Come ho scritto in un altro post su miti e leggende dei Maya, il loro credo religioso, la loro cosmogonia e i miti della creazione mutarono molto dopo la crisi della loro società, avvenuta nel IX –X sec. d.C.
Un ulteriore cambiamento avvenne per effetto del contatto e dell’assimilazione nella loro cultura di concetti importati o imposti loro dai missionari cattolici spagnoli.
Tutto questo è molto evidente nei racconti cosmogonici e della creazione dell’uomo, riportati nel Popol Vuh, il “Libro della comunità”, un libro scritto in lingua Maya Quiché traslitterata utilizzando caratteri latini.
La versione a noi pervenuta, rintracciata da un monaco francescano nel 1702, risale probabilmente al XVI sec., anche se gran parte dei racconti in essa raccolti è più antica.
Dal racconto della creazione del mondo presente nel Popol Vuh, che è un po prolisso e ripetitivo al pari della Genesi biblica, ho tratto una novella, di cui allego la prima parte, la seconda seguirà a breve.
Giova ricordare, per capire alcuni passi, che dopo la crisi di cui ho parlato in precedenza, I Maya persero la nozione del loro passato splendore, la loro cultura in un certo senso ricominciò da capo, per cui conoscevano l’esistenza delle ormai mitiche città nascoste nella selva del Petén, le rispettavano, andavano a celebrarvi riti magico-religiosi, ma non sapevano più da chi, come e quando fossero state costruite.
Le quattro ere della Creazione, secondo il Popol VuhMi chiamo Hunac Ceel, sono ormai un vecchio di oltre 80 anni e vivo nel villaggio di X Hazil, vicino alla città maya di Chan Santa Cruz, la città sacra dei ribelli del movimento dei Cruzob, coloro che ascoltavano la Croce Parlante e furono protagonisti di quella che i bianchi invasori hanno chiamato Guerra delle Caste, durante la quale arrivarono ad espellere dalle nostre terre quasi tutti gli invasori.
In soccorso degli ultimi, chiusi tra le possenti mura di San Francisco de Campeche, giunsero altri invasori, che sconfissero i ribelli, distrussero il tempio della Croce Parlante e rinominarono Felipe Carrillo Puerto la città di Chan Santa Cruz.
I miei genitori, entrambi giovani sacerdoti della nostra antica religione, vollero darmi il nome del fondatore della dinastia Cocom di Chichén Itzá e Mayapan, il grande Nacom (generale dell’esercito, ndr) Hunac Ceel, e con questo nome sono noto alla mia gente, ma per la legge degli invasori mi chiamo Miguel Paniagua…
Viveva in Chan Santa Cruz un grande e potente sacerdote, molto vecchio, che prese me come suo allievo, nella speranza che io potessi tramandare i suoi insegnamenti, una volta che se ne fosse andato a raggiungere i suoi antenati. Egli era noto con il nome di K’inich Ahau, Sole Splendente Grande Signore, in memoria dei nostri antichi sovrani ed era il massimo conoscitore della vicende che portarono Hunab Ku, il dio Cosa Solitaria, a creare tutto ciò che prima non esisteva.
Iniziò raccontandomi che Hunab Ku, dio creatore e dio degli dei, incorporeo e senza figura, era anche conosciuto con il nome magico di Kolop U Wich K'in e Kolop U Wich Ak’ab, nella lingua degli invasori Colui che Strappò l’Occhio al Giorno e Colui che Strappò l’Occhio alla Notte. Questo perché Hunab Ku è la divinità nella quale convergono le dualità, gli elementi opposti che hanno dato origine all'universo. Questo dio è incorporeo, impossibile da rappresentare ed è tutto e niente allo stesso tempo. Viene spesso identificato con Itzamaj, che è il dio della creazione e della saggezza e anche come dio-agente legato alle eclissi e a Venere, nonché alla pioggia. In realtà, è simultaneamente tutte le divinità, cioè Itzamnaj il creatore, già Kukulkan, Huracan la pioggia e la tempesta, un tempo attribuite a Chaac, i 2 Pawahtunob traghettatori del Sole durante la notte, Ixchel la Luna e l’Amore, K’inich il Sole Splendente, Yum Kaax il mais, un tempo detto Hun Nal Ye. Questo perché tutte le divinità sono in realtà i molteplici aspetti dell’unica vera divinità, la Natura, il Cosmo, Hunab Ku.
Mi disse che questa potente divinità riuniva nella sua essenza gli opposti cosmici, la cui dualità simboleggia la continua evoluzione dell'essere umano e il centro della galassia per eccellenza. Mi assicurò che nella sua infinita saggezza, in un tempo molto lontano gli fu affidato il compito di creare i nostri due dei più alti dei: Tepeu, quello che conquista, il Sovrano; e Gucumatz, il sacro serpente piumato, al quale noi Maya yucatechi dobbiamo la nostra esistenza, la nostra conoscenza e il mondo in cui viviamo.
