Ostraka - Forum di archeologia

L'identificazione dell'Itaca omerica, Un'ipotesi discutibile

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view post Posted on 20/7/2020, 23:46

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Oltre 10 anni fa avevo aperto una discussione su questo argomento nel precedente forum Archeologia Italiana. Lo ripropongo qui dopo aver letto di un recente aggiornamento.

L'argomento principale è una vecchia questione (da almeno duemila anni) che viene dibattuta dagli studiosi:l'identificazione dell'isola di Itaca, patria di Odisseo, descritta nei poemi omerici, principalmente nell'Odissea.

Il regno di Odisseo è, almeno su questo sono tutti concordi, il gruppo di isole occidentali del Mar Ionio, le isole ioniche. La principale referenza è l'inizio della narrazione che Odisseo fa riguardo alle proprie peripezie al re dei Feaci Alcinoo e alla sua corte. Odisseo si presenta e rivela le sue origini e la sua terra:

"Abito a Itaca piena di sole.
C'è un monte sull'isola, il Nerito coperto di boschi,
e molte isole intorno, una vicino all'altra, Dulichio, Same e la selvosa Zacinto.
Itaca giace sul mare in basso, verso occidente, più lontane le altre, verso l'oriente ed il sole."
(Odissea, IX, 20-26)*

L'isola omerica di Itaca (Ιϑακη) è stata identificata sin dall'antichità con l'isola situata a Nord Est del gruppo di isole, chiamata anche oggi Itaca (Ithaki). Così l'aveva collocata il geografo greco Strabone (Geografia, Libro X 2). Tuttavia, secondo altri studiosi , soprattutto moderni, questa identificazione non sarebbe sostenibile in base ad una diversa interpretazione di questi versi omerici. In particolare sono tre i vocaboli sotto discussione, relativi alla posizione dell'isola di Itaca: due aggettivi, χθαμαλὴ e πανυπερτάτη, e l'espressione πρὸς ζόφον (lett. "verso le tenebre").
Secondo Strabone χθαμαλὴ significa "che giace vicino alla terraferma" e πανυπερτάτη insieme con πρὸς ζόφον "la più lontana verso le tenebre" cioè verso Nord.

Invece, altri studiosi, soprattutto moderni, danno a χθαμαλὴ il significato di "che giace in basso" e πανυπερτάτη "la più lontana", in senso opposto a Strabone, mentre πρὸς ζόφον viene interpretato "verso il tramonto" cioè verso Ovest. Le altre isole guardano verso l'alba ed il sole, cioè ad Est.
Nella sua classica traduzione Ippolito Pindemonte aveva seguito l'interpretazione di Strabone, mentre diverse traduzioni moderne (come quella di Maria Grazia Ciani) seguono la seconda interpretazione.

Ne consegue però, che se si accetta la seconda interpretazione, l'Itaca omerica dovrebbe essere bassa e la più occidentale delle isole. Same è sempre stata identificata con Cefalonia, o almeno una parte di essa mentre Dulichio (che contiene nel suo nome il significato di "lunga") non sarebbe mai stata identificata con sicurezza. Zacinto è invece sicuramente l'attuale Zacinto. In pratica l'Itaca bassa e più occidentale del gruppo di isole non esisterebbe.

Nel 2005, un britannico appassionato classicista, Robert Bittlestone, di formazione economista e di professione manager aziendale, aveva avuto l'idea che l'Itaca omerica fosse in realtà Paliki, la penisola occidentale di Cefalonia, ipotizzando che in epoche antiche compatibili con il racconto di Omero fosse un'isola, separata da Same da uno stretto braccio di mare, riempitosi in epoche successive in seguito a fenomeni geologici. Bittlestone aveva pubblicato la sua ipotetica tesi in un libro, scritto insieme a due studiosi, James Diggle, professore di greco e latino presso il Queen's College di Cambridge, e John Underhill, un geologo professore presso la Heriot-Watt University, Edinburg:

Odysseus Unbound: The Search for Homer’s Ithaca
Robert Bittlestone, with James Diggle and John Underhill

Cambridge University Press.

Inoltre Bittlestone aveva organizzato una ricerca sul campo per trovare conferme scientifiche alla sua ipotesi. Tutte le informazioni relative sono disponibili su questo sito (in inglese):

www.odysseus-unbound.org/

che è attivo da oltre dieci anni. Dopo aver scritto il mio post su AI, lo guardavo di tanto in tanto, e per molti anni, dopo il 2013 è rimasto statico, senza nessuna novità, forse per mancanza di fondi, ed anche per la morte prematura di Robert Bittlestone, avvenuta nel 2015.
Ho visto ora che la ricerca ha ripreso, con i due figli di Bittlestone. C'è un aggiornamento all'inizio di quest'anno (2020) con dei risultati di una ricerca geologica che potrebbero dare un qualche fondamento all'ipotesi.

