CITAZIONE (LAVORI ARCHEOLOGICI @ 18/10/2020, 09:11)
Ma le stratigrafie non contano proprio nulla? Quelle si distruggono malamente con tecniche modeste e ormai pressoché sempre inadeguate (spesso perché male intese sul piano metodologico, talora persino in quanto pignolamente infarcite di una esagerazione di osservazioni inutili e con ciò distorcenti) per inseguire i monumenti (eventualmente poi da reinterrare) e ci mettiamo il cuore in pace così? Siamo tornati come negli anni Settanta a pensare che valgono più i muri della terra?
Facciamo meglio se ci rassegnamo in certi casi all'idea di non scavare proprio -né archeologicamente né in alcun altro modo- e di dover resistere -dove la tutela può afficacemente essere esercitata senza scavo- alla curiosità e ad un malinteso senso di prestigio per la scoperta affidandoci -dove siamo certi che il contesto archeologico lo si può preservare sepolto- agli oggigiorno crescenti livelli di conoscenza che possono essere raggiunti mediante modalità non invasive.
Bene. Quindi la soluzione qual è? Fermiamo tutti gli scavi "non necessari" e ingessiamo di fatto la ricerca archeologica in tutto il Paese? Se questa è la tua ricetta, posso dire che mi trova molto poco concorde. Anche perché il concetto di "necessario", in questo senso, può cambiare e di molto, a seconda del punto di vista da cui lo si guarda.
Innanzitutto, è bene ricordare che in Italia, oltre alle soprintendenze (che si occupano meritoriamente della tutela), abbiamo gli atenei, che hanno come prima missione la ricerca, e come seconda missione la didattica.
Ora, una cattedra di Archeologia che non ha scavi all'attivo, in che modo contribuisce alla creazione di nuove conoscenze sulla storia di un territorio? Dobbiamo ridurci tutti a fare solo esami non invasivi? O riesami di quanto è già stato edito? Può essere questa la sola, unica e "nuova" frontiera della ricerca archeologica? Onestamente, mi pare un po' povera come prospettiva, tanto più che, sì, le prospezioni di cui si parla nell'articolo aiutano a individuare possibili contesti archeologici, ma si limitano comunque a evidenziare eventuali strutture sepolte a livello dimensionale (es. geometrie, estensione), senza dare anche informazioni più caratterizzanti sulla loro natura (es. datazione, cultura di afferenza, funzione etc.).
Una volta ebbi modo di assistere a Firenze a una conferenza di Andrea Carandini, che auspicava che in futuro si potesse arrivare a non scavare più manualmente i contesti archeologici, indagandoli nel dettaglio senza alzare un solo pugno di terra... Io non so se arriveremo mai a disporre di una tecnologia tanto avanzata; fino a quel momento, tuttavia, l'unica conoscenza più completa di uno contesto archeologico, piaccia o non piaccia, verrà solo e soltanto dallo scavo stratigrafico. Poi, lo scavo è distruttivo? Purtroppo sì, è risaputo ed è un dato di fatto. E non tutti - su questo sono del tuo stesso parere - sono in grado di leggere e ricostruire sempre tutte le sequenze stratigrafiche nel modo corretto. Questo però non può essere il motivo per cui si fermano gli scavi, che anzi richiedono oggi una crescente mole di documentazione (scritta, grafica e fotografica), proprio per lasciare memoria di tutto quello che emerge pian piano dalla terra, di modo che non si perdano i passaggi dei lavori - e che, un domani, qualcuno, poco convinto delle conclusioni raggiunte dai colleghi, possa eventualmente tentare un riesame (e con esso una differente lettura o interpretazione) dei dati raccolti.
Non dimentichiamo poi anche l'aspetto della didattica - o meglio, della formazione. Niente a questo mondo dura in eterno, e anche gli attuali e più bravi archeologi, prima o poi, dovranno essere sostituiti per mere ragioni anagrafiche. Se togliamo agli atenei la possibilità di fare ricerca archeologica, oltre a non far progredire le conoscenze sui territori oggetto di indagine, togliamo anche ai loro studenti - che magari un domani saranno i nuovi funzionari di soprintendenze e poli museali - la possibilità di farsi un'esperienza di scavo guidata, in un contesto che è formativo, ma che non è comunque quello frenetico e molto più complesso di uno scavo urbano di emergenza (dove onestamente non credo che si potrebbe mai sbattere uno studente della triennale, che per la prima volta prende in mano una trowel...).
Direi quindi che quelli che poni possono essere in teoria problemi effettivi e dubbi condivisibili, ma dal mio punto di vista (ed evidentemente non solo il mio), all'atto pratico non sono sufficienti a bloccare tutta la ricerca archeologica di per sé. E non tirerei tanto in ballo la curiosità nella volontà di scavare una struttura archeologica come quella individuata a Paestum, quanto piuttosto chiamerei in causa la necessità di approfondire e ampliare una visione del mondo antico e del territorio che deve per sua natura progredire - pena il continuare a trasmettere agli studenti (ma anche a visitatori e turisti) nozioni e informazioni formulate sulla base di una conoscenza pregressa che, dopo una scoperta del genere, c'è il doveroso dubbio che possa essere più o meno incompleta, se non addirittura errata.