.0, non si deve interpretare I 4.0 solo nel senso di digitalizzare, robotizzare e automatizzare le imprese.
All’ interno delle aziende è necessario accompagnare la trasformazione tecnologica
● con lo sviluppo di una nuova cultura, per rendere semplici, stabili e intuibili i processi che portano ai nuovi prodotti e servizi intelligenti
● con la formazione di nuovo capitale umano.

Nella nuova “fabbrica digitale e flessibile”, in cui la flessibilità dei sistemi permetterà di personalizzare i prodotti in funzione della domanda e la catena di produzione sarà ricostruita e simulata in un ambiente virtuale per testarla, l’aspetto umano rimane centrale per risolvere i problemi a monte e consentire l’addestramento del personale.
Quindi, all’ uomo resta il compito essenziale di portare creatività, governare le tecnologie, progettare i sistemi, controllare e migliorare i processi produttivi e di conseguenza i prodotti e i servizi.
In questo senso si parla di “porre l’uomo al centro dei processi di produzione”.

Restano comunque aperti molti problemi al riguardo, ai quali forse non viene prestata sufficiente attenzione.
In un recente articolo, 05.12.2016, pubblicato sul Sole-24 Ore a firma Enrico Verga, si osserva:
<<la industry 4.0 implica una valorizzazione delle risorse umane disponibili e una loro ricollocazione su soluzioni maggiormente performanti che permettano una minor formazione (grazie, come menzionato, all’ evoluzione dei sistemi 4.0). Questo aspetto appare positivo per l’industria ma apre una serie di critiche posizioni nella forza lavoro. Scalzati da posizioni di “rendita” derivate dal know-how personale c’è il rischio che i maggiormente consci, tra le risorse umane, possano opporsi a questa rivoluzione (luddismo 4.0?).

È quindi plausibile che dall’ interno della azienda possa aver inizio una serie di “sabotaggi” da parte del personale, che ritiene questa nuova tecnologia nemica. Uno scenario questo molto plausibile, che già in altre nazioni, ha visto i dipendenti di aziende “combattere” contro l’automazione delle catene di produzione (battaglia persa dagli umani a favore dei robot).>>




Tornando a noi.
Nel testo che ho riportato si parla quasi esclusivamente di industria, ma come ho esemplificato riguardo alla biblioteca di Minsk, il tutto non coinvolge solo l'ambiente di produzione industriale, bensì tutti i sistemi gestionali delle aziende, anche pubbliche.
Per quanto riguarda l'archeologia, la disponibilità di tecnologie che cambiano velocemente renderà necessario l'adeguamento degli studiosi all'uso di queste e l'aggiornamento continuo delle metodiche di supporto e di raccolta ed analisi dei dati.
Anche in questo campo, in definitiva, i dati, che non saranno omogenei (immagini, numeri, dati GPS etc.), confluiranno in quello che viene chiamato Big Data, dal quale si potranno ricavare analisi dettagliate.
Tuttavia, a causa proprio della disomogeneità dei dati stessi, le metodologie di indagine al fine di estrapolarne risultati significativi sono e saranno ancor di più in futuro molto diverse dalle metodologie statistiche classiche.
Quindi, si dovrà operare attraverso l’utilizzo di strumenti di analisi computazionale definiti “non convenzionali”, perché essendo i dati raccolti in maniera non strutturata, è già di per sé inutilizzabile il consueto software di analisi statistica.

Morale.
Con tutta probabilità, l'archeologo diventerà sempre meno un ricercatore sul campo, molto di più un analista di immagini digitali acquisite via aerofotogrammetria, scansione laser, georadar, satellite e quant'altro.
E si svilupperà, forse già si è sviluppata, una figura di archeologo - analista di software, per poter adeguare i sistemi informatici alla bisogna.
La virtualizzazione prenderà sempre più spazio, i touch screen nei musei e nei siti saranno ubiquitari etc. etc.
E saranno necessarie nuove figure professionali per provvedere al riguardo, magari trasferendo in forma virtuale i musei e i siti sugli schermi dei computer di casa (si sta già facendo, in 3D...).
E anche gli schermi verranno abbandonati, man mano che la tecnologia olografica, in grado di rendere immagini tridimensionali senza nemmeno l'ausilio di uno schermo, diventerà più accessibile in termini di costo.
In Arena a Verona si è già tentato l'esperimento di "costruire" le scene di un'opera lirica attraverso l'olografia laser.
Gli spettatori non sono rimasti molto soddisfatti, ma siamo solo agli inizi.

E mi fermo qui, per ora.


 
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19 replies since 25/4/2017, 08:40   4766 views
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