CITAZIONE (Righel @ 26/5/2021, 17:43)
Diamo però sfogo alla fantasia, visto che i riferimenti oggettivi latitano.
D'altra parte senza un po' di fantasia staremmo ancora a raccogliere frutti e scavare radici.
La fantasia a volte può senza dubbio aiutare... ma è pur vero che (per dirla con Goya) "
el sueño de la razón produce monstruos". Nel senso che usare le fantasia per spiegare quello che non si capisce razionalmente può anche andar bene (qualche volta), ma occorre a mio avviso stare attenti a non muoversi eccessivamente per luoghi comuni e ragionamenti solo in apparenza logici (che poi è proprio quello che criticavamo nell'interpretazione delle anatre etrusche).
CITAZIONE (Righel @ 26/5/2021, 17:43)
Il serpente, come ho sostenuto anche ieri sera, rappresenta nel pensiero antico l'immortalità. Immagine questa legata all'osservazione della muta di pelle del rettile: si vede quest'ultimo uscire dalla vecchia pelle, abbandonarla e "rinascere". Ma che senso potrebbe avere la rappresentazione di un uccello che inghiotte un serpente?
1) inghiotte la vita, quindi impedisce la rinascita. (...).
2) inghiotte le vita nel senso che la incorpora, la fa sua, la preserva. Ne consegue che la donna rivivrà nuovamente (...).
Si gioca di fantasia, l'ho premesso, ma potrebbe essere anche questa una strada da seguire, magari con ipotesi più attendibili.
Il serpente nelle culture del Mediterraneo antico ha goduto di una gran varietà di significati, spesso ambivalenti, che non si possono ricondurre sempre e comunque al solo concetto di immortalità. Nell'antico Egitto, per esempio, il serpente cobra era sacro al sovrano (che ne poneva la protome sulla sua corona come amuleto protettivo) e simboleggiava inoltre il volto della dea Wadjet, signora del Basso Egitto; per contro, Apep, demone primordiale, ritenuto l'incarnazione del caos e temuto nemico di Ra, era raffigurato proprio come un gigantesco serpente. Nella cultura ebraica, ancora, il serpente tenta Adamo ed Eva nel giardino dell'Eden e li spinge a violare l'alleanza con Yahweh attraverso la consumazione del frutto proibito; tuttavia, quando gli Israeliti si trovano nel deserto e sono attaccati da serpenti velenosi, Yahweh ordina a Mosè di forgiare un serpente di bronzo e di mostrarlo al popolo, così da guarire tutti coloro che fossero stati morsi dai rettili.
Anche nel mondo classico il serpente gode di un'ampia simbologia, che lo vede come animale dal potere oracolare (è simbolo di Apollo ed è presente anche nel culto oniromantico di suo figlio Asclepio), guaritore (i serpenti di Asclepio erano in grado di curare i malati leccando le loro piaghe) e talvolta custode di favolosi tesori (vedi Ladone, il mitico serpente posto a guardia del giardino delle Esperidi). Il serpente funge ancora da emissario di morte di alcuni dèi (Era tenta di usare due serpenti per soffocare Eracle bambino, e ancora due serpenti marini, inviati da Poseidone, stritolano il sacerdote troiano Laocoonte e i suoi figli), ma al tempo stesso può anche avere un carattere protettivo (nella dimore pompeiane, i geni protettori della casa, detti
agathodaimones, sono spesso raffigurati come serpenti crestati, che strisciano verso l'altare domestico con le offerte). Infine, il serpente ha anche un importante valore in senso temporale, rappresentando, come anche tu ricordavi, il concetto di eternità (come tale, è infatti spesso attributo del dio Aion/Kronos nei culti misterici, e ancora torna, in questo stesso senso, nelle raffigurazioni del cd.
Ouroboros).
