Discussione interessante, su cui c’è parecchio che si potrebbe dire. Ci sono alcuni dei punti e nomi che avete già menzionato su cui mi piacerebbe aggiungere qualcosa, però prima trovo sia importante sottolineare alcuni punti “teorici” o “metodologici”, che potrebbero aiutare a risolvere alcuni dei problemi che avete evocato.
Prima di tutto, è importante sottolineare che non tutti i nomi che sembrano diversi, risultano anche essere diversi.
Capita, e anche abbastanza spesso, che in effetti quelli che sembrano nomi diversi sono in realtà varianti dello stesso nome, in genere dovuti ad adattamenti fonetici in lingue diverse dall’originale, oppure perchè sono entrate in lingue diverse in diversi periodi storici, e dunque derivano da fasi diverse d’evoluzione della stessa parola.
In alcuni casi, queste varianti sono relativamente semplici da identificare.
Un buon esempio è quello dei frigi dato da tetragramma. Come dice bene lui, quelli che noi chiamiamo “frigi”, chiamavano se stessi “briges”. Seppure sembrino diversi, questi due nomi sono in realtà due varianti di una singola forma.
E seppur non conosca la storia precisa del nome, e sebbene non sappia nulla della lingua frigia, non mi sembra difficile immaginare come queste due forme siano connesse:
Partendo da “briges”, che è la forma “autoctona”, si può immaginare che i greci l’abbiano trascritta phriges (usando p aspirata, magari per rendere un originale b aspirata (bh) frigia - questo avrebbe senso, perchè il greco non ha il suono bh, e il suono più vicino è ph)
Il greco phriges sarà poi passato in latino, e quindi in italiano, dove ph viene regolarmente pronunciato, e in seguito scritto, con “f”.
Il caso dei frigi è abbastanza semplice e intuitivo, e basta una semplice occhiata per capire che i due nomi devono essere in qualche modo connessi.
Altri casi invece sono più complessi, e in genere più interessanti.
Un buon esempio è il nome del giappone, citato da Mario.
Bene, il nome “giappone” (in italiano) e “nihon” (in giapponese) sembrano diversissimi, eppure non solo sono connessi, ma addirittura non sono altro che due varianti, due “evoluzioni” o “adattamenti” dello stesso identico nome. E in effetti alla lista si potrebbe aggiungere anche il nome Cippango, cioè il nome usato da Marco Polo.
Come si spiega?
La storia qui è più complessa.
Prima di tutto, va detto che il nome moderno del giappone in giapponse, cioè “nihon”, in realtà non è un nome “nativo” giapponese. In realtà, “nihon” è originariamente il nome cinese con cui i cinesi chiamavano il giappone. la questione del o dei nomi “nativi” del giappone è anche interessante, ma la salto qua e proverò a tornarci più tardi.
Come detto, il nome “nihon” è in realtà un nome cinese.
Esso si scrive in cinese (e quindi in giapponese) con due caratteri:
日本
日 significa “sole”
e 本 significa “base”
quindi 日本 significa “base del sole”, o meglio “sollevante”, “luogo dove sorge il sole”. Questo è il primo punto interessante: il significato stesso del nome mostra che è stato coniato in cina, e non in giappone, perchè è solo guardando le cose da una prospettiva cinese che si può dire che il giappone, che è situato ad est della costa cinese, è il luogo dove sorge il sole. Ovviamente, per i giapponesi il luogo dove sorge il sole sarebbe in pieno oceano pacifico, non certo nel giapponse stesso!
Quindi 日本 = “sol levante”.
Ora, la domanda è: visto che questo in origine è un nome cinese, come si pronunciava in cinese?
Qui sta il nodo del problema, e anche la sua soluzione.
Partiamo dal secondo carattere: in cinese 本 era generalmente pronunciato “ben”, con la “e” simile alla “e” muta del francese, quindi in realtà quasi “bon” (o in certi dialetti anche “bun”).
Questo “bon” è chiaramente all’origine del “-(p)pon” di “gia-(p)pon-e”, e fin qui la cosa è semplice.
