Il primo ad aver notato in Omero questa anomalia sembra sia stato William Ewart Gladstone, quand'era ancora M.P. (Member of Parliament) in rappresentanza della Oxford University.
Il futuro primo ministro britannico pubblicò nel 1858 Studies on Homer and the Homeric Age, nel quale dedicò un capitolo a questo soggetto, pubblicando anche in contemporanea un articolo di 23 pagg. intitolato "The colour sense".
La questione venne formalizzata da Jules Davidoff e collaboratori, che pubblicarono nel 2012 Perceptual and categorical judgements of colour similarity, Journal of Cognitive Psychology, 24:7, 871-892, frutto soprattutto del loro lavoro con gli Himba, circa 12.000 indigeni che vivono nel Kaokoland (regione del Kunene), nella Namibia settentrionale.
Qui il riassunto, in inglese ovviamente, quindi per meglio dire l'abstract
www.tandfonline.com/doi/abs/10.1080/20445911.2012.706603Qui, l'articolo intero
www.academia.edu/29633073/Perceptu...lour_similarityNon sono particolarmente ferrato in filosofia del linguaggio, ma mi sembra che il tutto rientri nell'antica domanda "le cose esistono prima di avere un nome?"
Mentre scrivevo, è arrivato il commento di dceg.
Non saprei rispondere, non mi sono mai accorto se Maya dello Yucatàn e del Chiapas e/o BriBri, Guatuso, Brunka etc, del Costarica abbiano o meno aggettivi (che possono essere anche sostantivi) differenti per indicare il verde, l'azzurro e il blu. Certo è che il colore prevalente delle loro antiche giade lo identificano in spagnolo come "jade blu", mente a noi sembra un verde tendente all'azzurro, anzi, al celeste.
Per quanto riguarda la musica, mi vengono sempre in mente gli antichi egizi, greci e forse romani, che apprezzavano il suono stridulo del sistro, e l'antica musica cinese, che suona anch'essa stridula ai nostri orecchi, perché, dicono i musicologi, i cinesi sono sin da piccoli abituati a percepire una armonica in più di noi occidentali.
Questo a noi non riesce per mancanza di allenamento (anche i sensi si comportano come un muscolo...), mentre loro sono abituati sin dalla più tenera età, perché la loro è una lingua tonale.
Ah, dimenticavo: gli Inuit usano numerosi sostantivi per i differenti tipi di ghiaccio, che per noi è un concetto unico. Intendevi questo, dceg?
Altro esempio: i Quechua, per noi Inkas, non studiavano le forme costruite sugli asterismi, bensì quelle dei vuoti interstellari, che per loro avevano un significato analogo.