Ostraka - Forum di archeologia

Il Partenone non smette di sorprendere, scoperte dal cantiere dei restauri

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view post Posted on 14/4/2020, 10:58
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- Γνῶθι σεαυτόν -

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Un articolo passato sui social solo in questi giorni, ma riferito a un intervento avvenuto ormai nel 2012, mi dà lo spunto per condividere una interessante scoperta registrata durante i recenti restauri del celebre capolavoro architettonico di Ictino e Callicrate: www.greece-is.com/the-strange-arti...rthenons-walls/.

All'interno di una intercapedine dietro al fregio dorico dell'edificio pericleo, in prossimità dell'angolo S-O (dove si incontrano le metope con la Centauromachia e quelle relative all'Amazzonomachia), è infatti tornata alla luce quella che sembrerebbe esser stata un'offerta votiva lasciata dai costruttori alla dea Atena: in questo contesto, sepolta sotto un cumulo di detriti, i restauratori e gli archeologi hanno infatti rinvenuto una coppa bronzea per libagioni rituali (phiale mesomphalos), contenente il frammento osseo di una zampa di animale con incastrato all'interno un tubicino metallico (forse parte di un antico aulos), in aggiunta alle possibili tracce di un fuoco rituale.

Questo tipo di rinvenimento non è propriamente un unicum, ma si aggiunge ad almeno altri due contesti similari, scoperti durante precedenti interventi sulla struttura (uno nel 1986, e ancora uno nel 1994).
I reperti rinvenuti in questi contesti non si configurano come scoperte straordinarie solo per il fatto di essere rimasti in situ per oltre duemila anni, a dispetto della travagliata vita del Partenone e delle trasformazioni di cui è stato oggetto nel corso dei secoli (in merito alle quali Wikipedia fornisce un piccolo riassunto: https://it.wikipedia.org/wiki/Storia_del_Partenone), ma indicano anche come l'intervento benevolo e la "collaborazione" della divinità siano stati invocati durante tutte le fasi costruttive della struttura, e non solo durante i riti di fondazione (engainia).
 
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view post Posted on 14/4/2020, 11:59
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CITAZIONE (Perseo87 @ 14/4/2020, 11:58) 
indicano anche come l'intervento benevolo e la "collaborazione" della divinità siano stati invocati durante tutte le fasi costruttive della struttura, e non solo durante i riti di fondazione (engainia).

...e si direbbe abbiano funzionato abbastanza bene! :)
 
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view post Posted on 14/4/2020, 15:30
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CITAZIONE (dceg @ 14/4/2020, 12:59) 
...e si direbbe abbiano funzionato abbastanza bene! :)

Senza ombra di dubbio!
E devo dire che trovo simpatica l'idea di aver deposto nell'intercapedine una replica della coppa originale, nel "rispetto" di questa devozione antica.
 
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view post Posted on 14/4/2020, 15:44
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Era doveroso farlo, per rispetto ai costruttori originari e agli dei in cui credevano
 
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view post Posted on 14/4/2020, 15:55
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CITAZIONE (dceg @ 14/4/2020, 16:44) 
Era doveroso farlo, per rispetto ai costruttori originari e agli dei in cui credevano

Più che altro, penso che anche questo faccia parte di quella concezione del monumento antico che abbiamo maturato nel corso dei secoli: se ci si riflette, nella gran parte dei casi, le porzioni più preziose, fragili o artisticamente rilevanti vengono di norma staccate dai monumenti antichi e sostituite con repliche, per ovviare a problemi di conservazione e tutela dei detti elementi. Anche se questa coppa non si trova certo in una parte accessibile del monumento - e quindi i turisti non potranno mai apprezzarla in ogni caso - mi sembra comunque corretto inserire la replica al suo posto, anche ai fini della restituzione del monumento per quello che in effetti era fino a prima della scoperta (e che deve continuare a essere per le generazioni future).
 
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view post Posted on 14/4/2020, 16:07
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La mia non era una considerazione "razionale", come è giustamente la tua, ma emotiva. Corrispondente un po' a quanto ho provato andando nelle necropoli etrusche. Certo gli aspetti culturali ci sono, ma ho sentito anche un senso di rispetto nei confronti di quanti lì erano stati sepolti, anche se di loro non restava traccia. Ed ho provato orrore e disgusto quando ho visto, a Volterra, una tomba ridotta a latrina. Benché (o perché?) ateo sono sensibile alla sacralità dei luoghi.
 
