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L'origine della giada secondo il mito

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view post Posted on 7/10/2019, 07:36
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Usékar - Usékol: lo shamano Talamanca

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Come il racconto precedente, dedicato a Le vergini diLiángzhŭ e la pietre di giada, anche quello che seguirà questa breve introduzione è frutto dalla mia interpolazione e interpretazione di quanto scritto da differenti antichi autori, che parlano della giada in Cina e riportano miti e leggende al suo riguardo.

Come per il precedente, di cui questo è il seguito, ho cercato di costruire un racconto alla maniera di un monaco daoista, discepolo di un maestro nelle grotte di Mogao.

Il lettore tenga presente che:
l’unità di misura di lunghezza indicata, il lǐ/li2 (il numero definisce l’accento tonale), equivaleva a poco più di 600 mt, per cui 40 lǐ equivalevano a circa 25 km/18 miglia romane;
il cinese wényán ra la lingua classica del periodo degli Stati Combattenti (453 a.C. al 221 a.C.) ed è ancor oggi considerata dai cinesi la lingua letteraria per eccellenza;
nella lingua degli Uyghuri, che abitano lo Xinjiang, dove confluiscono lo Yurungcash e il Karakash, cash o qas significa giada, yurung bianco e kara nero.

Spero che il racconto che ho messo insieme sia di vostro gradimento.


Dove e come gli emissari Liángzhŭ trovarono la favolosa sorgente della giada

In una brumosa e fredda sera di ottobre, tra le montagne del Gansu, nelle grotte di Mogao, scavate dagli antichi Venerati e Saggi Maestri del Dao, consumammo la nostra frugale cena, a base di riso bollito, huáng yá bái, o cavolo verde secondo i barbari del lontanissimo ovest, e poche lenticchie. Poi, ci mettemmo a riposare attorno al fuoco, gettando ogni tanto un ramo secco tra le fiamme.
Poco dopo, noi umili discepoli di un Venerato e Saggio Maestro, non ancora del tutto formati completamente al Dao, la Suprema Via, e alle lunghe veglie di meditazione, che tanto giovamento traggono dal silenzio della notte, fummo colti da sonnolenza.

Fu così che, per tenerci desti, il nostro Venerato e Saggio Maestro ci raccontò il seguito della bella storia narrata in precedenza, che Egli ci aveva detto essere stata tramandata di Saggio in Saggio, attraverso i secoli.
Ancora una volta, metto per iscritto le Sue Sante e Venerabili Parole, perché non vadano perdute.
Ecco il secondo racconto che uscì da quelle Sante Labbra, così come l’ho raccolto.

<< Ormai le giovani vergini dei villaggi che sorgevano molti e molti secoli fa nelle terre piatte del Jiāngsū, vicino al nostro Sacro e Benedetto Fiume Lungo, là dove Esso nutre il Grande Mare che si trova dalla parte in cui sorge il Sole, avevano raccolto tutte le pietre di giada.

Allora i Saggi dei villaggi si riunirono, per decidere cosa si dovesse fare per procurarsi ancora quelle pietre, indispensabili per la buona salute e la prosperità della gente dei loro villaggi.
Sapevano che quelle pietre scendevano portate dalla tumultuosa corrente del Fiume Lungo, senza però sapere dove si trovasse il luogo nel quale esse nascessero.
Decisero quindi di incaricare i migliori camminatori dei loro villaggi di percorrere le sponde del Fiume Lungo, alla ricerca di questo luogo, ben sapendo che i cacciatori dei loro villaggi, spingendosi lungo le rive del Fiume Lungo alla ricerca di prede, avevano riferito che quelle sponde erano interminabili.

Gli incaricati partirono e dato che la via si prevedeva lunga e faticosa, portarono con sé un po’ di provviste, qualche animale da carne da consumare durante il viaggio di ricerca, e quanto necessario per raccogliere frutti ed erbe lungo il cammino. Inoltre, portarono con sé anche oggetti considerati preziosi, vasi dalle belle forme e meravigliosamente decorati, da scambiare con le indispensabili e preziosissime pietre di giada, nel caso avessero incontrato altre genti nei luoghi in cui queste si potevano trovare.