Questo bon però è anche all’origine del giapponese “hon” di “ni-hon”, e questo a causa di una regola specifica ben precisa. Infatti in giapponse, nelle parole composte (come questa) la “p” all’inizio di una sillaba si trasfoma in “h”.
Quindi ni-pon diventa ni-hon perchè “-pon” è la seconda sillaba del nome. Si noti che a volte questo cambiamento non avviene, e infatti assieme alla pronuncia “nihon” si può anche sentire la pronuncia “ni(p)pon” (da cui per esempio l’aggettivo italiano “nipponico”).
La spiegazione del primo carattere è invece diversa.
Il carattere 日 = “sole” in cinese può essere pronunciato in un solo modo.
in giapponese invece può essere letto in giapponese in vari modi. Due però ci interessano qui: nel primo caso esso può essere pronunciato “ji” (come in italiano “gi-” in “gi-raffa”), nel secondo “ni”.
“ni” è la pronuncia usualmente letta nel nome 日本.
Entrambe le pronunce “ji” e “ni” sono di origine cinese, e questo sebbene io abbia appena detto che in cinese è pronunciato in un solo modo.
Il punto qui è che le pronunce “ji” e “ni” derivano e riflettono due dialetti cinesi diversi.
In in dialetto Mandarino, cioè il dialetto della corte imperiale cinese, e nei dialetti del nord in genere, il carattere 日 = “sole” si pronuncia qualcosa di simile a “ji”.
In dialetto cinese Hakka (parlato per esempio a hong kong) e in altri dialetti del sud il carattere 日 = “sole” si pronuncia “ni(t)” o simili.
Quindi, cosa deve essere successo: probabilmente i giapponesi sentirono il nome 日本 da dei cinesi che parlavano un dialetto del sud che quindi lo pronunciavano qualcosa come “ni(t)-bon” o simile, e lo hanno prima pronunciato “nipon” e poi “nihon” in accordo con le regole fonetiche del giapponese.
Gli europei al contrario, avranno sicuramente sentito il nome “日本” anche loro in cina, ma verosimilmente al nord, o direttamente alla corte imperiale, dove risiedevano gli ambasciatori stranieri (sia quelli europei sia quelli giapponesi) o in qualche altro centro amministrativo o di commercio ufficiale.
In ogni caso, lo avranno sicuramente sentito in un luogo dove si parlava un dialetto cinese del nord, in cui 日本 era pronunciato qualcosa come “ji-ben”.
Da “jiben” è facile capire da dove viene l’inglese “japan” o anche l’italiano “giappone”.
L’ultimo dettaglio: Marco polo. Marco polo ci parla di “cippango”. Ora la prime due sillabe, “ci-” “-(p)pan-” dovrebbero essere ora facili da spiegare: essere rendono il cinese “ji-ben”, probabilmente nella pronuncia del suo tempo come erano sentite da un orecchio veneziano. Si noti che di nuovo abbiamo qui la pronuncia di un dialetto del nord della cina, il che ha perfettamente senso, visto che Marco Polo avrà probabilmente sentito questo nome alla corte imperiale del Khan, dove appunto si parlava mandarino.
Tuttavia, qui rimane da spiegare il “-go” finale di “cippango”. In realtà, se si pensa in cinese, la risposta è molto facile. Il cinese usa spesso aggiungere dopo i nomi di luogo il carattere 国 = “paese”, che in dialetto Mandarino si legge “guo”.
Il “-go” di marco polo quindi non è altro che questo “guo”: ji-ben-guo fu sentito e reso da marco polo con “ci-(p)pan-go”, “Cippango”.
Ecco, quello che volevo mostrare con questo esempio (a parte aggiungere un nome alla lista
) è che a volte, e in realtà forse più spesso di quello che può sembrare, quelli che sembrano nomi diversi in diverse lingue, sono in realtà varianti più o meno modificate di un singolo nome. Che può essere un nome nativo (come forse, non so, ma immagino, nel caso dei frigi), o può essere un nome “straniero” -magari secondariamente adottato dai nativi stessi- come nel caso di Nihon/giappone
Edited by lama su - 26/6/2013, 07:07