Il racconto che seguirà questa introduzione, terzo della saga, necessita di una ulteriore introduzione.
I miti dei Māori sono stati tramandati oralmente, dato che tutte le popolazioni polinesiane non svilupparono alcuna forma di scrittura, anche se i tatuaggi e le scarificazioni che portavano e portano sul corpo e soprattutto sulla faccia possono essere considerati una forma di scrittura in senso lato.
La trasmissione orale avveniva da parte di “uomini sacri” all’interno di ciascuna tribù, per cui di questi racconti mitici se ne sono sviluppate molte versioni differenti e anche tra loro contrastanti.
Il racconto al quale è legata questa introduzione, ancor più che dei due precedenti, non è la trascrizione di un solo testo mitico, ho tentato di interpolare e fondere tra loro narrazioni sviluppate nell’ambito di alcune tribù Māori neozelandesi e ho aggiunto anche parti che sono frutto della mia fantasia e servono a collegare tra loro le differenti versioni e/o a rendere più chiaro e fluido il racconto, in certi passaggi.
Come si orientavano i miei antenati, grandi navigatori nell’immensa distesa d’acqua, prima dell’arrivo degli orribili e spregevoli invasori haole pakehaIo che racconto mi chiamo Pōtatau, sono un Māori, cioè “uno dei normali” nella lingua degli haole pakeha, gli “spregevoli invasori” pallidi, dai capelli color dell’erba secca, il colorito pallido e gli occhi del color del cielo e dell’acqua, arrivati sulle grandi canoe spinte dal vento.
Appartengo alla iwi, o tribù, Wherowhero e porto il nome di un antico e famoso capotribù.
Nelle mie vene scorre il sangue di Ngahue, il primo capo che fece migrare la sua intera tribù dalla nostra terra d’origine, Hawaiki, che si trova molto lontano da Aotearoa, la grande nuvola bianca, quell’insieme di isole che i pakeha chiamano Nuova Zelanda.
Non sono un pescatore e nemmeno un guerriero, all’interno del mio whānau, la mia grande famiglia, e dello hapū, il mio clan, sono un uomo sacro, il mio compito è quello di conservare e riequilibrare il mana, lo spirito sacro che pervade tutto il whānau e lo hapū e li tiene uniti.
All’interno della potente iwi Wherowhero, il mio hapū è uno dei maggiori, per cui io sono uno degli uomini sacri più rispettati, come dicono i pakeha.
Tra i Māori Wherowhero sono quello che è stato educato alla conoscenza della nostra storia e delle nostre origini, per cui devo ripetere molto spesso questi racconti al mio discepolo, affinché li impari bene a memoria.
Li debbo ripetere anche a tutto lo hapū , ogni volta che ci raduniamo tutti nella nostra wharenui, la grande casa delle riunioni dello hapū, perché tutti conoscano e ricordino la nostra storia e le nostre origini.
Interno della bellissima wharenui nella quale fu firmato il 6 febbraio 1890 il trattato di Waitangi, tra Māori e inglesi.
La wharenui è la casa nella quale normalmente si svolgono le adunanze di una intera tribù Māori, in questo caso erano presenti nella wharenui i rappresentanti di moltissime tribù Māori e quelli del governo inglese
https://www.newzealand.com/assets/Tourism-...DAsImpwZyJd.jpgUn tempo molto lontano, i Māori che erano grandi navigatori e abilissimi pescatori, vivevano in un’ isola, chiamata Hawaiki, alla quale oggi diamo molti nomi, come Hawaikinui, cioè la grande Hawaiki nella lingua dei pekeha, oppure Hawaikiroa, la lunga Hawaiki, o ancora Hawaikipāmamao, la lontana Hawaiki.
A quel tempo, il più grande dei nostri rangatira, che sono i capi dai diversi hapū, il migliore navigatore e il miglior pescatore era Kupe.
Nella nostra idea del mondo, che si basa sulle nostre esperienze di navigazione, immaginiamo la distesa d’acqua che ci circonda come un luogo popolato di molte isole, e questo ci ha sempre spinto ad effettuare viaggi oltre quello che i pakeha chiamano orizzonte conosciuto.
Non è facile scoprire una isola sconosciuta, perché il più delle volte le isole che popolano questa immensa distesa d’acqua sono basse e quindi difficilissime da vedere per chi, navigando e stando in piedi nella sua canoa, non può spingere lo sguardo oltre le 3 o 4 miglia di distanza, come direbbero i pakeha.
Quindi, dobbiamo basarci molto sulle esperienze raccolte in precedenza e tramandateci da chi ci ha preceduto.
Per orientarci in questa distesa senza fine, nella quale non esistono evidenti punti di riferimento, abbiamo utilizzato molti sistemi, quasi tutti basati sullo studio dei due cieli.