Benché fossero camminatori allenati, essi non riuscivano a percorre ogni giorno più di 40 lǐ, circa 14 misure dei barbari dell’ovest, perché dovevano attraversare fitte e sconosciute foreste e alte colline, guadare gli impetuosi fiumi che nutrivano il Fiume Lungo ed evitare i villaggi abitati da gente ostile.

Si alternarono 16 stagioni, prima che essi raggiungessero finalmente la zona nella quale si incontrano i due fiumi che oggi, nel nostro amato e musicale wényán, chiamiamo Báiyù Hé e Hēiyù hé, mentre i barbari Uyghuri del luogo li chiamano Yurungcash e Karacash e quelli del lontanissimo ovest Giada Bianca e Giada Nera.

I barbari Uyghuri abitanti di quei luoghi non conoscevano l’immenso valore delle pietre di giada, per cui scambiarono volentieri molti grossi ciottoli, rinvenuto in uno dei due fiumi, con i meravigliosi vasi portati dagli emissari Liangzhu. Inoltre, diedero loro molte informazioni su dove si trovassero le fonti, i luoghi in cui queste pietre nascevano.
Esse nascevano all’interno delle grandi rocce che si trovano sui monti vicini a quei luoghi, quelli che noi, nel nostro amato e musicale wényán, oggi chiamiamo Kūnlúnshān.
Quei monti sono al di fuori della zona abitata dai barbari Uyghuri, trovandosi rispetto a loro dalla parte in cui sorge il Grande Padre Sole, ai piedi delle ancor più possenti montagne di quello che altri barbari che le abitano chiamano Bod, e noi Xīzàng nella nostra dolce, musicale e amata lingua, mentre si chiama Tibet per i barbari del lontanissimo ovest.
Anche se i barbari Uyghuri difficilmente si recavano nel Kūnlúnshān, riferirono comunque agli emissari Liangzhu tutte le notizie che avevano appreso su come le pietre nascono e come si potessero estrarre le pietre grezze dalle grandi rocce del Kūnlúnshān.

Raccontarono loro che, quando nascono, le vene delle pietre di giada sono tenere e soffici come il miglior cotone, quando è appena pronto da cogliere, ma non ancora raccolto, e che è la Grande Madre Luna che le fa nascere all’interno delle rocce.
Quindi, alla nascita esse sono cariche di yin, dato che è la Grande Madre che le genera.
Ma quando le rocce che le contengono si spaccano e l’interno si espone alla luce del Grande Padre Sole, le vene di giada in poco tempo diventano cariche di yang, l’energia del Grande Padre, si irrigidiscono e diventano molto dure e difficili da staccare.
Allora è necessario molto lavoro per spaccarne qualche grosso pezzo grezzo, e questa fatica sembrava uno spreco inutile a questi barbari, dato che, ignoranti come sono, non ne conoscono l’immenso valore dovuto alle loro mirabili proprietà.

Così, gli emissariLiángzhŭ conclusero con essi questo patto: dopo aver portato nel proprio paese tutte le pietre che i barbari Uyghuri avessero loro dato, in cambio dei meravigliosi vasi che avevano portato dalla loro terra, sarebbero tornati appena possibile, con meravigliosi vasi e altri prodotti di grande valore, per avere in cambio altre preziosissime pietre di giada.

Altre 10 stagioni furono necessarie agli emissari per raggiungere i loro luoghi di origine, nel Jiāngsū, trasportando il prezioso carico, che i Saggi distribuirono ai valenti artigiani dei vari villaggi, a seconda delle locali necessità.
In seguito, vennero organizzate altre spedizioni periodiche, al fine di procurarsi le preziosissime pietre. E questo durò per secoli e secoli, finché la civiltà Liángzhŭ non morì, lasciandoci in eredità le splendide creature create con la giada dai suoi valentissimi artigiani.>>

Qui terminò il secondo racconto del Venerato e Saggio Maestro, ma Egli ci ha promesso di raccontarcene altri in futuro, se avremo dimostrato di essere stati veramente attenti alle Sue Sante e Venerabili Parole e iniziato a seguire attentamente e correttamente il Dao, la Via Maestra.