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view post Posted on 14/4/2020, 16:38
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CITAZIONE (dceg @ 14/4/2020, 17:07) 
La mia non era una considerazione "razionale", come è giustamente la tua, ma emotiva. Corrispondente un po' a quanto ho provato andando nelle necropoli etrusche. Certo gli aspetti culturali ci sono, ma ho sentito anche un senso di rispetto nei confronti di quanti lì erano stati sepolti, anche se di loro non restava traccia. Ed ho provato orrore e disgusto quando ho visto, a Volterra, una tomba ridotta a latrina. Benché (o perché?) ateo sono sensibile alla sacralità dei luoghi.

Capisco perfettamente cosa intendi dire :)

Penso tuttavia che la questione vada oltre il concetto di credo personale: io, per esempio, sono credente, eppure mi sono fatto più volte la tua stessa domanda.
Secondo me è più una questione di sensibilità e di rispetto. E questo vale tanto per un sepolcro, quanto per un luogo di culto antico: chi in passato ha compiuto determinati riti in quei contesti, il più delle volte lo ha fatto perché ci credeva davvero, era profondamente convinto che i suoi dèi o i suoi defunti apprezzassero quei gesti... e già lo stesso scavo archeologico "distrugge", in un certo senso, quella sua offerta tanto sentita.

Credo di aver aperto una volta una discussione - qui o su AI, ora non ricordo - in merito a questo argomento (il problema di partenza era allora l'esposizione delle mummie nei musei, che qualcuno aveva forse pensato di abolire). E fu Lama su, in quell'occasione, a farmi riflettere sul fatto che gli antichi per primi si auguravano che quei loro gesti, quelle loro offerte, i loro stessi corpi potessero durare per l'eternità: è vero che lo scavo "distrugge" i contesti antichi e sottrae loro i relativi reperti, ma è altrettanto vero che la successiva musealizzazione (o comunque adeguata conservazione) garantisce a quegli oggetti e a quei corpi di durare molto più a lungo, resistendo meglio all'azione di agenti atmosferici, reazioni chimiche impreviste, danni provocati da animali selvatici e furti operati da tombaroli in cerca di tesori... Quindi scavo, recupero e musealizzazione/conservazione dei reperti - laddove effettuati con tutti i doverosi crismi - sono in realtà il modo migliore per salvaguardare e difendere l'eredità del passato.

Diverso è ovviamente il problema dell'odore di pipì che ancora oggi promana da certe tombe antiche, che è solo segno di scarso rispetto e di inciviltà da parte di chi compie questi gesti. Ma questo non è un male esclusivo del nostro tempo: già gli antichi avevano a che fare con questi energumeni, che non si facevano problemi a urinare all'interno dei santuari o a ridosso delle tombe. L'epigrafia ha conservato una nutrita casistica di scongiuri e maledizioni indirizzate a tutti coloro che si fossero azzardati a profanare la sacralità di certi contesti, come ben riassume anche questa interessante pagina relativa ai cacatores di Pompei: https://deipnosofista.com/cacatores-degrad...oesia-a-pompei/.

Peccato che, da allora a oggi, questa componente "superstiziosa" si sia in gran parte persa (laddove non arrivava il senso di rispetto, magari poteva arrivare almeno la paura di un dio irato o di uno spirito malevolo...).
 
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view post Posted on 14/4/2020, 16:45
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Usékar - Usékol: lo shamano Talamanca

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Uno shamano bribri, parlando dell'archeologia costaricense e del lavoro degli archeologi, mi disse "voi la chiamate archeologia, per noi è profanazione".
Non seppi dargli torto.
 
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view post Posted on 14/4/2020, 17:08
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Grazie per il bel link, Perseo.

CITAZIONE (Usékar @ 14/4/2020, 17:45) 
Uno shamano bribri, parlando dell'archeologia costaricense e del lavoro degli archeologi, mi disse "voi la chiamate archeologia, per noi è profanazione".
Non seppi dargli torto.

Questo richiama il dibattito in corso sui reperti dei musei etnologici.
 
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view post Posted on 14/4/2020, 17:09
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CITAZIONE (Usékar @ 14/4/2020, 17:45) 
Uno shamano bribri, parlando dell'archeologia costaricense e del lavoro degli archeologi, mi disse "voi la chiamate archeologia, per noi è profanazione".
Non seppi dargli torto.

Qui si apre un mondo...
Ricordo un bellissimo capitolo del volume Lezioni di Archeologia, di Daniele Manacorda (Roma-Bari, Laterza, 2008), che affrontava il problema del rapporto fra archeologia e mondo contemporaneo (per titoli di paragrafo: Giudizi di valore - Tutela e ideologia - La proprietà del passato - Una storia americana - Archeologia e "politically correct" - Il passato è di tutti), e che potrebbe essere d'aiuto proprio alla discussione verso la quale ci stiamo avviando. Adesso però non ho modo di mettermi lì a rispulciarlo tutto nel dettaglio, per riportarvi il contenuto. Vedo di farlo comunque nei prossimi giorni, perché il tema è interessante, e come vedete tocca anche realtà coloniali e sociali del Nuovo Mondo.
 