Personalmente sono abbastanza scettico su questo tipo di studio (non ho comunque letto il libro). Se anche fosse provato che Paliki era un'isola nei tempi compatibili con le vicende omeriche, questo non proverebbe l'identità con Itaca.

L'attuale Itaca, aspra e scoscesa come nella descrizione omerica (non era adatta ai cavalli) ed un monte cospicuo, il Nerito, ha una particolarità che stranamente è messa molto poco in evidenza: il golfo di Vathy, cosi' particolare nella sua forma, è uno dei porti naturali più grandi al mondo. E' così chiuso e protetto, che l'acqua al suo interno sembra spesso un lago.
E nell'Odissea troviamo:

"Vi è un porto a Itaca, che è sacro a Forco, il vecchio marino. Due promontori si spingono avanti, scoscesi, che verso il porto degradano e lontane tengono le grandi onde sollevate dai venti impetuosi; dentro stanno le navi ben costruite, senza bisogno di ormeggio, quando hanno raggiunto il punto di attracco. "
(Odissea, XIII 96-104)*

Non è facile trovare un porto naturale con queste caratteristiche, ed il porto di Vathy ad Itaca è in ottimo accordo con questa descrizione. Il golfo di Livadi, proposto dall'ipotesi di Bittlestone, non è altrettanto convincente.




*) Omero Odissea trad. Maria Grazia Ciani, Edizioni Marsilio
 
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view post Posted on 21/7/2020, 16:31

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Direi di sì: mi sembra testualmente convincente.

Anzi grazie per il prezioso riepilogo dello status quaestionis.

Credo però proprio che il massimo che noi possiamo pensare di fare è di sforzarci di capire cosa venisse in mente gli Antichi di età classica quando leggevano la versione standardizzata di quell'epica ;)
Non me la sentirei di proiettare una interpretazione già così difficile in un orizzonte preclassico: per il quale mi asterrei dal pretendere di poter arrivare ad una conclusione. Insomma, niente "vera" Itaca proprio, secondo me.
 
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view post Posted on 22/7/2020, 14:46
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CITAZIONE (Mario_A @ 21/7/2020, 00:46) 
In particolare sono tre i vocaboli sotto discussione, relativi alla posizione dell'isola di Itaca: due aggettivi, χθαμαλὴ e πανυπερτάτη, e l'espressione πρὸς ζόφον (lett. "verso le tenebre").
Secondo Strabone χθαμαλὴ significa "che giace vicino alla terraferma" e πανυπερτάτη insieme con πρὸς ζόφον "la più lontana verso le tenebre" cioè verso Nord.

Invece, altri studiosi, soprattutto moderni, danno a χθαμαλὴ il significato di "che giace in basso" e πανυπερτάτη "la più lontana", in senso opposto a Strabone, mentre πρὸς ζόφον viene interpretato "verso il tramonto" cioè verso Ovest. Le altre isole guardano verso l'alba ed il sole, cioè ad Est.

Entro in questa discussione perlopiù per una questione terminologica, che credo possa valer la pena discutere, ossia quella di πρὸς ζόφον. E' senza dubbio interessante (e direi quasi naturale) pensare a una contrapposizione geografica O-E nella descrizione delle isole intorno a Itaca, che sarebbe quindi sottintesa, in questo passaggio, nell'opposizione figurativa di "tenebre" e "luce".

Tuttavia, la lettura data da Strabone potrebbe non essere del tutto errata, e anzi potrebbe forse anche avere un suo senso più che logico.
Quando Esiodo nella Teogonia localizza la dimora delle Gorgoni, la pone infatti "al di là dell'inclito Oceano, all'estremo, verso la Notte, dove sono le Esperidi acute di voce" (vv. 274-275, cfr. Arrighetti, BUR 2007). L'espressione utilizzata qui è πρὸς Νυκτóς; dunque Esiodo utilizza la mitica sede della dea Notte come riferimento per indicare una regione geografica generica, ma al tempo stesso ben precisa, e cioè l'Occidente. Che il poeta parli dell'Occidente in questo caso è abbastanza certo, dal momento che, più avanti, sempre Esiodo afferma anche che il Titano Atlante si trovi a sorreggere il cielo "là dove Notte e Giorno venendo vicini si salutano passando alterni il gran limitare di bronzo" (vv. 748-750).
Tuttavia, un conto potrebbe essere dire πρὸς Νυκτóς, altro potrebbe essere invece πρὸς ζόφον, dal momento che ζόφος indica genericamente "tenebra", "caligine", "oscurità". Fin dall'epica omerica, c'è almeno un popolo, tradizionalmente situato nelle regioni a Nord del Mar Nero, che è quello dei Cimmeri, il quale, secondo l'Odissea (XI, 13-19), si trovava in una città perennemente avvolta dalle tenebre e dalle nebbie, dove la luce del sole non arrivava mai, né quando esso saliva all'alba, né quando poi discendeva al tramonto. Del resto, le regioni poste all'estremo Nord del mondo erano tradizionalmente un po' tutte immaginate dai Greci come oscure e fredde (spesso in contrapposizione a quelle dell'estremo Sud, assolate e roventi).