Nota dell’autore
Ho scritto nella presentazione che questo racconto deriva dalla mia interpolazione e interpretazione di differenti testi cinesi.
Le notizie che ho assemblato provengono da testi scritti in epoca relativamente moderna, dopo il VI sec. d.C. e fino al 1750 circa, quando le culture della giada del Neolitico cinese erano scomparse da almeno 3000 anni.
Di conseguenza, non solo i miti ma anche le “notizie” riportate sono molto spesso frutto di supposizioni più o meno fantastiche, da parte di quanti ne scrissero, che già non conoscevano più le tecniche utilizzate nel Neolitico (la cultura Liangzhu si sviluppò tra il 3400 e il 2250 a.C. circa).
In pratica, spesso gli autori degli scritti applicano alle antiche tecniche quanto conoscono per esperienza diretta, riducono quello che vedono, cioè gli antichissimi splendidi oggetti in giada, a qualcosa di simile a quanto da essi conosciuto. Si tratta di un fenomeno più ricorrente di quanto si creda.

Cito un esempio che aiuta a capire cosa intendo.
Quando gli spagnoli giunsero in Messico, videro i templi degli Aztechi, eretti su delle costruzioni piramidali. Essendo i primi conquistadores personaggi di spaventosa ignoranza, non conoscevano le piramidi egizie. Quindi, per dare un nome a queste costruzioni utilizzarono il vocabolo spagnolo mezquita, cioè moschea, edificio che non ha alcuna somiglianza con le costruzioni templari azteche. Tuttavia, questo era l’unico tempio “pagano” che Cortés e i suoi accoliti conoscevano direttamente, dato che gran parte della Spagna è stata dominata dagli Arabi per quasi 7 secoli e questi eressero moschee grandiose in molte città spagnole. Quindi, i primi cronisti della conquista affibbiarono il nome mezquita ai teocalli degli Aztechi.

Quando in Cina apparve la scrittura, la giada veniva lavorata con frese a pedale e cinghia di trasmissione. Le frese erano di acciaio, forse anche diamantato, raggiungevano una discreta velocità di rotazione e in epoca storica è accertato l’utilizzo, per il taglio, di strumenti di acciaio a punta diamantata, tutti utensili non certo disponibili nel Neolitico.

Mi permetto di aggiungere una personale ipotesi, su come sia nato il mito della nascita delle vene di giada, morbide come cotone.

Penso che gli antichi cronisti abbiano applicato alla lavorazione neolitica della giada, molto precedente la loro epoca, la loro esperienza sulla lavorazione dell’avorio. Questo materiale è stato utilizzato in Cina sin da tempi antichissimi e con esso sono stati realizzati, al pari che con la giada, veri capolavori artistici.
L’avorio orientale differisce molto dall’avorio africano, essendo decisamente più tenero.
Inoltre, le zanne dei giovani elefanti asiatici, oltre a non essere ancora completamente calcificate e dunque ancor più tenere, spesso sono di colore verde pallido, una tonalità di verde simile a quella che si riscontra anche nella giada.
Da qui, penso, nacque già in antico la “trasposizione”, che ha portato a credere che la giada “nativa” sia molto tenera, come il cotone in fiocchi scrivono i cronisti. Sarebbe quindi stato facile lavorarela anche molti secoli prima della nascita dalla metallurgia.
Dopo essere stata lavorata, con la creazione di veri capolavori, si sarebbe indurita, come succede all’avorio in generale e a quello verde in particolare, che cambia anche colore, diventando prima bianco per poi, dopo lungo invecchiamento, riacquistare a volte il suo colore verde pallido.

Edited by Usékar - 7/10/2019, 17:05
 
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