Due cieli? Sì, due cieli, perché il nostro mondo, a parte le isole nelle quali viviamo, è fatto di 3 ambienti, tutti dello stesso colore: la grande distesa d’acqua e i due cieli, che hanno la forma di due grandi mezze noci di cocco, il cielo basso, nel quale scorrono le nuvole, il cielo alto, nel quale si muovono le stelle.
Grande canoa oceanica a doppio scafowww.vitantica.net/wp-content/uploa..._compressed.jpgQuando navighiamo, durante il giorno osserviamo la forma delle onde, la direzione delle correnti, il volo degli uccelli e le nuvole che si muovono nel cielo basso, tenendo conto della loro forma e della direzione verso la quale si muovono.
Se stiamo cercando una nuova terra da popolare, ci muoviamo in gruppi numerosi, dentro le grandi waka hourua, quella che i pakeha chiamano canoa oceanica a doppio scafo.
Di solito, le waka sono almeno 15 e si muovono assieme, formando quella che i pakeha chiamano una linea retta, nella quale le waka sono distanziate tra loro di un miglio circa, in modo da non perdersi di vista e nello stesso tempo consentire a quelli che devono scrutare la distesa d’acqua di coprire con lo sguardo il più vasto campo possibile.
La forma delle onde ci dice in quale direzione sta spirando il vento, l’osservazione delle correnti ci può aiutare nello spingere la waka hourua più velocemente nella direzione voluta, il volo degli uccelli, di alcuni particolari uccelli, ci può dire esiste qualche terra che non conosciamo dalla quale essi provengono e in che direzione si trova, dato che molti uccelli pescatori non si allontanano mai più di 40 miglia dalla terra nella quale ritornano per posarsi.
Ciò che i pakeha non sapevano è che i grandi navigatori ci hanno lasciato anche degli strumenti costruiti con gli steli centrali delle foglie di palma, che somigliano, per l’uso che ne facciamo, a quelle che essi chiamano mappe, come questa, che mostra il moto ondoso e le correnti nelle vicinanze di un’isola
www.vitantica.net/wp-content/uploa..._compressed.jpgQueste “mappe” vengono tenute continuamente aggiornate, perché le correnti cambiano e anche la forma delle onde, a seconda delle stagioni.
La forma delle nuvole racconta molte cose.
Ci sono nuvole scure, alte e grandi, che portano la pioggia o il vento, ma quelle che ci interessano di più sono le grandi e sottili nuvole bianche, perché al di sotto di esse molto spesso c’è un’isola e questo ci aiuta a prendere l’esatta direzione verso di essa.
In questo modo, come spiegherò nel prossimo racconto, i nostri antenati scoprirono Aotearoa, la terra nella quale noi Māori viviamo.
Durante la notte, invece, se i due cieli sono limpidi osserviamo le whetu, quelle che i pakeha chiamano stelle.
Il metodo più semplice per proseguire la navigazione usando le whetu è quello di portare la mano destra verso l’alto, verso quello che i pakeha chiamano piccolo mestolo, con il dito più grande aperto e le altre dita chiuse, misurando la distanza tra la base del primo dito piccolo, posizionata vicino a hōkūpa’a, quella che i pakeha chiamano stella del nord, e l’estremità del dito grande, così
www.vitantica.net/wp-content/uploa..._compressed.jpgQuesto metodo consente di calcolare se e quanto ci si trova rawhiti me te hauauru o te motu, che nella lingua dei pakeha significa a est o a ovest dell’isola dalla quale si è partiti.
Ma anche per questo tipo di navigazione possediamo strumenti simili alle mappe dei pakeha, che mostrano la posizione delle terre nella grande distesa d’acqua, anch’essi realizzati con steli di foglie di palma e sempre aggiornati, come questa
Disegno della carta nautica delle Isole Marshall, dall’esemplare raccolto dal capitano Winkler nel 1898.
L’originale, realizzato con steli centrali di foglie di palma, è conservato nel Museo Etnografico di Berlino-Dhalenhttps://1.bp.blogspot.com/-l1GX-_7m2R4/Xw7...0715_120213.jpgE poi, venivano tramandate a voce la conoscenza della posizione delle whetu nel cielo della notte, secondo il variare delle stagioni.
La cosiddetta “bussola” di Nainoa Thompson, grande navigatore hawaiano contemporaneo, presidente della Polynesian Voyaging Society, frutto dei suoi lunghi studi sui metodi, gli strumenti e le conoscenze dei navigatori polinesiani che colonizzarono le isole del Pacifico Meridionale e le Hawaiihttp://archive.hokulea.com/images/navigati...right_stars.jpgSpero che quanto ho qui raccontato sia di aiuto per capire come, dopo molti giorni di navigazione su una grande waka taua, la canoa a remi secondo i pakeha, venne raggiunta Aotearoa, la terra della lunga nuvola bianca che i pakeha chiamano Nuova Zelanda.