Attraverso i discorsi del grande e potente maestro-sacerdote appresi che questo nostro dio incorporeo raffigura se stesso con un bellissimo simbolo composto da quattro farfalle che indicavano le quattro direzioni sacre.
Le quattro farfalle si trovano in coppie opposte complementari: bianco e nero, nero e bianco, il materiale e l'immateriale. Al centro del simbolo c’è una chiocciola tagliata trasversalmente, connotata come un respiro divino che dà coscienza alla materia, il luogo centrale in cui si trovano la mente e il cuore del Creatore. Pertanto, non è altro che il simbolo dell'equilibrio raggiunto attraverso la misurazione, ottenuto dal continuo movimento delle stelle nel cielo. Per questo motivo, i nostri antenati hanno chiamato il dio Hunab Ku, Colui che dà il movimento e la misurazione. K’inich Ahau mi spiegò che il simbolo rappresentava l'arte di vivere in equilibrio, un obiettivo a cui tutti i Maya dovrebbero avvicinarsi.
Il simbolo che i Maya contemporanei hanno ricavato dalla descrizione fornita dal Popol Vuhhttps://upload.wikimedia.org/wikipedia/it/...0px-HunabKu.gifDopo molte e fruttuose lezioni del grande sacerdote-maestro, arrivai a comprendere che Hunab Ku ha plasmato il nostro mondo quattro volte. Quattro sono state le creazioni necessarie per inventare quello che è il mondo in cui viviamo oggi. Nella prima era non c'era il sole, c'erano solo i Saiyamwinkoob, “Coloro che mettono a posto” nella lingua degli invasori, i mediatori tra cielo e terra, che di solito chiamiamo anche Puzoob, I Gobbi. Questi meravigliosi esseri vivevano con gli Yicobe Be’yichob Colelcak, “Coloro che hanno gli occhi come api”. I Puzoob erano piccoli, quelli che voi chiamate nani, molto laboriosi, estremamente agili e molto forti. Avevano poteri soprannaturali, che permisero loro di creare le nostre antiche città, che erano costruite nell'oscurità assoluta, ricordando che il Sole non esisteva ancora. Sebbene potessero trasportare un peso maggiore del loro stesso, per costruire gli edifici delle città fischiettarono semplicemente e le pietre volarono nell'aria e si accomodarono per formare le piramidi di cui ora vediamo solo le rovine abbandonate.
Dopo questi insegnamenti K'inich Ahau mi disse che c'era un sentiero verso il Paradiso che andava da Tulum e Cobá a Chichen Itza e Uxmal (queste strade esistono veramente, coprono distanze superiori ai 100km, erano sopraelevate e in origine erano larghe fino a 8mt e coperte di bianco calcare, oggi sono ridotte a miseri sentieri poco visibili a un occhio non esperto, ndr). Questa strada era chiamata Kuxan-Sum, Corda Vivente, sebbene fosse anche conosciuta come Sakbé, “ Via Bianca” nella vostra barbara lingua, perché si riferisce alla Via Lattea, l'Albero del Mondo, la cui rappresentazione era un albero ceiba, dove viveva il mostro Cauac.
Una Ceiba Pentandra solitaria, l’albero del cotone capoc, che può raggiungere i 70 mt di altezza, notare la persona che sta camminando un po’ a dx della base https://c8.alamy.com/compit/bh2r68/ceiba-c...ceae-bh2r68.jpgQuesto percorso era il cordone ombelicale del Cielo, dal cui centro scorreva il sangue che gli dei mandarono per nutrire i capi che governavano ciascuna delle nostre antiche città.
Un giorno disastroso, la sacra corda fu spezzata, il sangue fu versato e i capi, a corto di cibo, dimenticarono di adorare gli dei e di seguire le regole stabilite di condotta.
Molto arrabbiati per tale comportamento, gli dei dissero ai nani che avrebbero inviato una grande inondazione, l'Haiyococab, “L' Acqua sulla Terra” per voi barbari, che avrebbe ucciso quegli irresponsabili.
Velocemente i Puzoob si prepararono e costruirono barche in pietra. Ma il lavoro fu inutile, perché le barche non servirono loro affatto, perché affondarono senza speranza.
Tutti i nani-maghi sono morti annegati. Ora possiamo vedere le loro immagini incise sui muri degli edifici, così come è possibile vedere quelle canoe di pietra del Puzoob nei metates (pietre piatte o scavate, utilizzate per macinare i semi di mais e di altre piante, ndr) che sono stati trovati nelle rovine, quando i bianchi più intelligenti le hanno scavate, quelli che chiamano antropologi. Ma la vita non si sarebbe conclusa con un'alluvione così fatale, quindi nella seconda era Hunab Ku diede vita ai cosiddetti Dz'olob, “I Trangressori” per i bianchi, che, sfortunatamente, non ebbero fortuna migliore dei nani, poiché morirono in una seconda inondazione tanto aggressiva come la prima.