La fantasia può quindi andar bene, ma occorre anche partire da basi di realtà e verosimiglianza, cercando nelle fonti scritte (così come nelle iconografie) possibili spunti di interpretazione. Importante, a mio avviso, è anche il non dissociare due elementi concepiti per stare insieme, e provare a interpretarli prima singolarmente, per poi ricombinarli insieme solo in un secondo momento.
Un esempio di quanto questa pratica possa risultare fallace te lo posso portare sulla base di un mio personale errore. All'interno dei mosaici e degli affreschi pompeiani a tema marino, uno dei soggetti più celebri - che forse qualcuno di voi avrà anche già visto - è quello della "lotta fra il polpo e l'aragosta":
https://commons.wikimedia.org/wiki/Categor...v120177_n01.jpg.
La prima volta che lo vidi mi fu presentato all'interno del corso di Archeologia romana, dove la professoressa lo interpretò come un possibile riferimento a un'antica e ignota favola andata perduta. Anni dopo, leggendo
Il libro dei sogni di Artemidoro Daldiano (II secolo d.C.), mi imbattei nelle interpretazioni che questi dava dell'aragosta e del polpo, che avrebbero rappresentato l'uno l'abilità di fuggire dalle situazioni pericolose tramite l'abbandono del carapace, e l'altro il pericolo che si mimetizza sui fondali e contro i cui tentacoli è inutile tentare di combattere. Poteva l'immagine di questa lotta rappresentare, in un senso anche apotropaico-benaugurale, la possibilità per chi frequentava l'ambiente decorato di sfuggire ai pericoli annidati lungo il cammino della vita, proprio come nella mentalità antica poteva fare l'aragosta? Così provai a darmi una spiegazione. E me ne ero pure tutto sommato convinto, finché non mi sono imbattuto in una citazione aristotelica tratta dall'
Historia Animalium (e ripresa poi anche da Plinio il Vecchio), secondo cui, insieme con la murena (che talvolta è presente accanto alla coppia, talvolta no), aragosta e polpo creavano una sorta di "circolo chiuso" di prede e predatori, all'interno del quale il polpo catturava l'aragosta, la murena divorava il polpo, ma l'aragosta aveva la capacità di mettere in fuga la murena (cosa che nella realtà zoologica non ha alcun fondamento, ma così pensavano gli antichi...). Dunque il trio aragosta-polpo-murena (così come anche le varianti costituite dalle sole coppie aragosta-polpo e murena-aragosta) nell'arte pompeiana deve essere molto più probabilmente identificato come un riferimento dotto all'insegnamento aristotelico (tanto più che queste lotte sono di solito inserite al centro di gradi gruppi di pesci, dal "sapore didascalico", tipico di una certa arte alessandrina d'età ellenistica). Per tutti gli interessati, qualcosa su questo tema si può trovare anche in un contributo di R. Westgate, Pavimenta atque emblemata vermiculata:
Regional Styles in Hellenistic Mosaic and the First Mosaics in Pompeii", edito in
American Journal of Archaeology", 104, 2, 2000 (pp. 255-275).
Ed ecco che, in questo caso, come vedi, la mia fantasia (seppur "supportata" dalle fonti scritte) mi aveva portato totalmente fuori strada, mentre la spiegazione per quella particolare iconografia si poteva tranquillamente rintracciare nella letteratura antica (a spulciarla per bene...). Per questo il mio invito è a proseguire la ricerca prima di tutto nel campo delle fonti letterarie, perché un riferimento inatteso potrebbe nascondersi in uno dei molti testi antichi dedicati al mondo animale (e non sono pochi) che ci sono giunti per tradizione manoscritta.
Al momento, tutto quello che mi sento di poter dire è che questo supposto riferimento del trampoliere che mangia il serpente al mito di Apollo che uccide Python (che avrebbe oltretutto la conseguenza di identificare la defunta di Kozani con una sacerdotessa del culto di Apollo) mi sembra alquanto inverosimile, dal momento che il trampoliere non sembra avere un particolare legame con il giovane dio delfico.