Dunque, a mio modesto avviso, che una certa confusione potesse essersi generata in antico con questo uso poetico della notte/oscurità in senso geografico potrebbe tranquillamente starci: infatti, nonostante la localizzazione di Atlante sia abbastanza chiara fin dall'epoca di Esiodo, nel più tardo Pseudo-Apollodoro di Atene (I secolo d.C.) si dice invece che, per ottenere i pomi delle Esperidi, Eracle si sarebbe recato nella terra degli Iperborei (situata anch'essa nell'estremo Nord del mondo), dove avrebbe trovato il Titano costretto a sostenere il peso del cielo (cfr. Biblioteca, II, 5, 11). Secondo me, il fatto che in un'epica così antica il riferimento sia πρὸς ζόφον, e non πρὸς Νυκτóς, potrebbe anche far pensare davvero a una "oscurità" differente da quella della dea Notte (che si trovava naturalmente nell'Occidente, dove il sole tramonta), e che in effetti potrebbe esser stata anche indicativa dell'estremo Nord del mondo allora conosciuto (di cui si sarà avuta un'idea ancora poco chiara), come pure Strabone ritenne di interpretarla.

P.s.

Aggiungo anche un link a un dibattito di ormai una decina di anni fa, che forse ricorderete e che ruotava attorno alla scoperta di un piccolo palazzo, di probabile epoca micenea, scoperto sull'isola di Itaca: www.corriere.it/cultura/10_agosto_...44f02aabe.shtml.
Alla descrizione della scoperta, effettuata dal prof. Athanasios Papadopoulos (Università di Ioannina), seguono poi il commento più che condivisibile di Adriano La Regina, e quelli forse un po' troppo entusiastici di Andrea Carandini e Luciano Canfora, che arriva addirittura a definire l'epica omerica come un "racconto storico scritto in esametri" (sic!). Il pezzo si conclude infine con un accenno alla teoria di Bittlestone, apparentemente sbugiardata da questa scoperta archeologica. Confesso però di non aver più seguito la vicenda, per cui non so a che punto siano arrivati con gli scavi del palazzo e con lo studio delle strutture scoperte.
 
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view post Posted on 22/7/2020, 16:39

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CITAZIONE (Perseo87 @ 22/7/2020, 15:46) 
P.s.

Aggiungo anche un link a un dibattito di ormai una decina di anni fa, che forse ricorderete e che ruotava attorno alla scoperta di un piccolo palazzo, di probabile epoca micenea, scoperto sull'isola di Itaca: . . . seguono poi il commento . . . e quelli forse un po' troppo entusiastici . . .

Non sarebbe molto, ma molto meglio se gli Archeologi si occupassero solo di attestazioni materiali e non di teorie?
 
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view post Posted on 23/7/2020, 13:53

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La collocazione geografica di Itaca e l'impossibilità di identificare chiaramente Dulichio erano anche tra le principali argomentazioni di Luigi Vinci (Omero nel Baltico - Cap II) per traslare l'intera vicenda epica di Iliade e Odissea nel Baltico. :P
 
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view post Posted on 23/7/2020, 14:02
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Natura non facit saltus, almeno non così lunghi. ;)

Però l'autore di Omero nel Baltico È Felice, non Luigi, Vinci.
 
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view post Posted on 23/7/2020, 18:31
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apò ña spitha èni jinumèna aćà khàra

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CITAZIONE (LAVORI ARCHEOLOGICI @ 22/7/2020, 17:39) 
CITAZIONE (Perseo87 @ 22/7/2020, 15:46) 
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Aggiungo anche un link a un dibattito di ormai una decina di anni fa, che forse ricorderete e che ruotava attorno alla scoperta di un piccolo palazzo, di probabile epoca micenea, scoperto sull'isola di Itaca: . . . seguono poi il commento . . . e quelli forse un po' troppo entusiastici . . .

Non sarebbe molto, ma molto meglio se gli Archeologi si occupassero solo di attestazioni materiali e non di teorie?

Però a volte diventa inevitabile avanzare delle teorie, quando mancano attestazioni decisive. Io mi sono occupato di toponomastica e in molti casi si è obbligati o a tacere o a avanzare teorie. A mio modesto avviso fa avanzare la scienza e la conoscenza più una teoria che magari si dimostrerà errata, piuttosto che il silenzio.
 
