| Seconda parte: una foresta di re
Alcune osservazioni su quanto scritto in precedenza.
Dalla trascrizione della data che si vede nella nota 2, appare chiaro che i Maya del Periodo Classico (400 a.C. – 900 d.C), e prima di loro gli Olmechi nella fase finale della loro cultura, cioè attorno al 600 a.C., conoscevano lo zero posizionale. Gli archeologi trascrivono con 9.16.17.0.10 quella data nella notazione di quello che hanno chiamato Computo Lungo, i Maya l’avrebbero scritta utilizzando 5 glifi, il quarto dei quali è il glifo che indica lo 0 numerico, ben diverso da quello che indica l’assenza, il vuoto.
Ormai è praticamene accertato che gli astronomi Maya riuscivano a prevedere i movimenti apparenti delle stelle. Questo presuppone osservazioni molto protratte nel corso del tempo e l’impossibilità di trasmettere oralmente la grande mole di informazioni acquisite.
Possiamo supporre che la trasmissione dei dati sui movimenti apparenti delle stelle, derivanti dalle loro osservazioni, avvenisse in forma scritta in codici che non ci sono pervenuti. Infatti, avevano una forma di scrittura e possediamo 4 codici scritti in epoca antecedente alla conquista, nei quali sono registrate notizie relative ai movimenti di Venere e alle eclissi di Sole e Luna, oltre ad altre informazioni probabilmente relative ai movimenti di Marte e forse anche Giove.
I vescovi francescani sopraggiunti dopo la conquista organizzarono grandi roghi nei quali bruciarono moltissimi codici, con grande disperazione da parte dei saggi Maya, che vedevano andare letteralmente in fumo le pagine nelle quali era conservata la loro conoscenza. Ciò che i mayanisti sperano è che qualche altro codice sia sopravvissuto al rastrellamento effettuato dai francescani e sia tutt’ora gelosamente conservato da qualche “mago” o sia stato nascosto in un qualche recesso non ancora rinvenuto.
Tuttavia, oltre ai codici, parte di queste registrazioni si sono conservate negli affreschi dipinti in alcune tombe e si spera di trovarne altri ancora. Benché le informazioni registrate in questa maniera siano brevi e a volte frammentarie, si sono rivelate utili per interpretare ulteriormente il contenuto dei codici superstiti.
Seguito del racconto precedente Una foresta di Re
Io, Aj Maxam, Principe del Sangue, Pittore e Scriba di Corte, sono stato incaricato di trascrivere queste note, riguardanti la consacrazione della Grande Tun (nota 1), innalzata per volere del nostro K’inich Ahau (nota 2), il Sole Splendente su di noi, che ci porta abbondanti raccolti e garantisce il benessere delle nostre famiglie. Ecco quanto trascrivo, chiedo aiuto agli Dei Celesti per non tralasciare nessuno degli importanti fatti, accaduti nel corso di questi ultimi due tun.
Il Grande Astronomo e tutti gli altri Astronomi di Corte, trascorsero quasi due tun vegliando ogni notte, studiando i movimenti delle stelle nel cielo notturno, e io, Aj Maxam, Principe del Sangue, fratello minore del K’inich Ahau K'ahk' Ukalaw Chan Chaak Pittore e Scriba di Corte e discepolo del Maestro, ero con loro. Il nostro fine era prevedere, con largo anticipo, il giorno propizio per innalzare la Grande Pietra, il Grande Albero Cosmico voluto da K'ahk' Ukalaw Chan Chaak, Grande Splendente Sole, in memoria di suo padre, K’ahk’ Tiliw Chan Yopaat Spirituale Signore.
Finalmente, dopo aver attentamente confrontato i movimenti osservati delle stelle con quanto riportato nelle scritture, il Grande Astronomo riuscì ad individuare il giorno che avrebbe garantito alla Grande Pietra Albero la durata fino alla fine dei tempi. E assieme al giorno, venne individuato nella Grande Piazza antistante la Sacra Nooch Mul (nota 3) dedicata a K’awiil (nota 4), il punto esatto nel quale innalzarla.
Subito, la cosa venne comunicata al K’inich Ahau, che diede l’ordine di iniziare tutti i preparativi, affinché tutto fosse pronto per il giorno designato.
