CITAZIONE (dceg @ 11/5/2020, 10:26)
Va anche ricordato che una buona parte della produzione olearia non era destinata all'alimentazione ma all'uso nelle lucerne, dove le caratteristiche organolettiche non contano.
Non solo per l'illuminazione: l'olio in antico aveva una grande varietà di impieghi. L'olio di oliva (ma anche di
balanos egizio, di lentisco, di lino, di noce, di mandorle amare etc.) trovava infatti ampio utilizzo, per esempio, nella farmacopea antica, per la preparazione di unguenti medicamentosi, e ancora poteva essere impiegato nella produzione di profumi (dove tuttavia Teofrasto ci dice che si preferiva l'olio di olive selvatiche, spremute ancora acerbe, perché si costituiva come un prodotto meno ricco di grasso, e dunque più leggero). Anche un sottoprodotto della lavorazione delle olive, come la morchia, poteva trovare un suo impiego, ad esempio nel settore della carpenteria navale.
Almeno in ambito romano, comunque, si conoscevano diverse varietà di olio d'oliva, destinate ad altrettanti utilizzi, che non dipendevano solo dalla qualità delle drupe, ma anche dal livello di lavorazione di questi frutti: da una prima, leggera torchiatura si otteneva infatti l'
olei flos, un prodotto di gran pregio, concettualmente non dissimile dal nostro "extravergine" e per questo più spesso destinato alle mense degli aristocratici; seguivano poi l'
oleum sequens e, da ultimo, l'
oleum cibarium, che, a dispetto del nome, sembra fosse destinato perlopiù all'alimentazione degli schiavi. Nell'
Edictum de pretiis di Diocleziano il prezzo per un
sestarium di olio d'oliva poteva oscillare, a seconda della qualità richiesta, da un massimo di 40 denari (
olei flos) fino a 12 (
oleum cibarium).
Di questo argomento mi ero occupato lo scorso anno per una pubblicazione che purtroppo tarda a uscire... Tuttavia, qui si parla di fonti latine, perlopiù d'età imperiale. Non so dire se anche presso i Lucani esistessero altrettante varietà di oli, né se si distinguessero per tipologie di impiego e per costi.