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view post Posted on 24/7/2020, 11:04

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Intendo dire che il ruolo dell'Archeologo nel grande dibattito dell'interdiscipliarietà (che, sì, può produrre teorie, anche utilmente) dovrebbe essere per definizione quello del più irriducibilmente scettico materialista: quello di chi dicesse . . . a me interessa ciò che c'è davvero, e su questo sarò rigorosissimo nel sorvegliare che nessuno mi metta in bocca di più di ciò che io posso attestare nella concretezza del dato materialmente pervenuto, gli altri ragionamenti non competono alla mia materia.
 
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view post Posted on 25/7/2020, 10:25
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La visione che emerge da questo dibattito, messa così, mi trova concorde fino a un certo punto - anche perché un'eccessiva divisione per compartimenti stagni delle Scienze dell'Antichità mi porterebbe a chiedermi a chi dovrebbe essere affidata (e in base a quale merito), in ultima istanza, la sintesi dei dati storico-filologici e archeologici. Per quanto l'archeologo debba sempre partire dal dato materiale, un minimo di interpretazione dei resti che esso scava, nell'ambito di quello che è il più ampio panorama storico e geografico in cui il sito scavato ricade, alla fine, con tutte le cautele del caso, deve comunque pur darla, perché questo processo si costituisce come una parte irrinunciabile del suo stesso lavoro.

Dalle singole unità stratigrafiche si passa a definire le attività stratigrafiche nel loro insieme, e da qui ancora si passa poi a gruppi di attività, a fasi e a periodi, perché quelle tracce di vita quotidiana vissuta, che troviamo cristallizzate nel terreno, a un certo punto devono anche essere inserite in un contesto storico il più verosimile possibile. E' chiaro che, man mano che si sale di livello, il grado di soggettività tenderà ad aumentare, e quello di oggettività a diminuire, perché la lettura data dall'archeologo che scava e ricostruisce è sempre personale, e quindi, in quanto tale, non potrà mai essere certa né univoca: anche per questo, ogni volta si "perde" tanto tempo a documentare, graficamente e fotograficamente, tutto ciò che salta fuori dal terreno, perché non si perda memoria del lavoro svolto, di ciò che è stato trovato e della lettura data dagli scavatori (che potrebbe non essere sempre e necessariamente quella corretta).

Detto questo, nel caso specifico, un conto è contestualizzare un palazzo miceneo nell'ambito della geografia e della storia della Grecia del Tardo Bronzo; tutt'altro, ovviamente, è pretendere di contestualizzarlo nell'ambito di ciò che l'Iliade e l'Odissea raccontano. Su questo l'archeologo non dovrebbe lasciarsi andare a facili congetture, che sono ben lungi dall'essere certificabili. L'idea che a Itaca possa essere esistito un (seppur piccolo) palazzo miceneo, così come è attestato dalla ricerca archeologica a Micene, a Tirinto, a Creta e in altre città che sono ricordate nell'ambito della Guerra di Troia, è un dato senza dubbio interessante e che a mio avviso potrebbe anche valer la pena di tenere in considerazione; da qui però a parlare di "Palazzo di Odisseo" come di un dato storico (come anche Luciano Canfora sembrerebbe presentarlo) ce ne corre.
Nessuno di noi può sapere se effettivamente a Itaca abbiano mai regnato sovrani chiamati Odisseo, Laerte o Telemaco. E, semmai, è su questo che un archeologo serio dovrebbe muoversi coi piedi di piombo, senza lasciarsi andare a facili sensazionalismi. Per questo motivo, infatti, ho detto di preferire il commento di Adriano La Regina, che mi è parso caratterizzato molto più da quel tipo di atteggiamento con cui un serio studioso del passato dovrebbe porsi nei confronti dei resti del mondo antico. A Carandini (e in questo caso, spiace dirlo, a Canfora) lascerei invece i favoleggiamenti su Odisseo e Penelope, che nulla hanno a che vedere con la ricerca scientifica, e che al massimo trovano spazio in certe testate a carattere divulgativo...
 
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view post Posted on 25/7/2020, 11:23

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E' doloroso che più passano i decenni e più le solide basi metodologiche che ci eravamo date vengano percepite come una nebulosa.

E' una questione di ruoli: l'Archeologo in campo è quell'unico che il pallone lo prende con le mani e se rinuncia a fare ciò andandosene di qua o di là o se ad un certo punto pretende di fischiare lui la punizione, sbaglia e anzi diventa pericoloso per la squadra.

Se vogliamo dare un contributo in termini scientifici alla conoscenza dell'Antichità dobbiamo impersonare il ruolo che è per definizione quello nostro, cioè quello di chi nel dibattito interdisciplinare pretende di stare attaccato alla materialità.

E se non fosse per quel preciso convincimento epistemologico che dovrebbe essere la giustificazione della nostra stessa esistenza come disciplina scientifica, sia almeno per assunzione di parte in commedia o anche solo per darci un tono.
 
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