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view post Posted on 14/4/2020, 17:51
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Non avete idea di quanto i nativi centroamericani siano sensibili a quesro argomento. E da quel che leggo, i nativi nordamericani ormai si sono fatti molto agguerriti, in proposito.

Per quanto riguarda il sud America, solo i nativi del Perù e i Mapuche, che vivono a cavallo tra Cile e Argentina, si stanno dimostrando sensibili, molto sensibili. I Mapuche dell'Argentina stanno conducendo una strenua lotta contro la galassia Benetton, alla quale il governo argentino ha concesso di trasferirsi la proprietà di quasi 1 milione di ettari di terra patagonica, che i Mapuche considerano di loro atavica proprietà! http://cdca.it/archives/10045

Spesso, si leggono notizie riguardanti i nativi dell'Amazzonia brasiliana, ma lì la questione è differente, dato che praticamente costaggiù non ci sono siti archeologici.
 
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view post Posted on 14/4/2020, 18:50
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Non solo del Nuovo Mondo ma anche di altri regioni, in particolare le ex-colonie francesi e belghe dell'Africa ocidentale, ma non solo quelle. Ci sono iniziative in questo senso, in cui però non di rado contano più interessi economici che il rispetto degli antenati. Un discorso analogo vale anche per il museo di antropologia criminale Cersare Lombroso in cui si conserverebbeo i teschi dei briganti, così almeno ho sentito dire, ora rivendicati dai discendenti.
 
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view post Posted on 14/4/2020, 19:06
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Per il Museo Lombroso, confermo, esiste anche un comitato No Lombroso che si batte per la sua chiusura ed è tornato alla carica di recente, causa l'apertura a fine settembre dell'anno scorso della mostra "I millle volti di Lombroso" https://www.identitainsorgenti.com/la-pole...catti-razzisti/

In passato, anche movimenti neoborbonici hanno portato il museo in tribunale, ovviamente nella persona dei suoi amministratori, chiedendo la restituzione del cranio di alcuni "briganti" che agirono durante o subito dopo il 1860, vedi per es. http://lameladinewton-micromega.blogautore...o-della-verita/

Per quanto ho elencato a proposito delle Americhe, le rivendicazioni dei nativi hanno poco di politico-economico-finanziario, nel senso deteriore dei termini, a differenza dei movimenti africani.
Non si tratta nè di soldi, nè di potere, bensì di movimenti che si potrebbero definire risorgimentali, che tra l'altro non assumono forme violente, almeno attualmente.
Lo stesso vale per i Maōri neozelandesi, i Tamil di Ceylon (che però sono anche molto violenti) e gli abitanti di Timor, citando solo quelli che mi vengono in mente
 
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view post Posted on 15/4/2020, 09:49
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Con un po' di tempo, ieri sera ho dato un'occhiata al capitolo di Manacorda che vi avevo segnalato, e devo dire che alcuni interessanti spunti di riflessione sono emersi da quelle pagine.

Il problema, come evidenziava anche Usèkar, è nato (e si è poi storicamente sviluppato) soprattutto in contesti coloniali, dove in passato gli archeologi europei si sono sentiti spesso in diritto di disseppellire e prelevare reperti e spoglie di popoli "diversi" da loro - e per questo percepiti come culturalmente inferiori - per riempire i propri musei, fino a quando, negli anni '70 del secolo scorso, non sono nati i primi movimenti dal basso, contrari a questa prassi (soprattutto in Nord America, Australia e in taluni ambienti ultraortodossi di Israele). C'è da dire che gli archeologi dei secoli passati non hanno quasi mai operato con quella che noi chiameremmo oggi "etica professionale", approfittandosi spesso dell'arretratezza economica di alcuni paesi e saccheggiandone letteralmente i beni archeologici per un "nobile fine", che doveva essere quello della conoscenza. Tuttavia, alla libertà della ricerca scientifica e alla necessità di divulgare il sapere si è andata opponendosi sempre più, nel tempo, la questione del diritto all'eredità culturale (talvolta perseguito anche attraverso vere e proprie battaglie legali).