Vennero preparate lunghe e robuste funi, utilizzando le liane della foresta. Vennero radunati molti uomini, i più robusti e forti, che si allenarono a tirare pesanti massi, sotto il comando dei capitani militari. Venne scavata una profonda fossa, nel punto esatto della piazza, individuato davanti alla Sacra Nooch Mul. Sull’orlo e a fianco della fossa vennero apprestati rulli del duro legno di guapinol (nota 5) e venne preparata una collinetta di terra, per agevolare l’innalzamento delle Grande Pietra.
Giunto il giorno designato, quando K’in nostro Signore Sole si elevò all’orizzonte, i suonatori delle Sacre Conchiglie diedero loro fiato, producendo un forte suono che si sparse per tutto l’abitato, svegliando il popolo e avvisandolo di radunarsi nella Grande Piazza, per assistere alla cerimonia di innalzamento e consacrazione della Grande Pietra, il Grande e Sacro Albero, destinato a durare fino alle fine del Tempo.
I Sacerdoti avvinghiarono e strinsero le funi attorno al Grande Albero e sparsero il proprio sangue su di esse. Fatto questo, salirono i gradini che conducevano alla bassa piattaforma che st alla bese della Nooch Mul, dove li attendeva il nostro K’inich Ahau.
Al Suo segnale, i robusti uomini, radunati e allenati per questo compito, impugnarono le funi e le tesero, fino a farle schioccare: pareva quasi che esse si lamentassero e piangessero per lo sforzo loro imposto dal grande peso della Sacra Pietra e iniziarono a fumare. Allora, altri uomini gettarono su di loro molta acqua, così esse smisero di lamentarsi e lentamente il Grande Albero si avviò scivolando sui rulli di duro legno di guapinol, l’albero che ci fornisce anche il sacro incenso di copal, che in quel momento spandeva il suo intenso profumo, bruciando sui molti bracieri posti alla base della Nooch Mul. Pian Piano, scivolando sui rulli, il Grande Albero risalì la piccola montagnola appositamente creata, finché le sue radici furono interamente sopra la fossa destinata ad accoglierle.
I robusti uomini continuarono a tirare le funi, sudando copiosamente e seguendo le esortazioni dei comandanti e di tutta la folla, cosicché ad un tratto il Grande Albero iniziò ad inclinarsi, facendo sì che le sue radici scendessero nella fossa. Lo sforzo non era ancora terminato, nemmeno quando le radici furono interamente entrate nella loro accogliente nuova casa e il Grande Sacro Albero si dispose ritto in tutta la sua maestosità. Mentre i forti uomini continuavano a tenere tese le funi, per mantenere eretta la Grande Pietra Albero, altri uomini riempirono di terra la fossa entro la quale erano scivolate le sue radici, comprimendola via via che la fossa si riempiva.
Alla fine, la Grande Pietra Albero rimase eretta da sola, e i forti uomini poterono lasciare le funi e liberarla.
Allora, i sacerdoti e il K’inich Ahau salirono sulla cima della Nooch Mul e uno a uno entrarono nella casa del dio K’awiil, dove ciascuno di loro si produsse nella cerimonia dell’autosalasso, bagnando con il proprio sangue la carta amatl (nota 6) appositamente preparata.
Una volta terminata la sequenza di autosalassi, la carta amatl venne gettata sulle braci che ardevano negli incensieri posti a lato dell’entrata della Casa del Dio e il fumo così prodottosi si alzò denso, significando che K’awiil si era manifestato, gradendo l’offerta.
Allora, il popolo acclamò il suo K’inich Ahau e i suoi Sacerdoti e a gran voce li invitò a scendere dalla Nooch Mul, per completare la cerimonia.
Lentamente e con incedere rituale, essi ne discesero gli alti e stretti gradini, fermandosi sulla bassa piattaforma alla base della Nooch Mul, mentre un nobile prigioniero veniva portato dai capitani militari davanti al Grande Sacro Albero appena innalzato, che si ergeva in tutta la sua maestosità.
Sempre incedendo lentamente, il Gran Sacerdote e il suo Primo Assistente discesero i gradini della piattaforma e si avvicinarono al nobile prigioniero. Il Gran Sacerdote recava con sé la Sacra Spina della manta reale e con essa praticò una incisione in una delle vene del braccio destro del nobile prigioniero, facendone scaturire un getto generoso di sangue, prontamente raccolto in una ciotola dal Primo Assistente.
Con questo sangue venne aspersa la superficie della Grande Pietra Albero, a completamento della cerimonia della sua consacrazione.
