Ci sono poi anche alcuni ulteriori ragionamenti un po' fallaci, che si leggono tuttavia solo sui giornali, non comparendo nell'abstract (e che dunque andranno verificati sull'articolo originario, una volta che sarà reso accessibile online).
In primis, la questione della Loggia delle Cariatidi.
Cito da Il Corriere della Sera:
CITAZIONE
(...) l’edificio comprendente le statue di alcune vergini, la famose Cariatidi, che sorreggono il tetto di una loggia, sarebbe stato indicato per secoli con un nome errato. «È estremamente logico — scrive l’archeologo olandese — che gli antichi Greci chiamassero una porzione di questo tempio Partenone, ossia “casa delle vergini”»
Questa ragionamento è tutt'altro che "estremamente logico", e per più di una motivazione.
Innanzitutto, va riconsiderata la questione delle
parthenoi: le cariatidi dell'Eretteo sono scolpite in forma di giovani ragazze, ma questo non significa affatto che esse fossero intese in origine come
parthenoi, tanto più che l'iscrizione presente sull'Eretteo le indica genericamente come
korai. In questo senso, il nome italiano "Loggia delle Cariatidi" può trarre in inganno, ed è forse da preferire la dicitura inglese "Porch of Maidens", un po' più corretta nella resa filologica.
A livello tipologico, inoltre, questi sostegni antropomorfi richiamano da vicino le tipiche
korai (votive, ma anche funerarie) che in età arcaica decoravano tanto i santuari quanto le necropoli. Secondo le più accreditate ricostruzioni, queste fanciulle dovevano stringere peraltro nella mano destra proprio una patera, ossia la tipica coppa per le offerte. E proprio su questo punto si innesta la questione topografica: la Loggia delle Cariatidi, infatti, non è stata costruita a caso sul lato meridionale dell'Eretto, bensì è andata a coprire il luogo dove, fin dall'età arcaica, si trovava il tumulo-
heroon di Cecrope, il mitico primo re dell'Attica. Le fanciulle con la patera fra le mani sarebbero dunque da intendere più verosimilmente come offerenti, giunte a portare le libagioni sul sacrario del sovrano defunto (e proprio per questo, talvolta, alcuni arrivano addirittura a identificarle come le stesse Cecropidi, e cioè le mitiche figlie del re).
Quindi, lasciamo perdere la questione del Parthenon da identificare con il Portico delle Cariatidi, perché, secondo il mio modesto parere, non regge minimamente su più piani di ragionamento.
Secondo l'opinione maggiormente diffusa fra gli archeologi, il Parthenon doveva essere invece la grande sala quadricolonnata posta alle spalle della cella del Partenone (ossia l'
Hekatompedon menzionato in un altro inventario, e contenente fra l'altro anche l'
agalma crisoelefantino di Atena). Come e perché si sia arrivati poi, già nel III secolo a.C., a indicare l'intero edificio come Partenone, questo non saprei dirlo; ma non mi pare una cosa poi così difficile da immaginare.
Spesso, infatti, accade che una realizzazione anche di grandi dimensioni prenda il suo nome da un singolo elemento minore. Già che siamo alle porte del Natale, si può prendere il caso emblematico del Presepe, che noi intendiamo per tradizione come la rappresentazione della grotta-stalla della Natività, corredata almeno con le immagini di Gesù neonato, adagiato nella mangiatoia, della Madonna, di San Giuseppe, del bue e dell'asino, quando in latino il nome
praesepium fa semplicemente riferimento alla sola mangiatoia. Dunque, anche nel caso del Partenone potrà essere accaduto che il nome di uno degli ambienti abbia finito con il connotare l'intera struttura, come una
pars pro toto.
Da ultimo, si pone la questione dell'inventario del Parthenon:
CITAZIONE
(...) l’archeologo olandese osserva che un antico testo romano, un itinerario di viaggio, si soffermava sull’attuale Eretteo e citava alcuni eccezionali oggetti custoditi al suo interno, dei quali abbiamo notizia solo nella già citata lista d’inventario del tesoro detto Partenone
Qui van Rookhuijzen dovrebbe fare riferimento al bottino sottratto dai Greci ai Persiani, che Pausania nel II secolo d.C. afferma di poter vedere in uno degli ambienti dell'Eretteo. Tuttavia, ammesso (e concesso) che il tesoro menzionato negli inventari sia davvero lo stesso visto da Pausania in età imperiale, un dubbio più che lecito potrebbe essere avanzato. Gli inventari del Partenone, come si legge anche nell'abstract, si datano al V-IV secolo a.C., mentre Pausania visita l'Acropoli alla metà del II secolo d.C. (e cioè, più di 450 anni dopo la compilazione degli inventari!): considerando questo notevole periodo di vuoto nelle attestazioni epigrafiche e letterarie, sarebbe impensabile che, per le più svariate motivazioni a noi ignote, una parte del tesoro della dea fosse stata eventualmente trasferita, in un periodo imprecisato, da un edificio all'altro della stessa Acropoli?
La lettura dell'articolo di van Rookhuijzen sarà fondamentale per capire se (e come) lo studioso avrà eventualmente affrontato tutti i problemi che qui stiamo ponendo, anche in relazione all'abstract da lui pubblicato e alle interviste rilasciate fino a oggi alla stampa internazionale. Ma certo è che non sarà affatto facile far passare una proposta così rivoluzionaria per il filtro dell'intero mondo accademico...