L'esempio tratto dalla storia dell'archeologia americana è un po' diverso da quelli che avevamo in mente noi, ma può forse tornare ugualmente utile alla parentesi che abbiamo aperto: Manacorda riporta infatti il caso di uno scavo condotto a Manhattan nel 1984, per la realizzazione della nuova sede di un ente federale, che portò alla scoperta di un cimitero di circa 400 schiavi africani del XVIII secolo. Gli edifici ottocenteschi abbattuti nella zona si erano infatti rivelati eretti sopra una gran quantità di terra di riporto, che aveva preservato l'intero sito sepolcrale. Lo scavo, iniziato da "archeologi bianchi", fu interrotto per una serie di proteste della comunità afroamericana locale, che chiese (e ottenne) di far scavare l'intera area ad archeologi afroamericani, poiché questi, a detta loro, avrebbero potuto approcciarsi meglio a questo scavo, con il giusto rispetto per i resti mortali degli schiavi e senza fraintenderne o sminuirne il valore storico. Alla fine, laddove era sorto il cimitero, si ottenne il permesso per erigere anche un piccolo mausoleo dove riseppellire i resti scavati e i corredi recuperati dalle tombe (con l'eccezione di pochi cocci, non riferibili ad alcuna sepoltura).

L'episodio lascia l'autore con alcuni dubbi che io reputo molto importanti, per non dire fondamentali, e che in parte passano oltre questo episodio (dove comunque lo scavo andava fatto "per forza"). Se infatti, da un lato, Manacorda si chiede, in relazione al caso in oggetto, su che base scientifica si possa affermare che solo i discendenti di un determinato popolo possano scavare i resti dei propri antenati (ammesso e non concesso che un legame effettivo sia esistito fra i resti di questi individui e gli abitanti moderni di New York), dall'altro, in senso più ampio, lo studioso si chiede fino a che punto l'affetto filiale o l'affinità etnica e culturale possano prevalere sul diritto e sull'etica della ricerca scientifica. Il problema è quindi incentrato sul conflitto fra rito e conoscenza, e sulla prevalenza che il primo dovrebbe avere, nell'opinione di alcuni, sulla seconda (prevalenza che, se portata agli estremi, potrebbe portare tuttavia a una serie di deduzioni e conseguenze davvero bizzarre e paradossali).

La questione si fa sempre più complessa, e ci allontana forse dal topic iniziale... ma se volete un po' possiamo proseguire, perché l'argomento si fa affascinante. Sarebbe interessante anche chiedersi, per esempio, perché per il mondo dell'archeologia classica episodi di questo tipo non si registrino: eppure siamo tutti consci dell'eredità culturale che il mondo greco-romano ha lasciato alla moderna civiltà europea (dai fondamenti del diritto al concetto stesso di democrazia, dalle produzioni artistiche alle tecniche e agli stili architettonici, dalla produzione poetica, storica e scientifica alla filosofia etc.). Inoltre, se anche un legame genetico con gli antichi greci, etruschi e romani sembra non essere più rintracciabile nel DNA dei moderni europei, è pur vero che oggi esistono tutta una serie di movimenti "neopagani", che si richiamano direttamente ai culti e ai riti dell'antichità classica (un esempio è costituito dai "dodecateisti": https://it.wikipedia.org/wiki/Ellenismo_(religione)

Perché quindi non sembra essersi sviluppata in Occidente una sensibilità (e un'ostilità) altrettanto forte verso lo scavo di una stipe votiva o una necropoli di età classica? La questione si potrebbe poi applicare anche ai contesti medievali, dove lo scavo di una chiesa in rovina o di un cimitero cristiano viene solitamente effettuato senza che questo desti particolari rimostranze da parte dei fedeli locali e delle autorità religiose. Sta davvero tutta nel portato del pensiero e della storia della civiltà europea la ragione del "distacco emotivo" con cui ci approcciamo all'archeologia dei popoli che ci hanno preceduto sui nostri stessi territori?

P.s.
Usèkar intervieni pure per il link non funzionante (non capisco cosa sbaglio ogni volta...).

Edited by Usékar - 16/4/2020, 12:07
 
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view post Posted on 15/4/2020, 09:59
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...o potrebbe essere, butto lì un'ipotesi nata testé, che noi ci sentiamo discendenti ed eredi almeno culturalmente di romani, etruschi, greci ecc. e che quindi l'archeologo non tanto profana, quanto riscopre le nostre radici.

Credo fosse su AI che vi era una discussione, e credo proprio iniziata da me, in cui avevo usato il termine "pietas". Se non ricordo male nasceva dalle osservazioni fatte durante lo scavo di un cimitero d'epoca merovingia nel paese in cui allora abitavo e dall'osservazione delle ossa disseppellite e avvolte in carta di giornale. Pratica certo comune, ma per me, forse troppo sensibile, impietosa.

Vedo ora che avevamo ripreso i tema anche su Ostraka, qui: https://ostraka.forumfree.it/?t=56904077
 
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