A questo punto, suonarono nuovamente le Sacre Conchiglie, a significare che la cerimonia era conclusa e il popolo doveva lasciare la Sacra Piazza.
Ciascun capofamiglia si diresse verso la sua na, la casa del semplice Maya, dove tutti i suoi consanguinei si riunirono per celebrare una breve cerimonia nell’angolo domestico dedicato a queste pratiche. Infine, com’è giusta e nobile usanza, tutta la famiglia consumò un pasto più abbondante e ricco del solito, in onore della Sacra Pietra Albero appena consacrata e del dio K’awiil appena manifestatosi. Certamente, tutto questo avrebbe assicurato cibo abbondante e benessere per tutta la famiglia, nel corso del successivo tun.
E tutto questo io, Aj Maxam, Principe del Sangue, fratello minore di K'ahk' Ukalaw Chan Chaak, Scriba e Pittore di Corte e discepolo dei Grande Astronomo, ho messo per iscritto, cercando di eseguendo il compito affidatomi nel modo migliore che a me, umile discepolo, è stato possibile.
Note
1. Ai Maya piaceva (e piace ancor oggi) fare giochi di parole e alcuni vocaboli hanno così assunto significati traslati. In particolare, la parola tun ebbe molti significati, tutti tra loro in qualche modo connessi. Inizialmente, significava pietra: dato che le stele erano fatte di pietra, passò a significare anche stele. Le stele erano piantate nel terreno e avevano una forma simile alle teste d’ascia, quindi passò a significare anche albero e testa d’ascia. In particolare indicava l’Albero Cosmico, cioè la Via Lattea come Axis Mundi ed essendo le teste d’ascia più pregiate erano di giadeite verde, tun divenne anche giada e verde. Dato che i regnanti facevano innalzare stele nelle scadenze dei loro anni di regno, contati e trascritti nella notazione del Computo Lungo, tun passò anche a designare l’anno del Computo Lungo, di 360 gg… Nelle più importanti città del Periodo Maya Classico, vennero piantate molte stele, sulla cui faccia principale erano quasi sempre ritratti i regnanti. Lo fecero per commemorarne gli anniversari di ascesa al trono, per ricordarne importanti vittorie, per registrarne la celebrazione di importanti cerimonie. A Calakmul ne sono state individuate finora quasi 120… Dato che le stele erano tun, cioè anche alberi, Linda Schele e David Freidel, due grandi mayanisti, hanno battezzato le città Maya con il nome di “Una Foresta di Re”.
2. K’inich Ahau, cioè Sole Splendente Primo Uomo, era uno dei titoli spettanti al sovrano delle città Maya più importanti.
3. Nooch Mul, la grande collina, era uno dei nomi con cui erano chiamate le costruzioni piramidali, alla cui sommità si trovavano le celle templari.
4. K’awiil era la divinità del lignaggio regale, dai mayanisti viene chiamata il dio giullare, perché spesso raffigurato con un cappello a 3 punte terminanti con una specie di sonaglino, o dio scettro-manichino, perché appare in quella forma nelle raffigurazioni della cerimonia di passaggio del potere, di padre in figlio. 5. Il guapinol, Hymenaea courbaril, è una leguminosa arborea che raggiunge l’altezza anche di 40-45 metri. La sua corteccia essuda una resina aromatica, chiamata copal, molto apprezzata e utilizzata nella Mesoamerica alla stregua del nostro incenso. La resina essuda in tale quanità da produrre grossi grani che si seccano sulla corteccia e cadono naturalmente a terra. Quella prodotta nelle foreste di guapinol e di altre leguminose arboree tra 26 e 22 milioni di anni, una volta caduta a terra e coperta da strati di ceneri vulcaniche, si è fossilizzata e attualmente costituisce l’ambra messicana, molto apprezzata dai paleoentomologi perché all’interno dei suoi granuli si trovano spesso insetti fossilizzati e perfettamente conservati.
6. I Maya producevano una specie di carta, detta in nahuatl "amatl", ricavandola dalla parte interna e più morbida della corteccia di alcuni ficus, come F. cotinifolia e F. padifolia. Bollivano questa “pelle”, poi la battevano per ammorbidirla e assottigliarla fino a ricavarne un foglio molto sottile, di colore nocciola. Poi la tagliavano in strisce larghe circa 20 cm e lunghe parecchi metri e la coprivano con un sottile strato di calce spenta, che lisciavano accuratamente, ottenendo una superficie bianchissima e morbida.
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